Dalle stalle alla trasformazione, il settore lattiero-caseario è colpito duramente dagli aumenti (per mangimi, energia, materiali per confezionare). La grande distribuzione poi non adegua i prezzi del prodotto finito, anche se sarebbe una garanzia per i consumatori. Intanto l’Unione europea moltiplica la burocrazia del comparto invece di sostenerlo. L’autunno sarà cruciale per molte imprese.
La situazione è precipitata nel giro di un anno. Che il settore del latte, dagli allevamenti al supermercato, fosse in crisi, era noto da tempo, ma ora la congiuntura economica negativa sta aggravando le difficoltà. Le stalle lamentano un inasprimento medio dei costi correnti di produzione del 56 per cento, trainati in particolare dai rincari di mais e soia – necessari all’alimentazione dei bovini – e dalla bolletta energetica impazzita. Aumenti che non riescono a essere coperti dai ricavi. L’industria della trasformazione paga il latte al produttore anche il 30 per cento in più ma non è sufficiente. Gli allevatori, disorientati dall’assenza di attenzione da parte della politica, temono il peggio dopo l’estate. La grande distribuzione ancora frena sui rincari al carrello per paura di un calo dei consumi già compressi dall’inflazione. Una spirale che rischia di strangolare il comparto e provocare la chiusura di tante aziende. Se si aggiungono alcuni recenti provvedimenti europei nel solco della strategia «green», che considerano le stalle come nemici dell’ambiente, ce n’è abbastanza per scatenare una tempesta perfetta.
L’Italia produce più di 12,7 milioni di tonnellate all’anno di latte. La filiera lattiero-casearia esprime un valore di almeno 16 miliardi di euro e occupa più di 100 mila persone secondo i dati di Coldiretti. Il polo produttivo di maggior peso è al Nord. Dalla Lombardia arriva il 46 per cento del latte italiano, con un totale di 4.674 imprese.
«Lo scorso anno, quello in stalla costava 38 centesimi. Nel giro di un anno la situazione è precipitata, e adesso lo stesso prodotto arriva a costare fino a 55 centesimi. E in autunno si prevede di superare la soglia dei 60 centesimi» è lo scenario tratteggiato da Paolo Zanetti, presidente di Assolatte, l’organizzazione che rappresenta le imprese del settore.
A questi costi si aggiungono quelli di energia, cartone e plastica. Per limitare l’impatto degli aumenti, Assolatte ha proposto già da tempo l’azzeramento dell’Iva su tutti i prodotti della filiera. «Attualmente siamo nel regime di Iva al 4 per cento ma i nostri sono prodotti di prima necessità. Le imprese chiederebbero da 60 a 80 centesimi di costo in più per consumo medio. L’incidenza sulla spesa globale sarebbe bassa e con il taglio dell’imposta i consumatori ne risentirebbero davvero poco» commenta Zanetti
«In un anno il gas è rincarato del 600 per cento e gli imballaggi di oltre il 30. Come se non bastassero il Covid e la guerra, è arrivata la siccità a compromettere le coltivazioni di foraggi e cereali destinati agli animali» afferma Tiziano Fusar Poli, presidente di Latteria Soresina, che è primo produttore al mondo del celebre Grana Padano, oltre a leader nel burro e nel provolone, che come cooperativa rappresenta le due anime del comparto, i produttori e i trasformatori. «La maggior parte degli aumenti, ancora oggi, è rimasto a carico delle aziende e questo mette a dura prova la loro sopravvivenza. I prezzi dei prodotti finiti, infatti, sono cresciuti molto meno rispetto ai costi di produzione e occorrono quindi ulteriori ritocchi dei listini al supermercato».
Coldiretti sottolinea che «per il consumatore finale di latte alimentare il rincaro finora è stato contenuto, circa il 20 per cento, che su una bottiglia di quasi un euro significa pochi centesimi». Per Tiziano Fusar Poli la strada è obbligata: «Per tenere in piedi la filiera, dalle stalle alla trasformazione, i maggiori costi non possono ricadere solo su allevatori e imprese, ma devono arrivare al consumatore finale. Questo è uno snodo delicato. A oggi, il carrello della spesa alimentare è aumentato di poco più dell’8 per cento».
La grande distribuzione intanto sta adeguando i prezzi con difficoltà, per timore che i consumi si contraggano. «Una preoccupazione comprensibile, ma che va superata» aggiunge il presidente di Latteria Soresina. «Bisogna però considerare che, al di là della percezione generale, la spesa delle famiglie per l’alimentazione rappresenta una quota quasi marginale dell’intero portafoglio. Per latte, burro, formaggi, yogurt mediamente 1,8 euro al giorno, poco più di un caffè al bar. Per riempire il carrello, un nucleo familiare di tre persone, con due redditi, ha un esborso di circa 400 euro al mese. Pesano molto di più altre voci».
Secondo il manager «se i ritocchi accordati alle imprese non arrivassero a coprire i costi, le aziende potrebbero essere costrette ad abbassare la qualità, per sopravvivere. La competizione fra le insegne della distribuzione, basata su chi propone il prezzo più basso, non fa gli interessi dei consumatori. L’alta qualità va riconosciuta e pagata». L’amministratore delegato di Sterilgarda, Nando Sarzi, rincara il giudizio: «La situazione è drammatica, abbiamo un problema sia di quantità sia di prezzo. Nei supermercati la merce si trova, però andremo incontro a difficoltà di reperimento».
A complicare la vita agli allevatori ci si mette anche Bruxelles che ha appesantito gli oneri burocratici a carico delle aziende zootecniche, nell’ambito della politica per prevenzione e riduzione dell’inquinamento. Il settore è considerato altamente inquinante nonostante i Paesi europei, con l’Italia in prima fila, abbiano recepito gli standard decisi dall’Unione europea. «Oggi ottenere un’autorizzazione di impatto ambientale richiede almeno due anni. Con le nuove norme, gli uffici delle amministrazioni andranno in tilt e per gli allevatori si prospetta una maggiore spesa» commenta il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini. «Non vorrei che dietro questa burocratizzazione ci fosse la strategia volta a ostacolare la zootecnia per favorire la diffusione del cibo sintetico. Finora abbiamo fatto muro insieme a Francia, Spagna, Germania. Ma quello che sta accadendo in Olanda potrebbe aprire una breccia pericolosa».
Il governo di Mark Rutte, in sintonia con il programma europeo Natura 2000, ha avanzato una proposta di legge per dimezzare entro il 2030 l’inquinamento da azoto e ammoniaca, fortemente legato agli allevamenti. Decine di migliaia di capi da abbattere, quasi un terzo del totale, in oltre 17.600 aziende agricole. «Il governo dell’Aia ha assecondato la volontà del vice presidente della Commissione Ue per il Green deal europeo, Frans Timmermans che subisce il pressing delle multinazionali dell’alimentazione» aggiunge Prandini. «Noi ci batteremo perché quanto sta accadendo nei Paesi Bassi non si verifichi da noi». Così a un settore stremato dai rincari, nemmeno Bruxelles sa offrire un paracadute.
