Jean-Pierre e Luc Dardenne.
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I fratelli Dardenne e quella ragazza senza nome a cui l'Europa non apre

Intervista ai registi belgi che ci raccontano il loro nuovo film: "La nostra Jenny è una sorta di santo laico". Come il sindaco di Lampedusa

Dopo Due giorni, una notte, i fratelli Dardenne ci consegnano un'altra storia semplice e profonda che indaga il senso dell'etica, congiungendo cinema e realtà, quotidianità e dubbi morali, come loro sanno fare. La ragazza senza nome (La fille inconnue), dal 27 ottobre al cinema con Bim dopo la partecipazione in concorso al Festival di Cannes, ha per protagonista Jenny, un'eroina dimessa e sobria ma a suo modo estrema, percorsa da un'ossessione così poco allineata ai tempi attuali così individualistici e indifferenti. È un giovane medico di base scrupoloso e attento nella periferia di Liegi. Una sera, un'ora dopo l'orario di chiusura, una sconosciuta suona al campanello del suo studio. Jenny decide di non aprire. Quando il corpo della donna sarà trovato poco dopo lì vicino, senza vita, senza documenti e identità, i sensi di colpa scuoteranno Jenny, che inizierà una sua indagine molto personale per trovare un nome a quella "fille inconnue". Nella sua solidità crepuscolare e sensibile, Jenny è interpretata da Adèle Haenel, attrice francese premio César per The Fighters - Addestramento di vita.

A Milano per presentare La ragazza senza nome al pubblico, abbiamo incontrato Jean-Pierre e Luc Dardenne, i maestri belgi vincitori di due Palme d'oro con Rosetta (1999) e L'Enfant - Una storia d'amore (2005). Ci hanno accolto con simpatia e gentilezza. 

Avete rieditato il film rispetto alla versione presentata a Cannes. La ragazza senza nome ora è più corto di circa 7 minuti. Come mai?
Jean-Pierre Dardenne: "Quando abbiamo montato il film avevamo dei dubbi su una scena, troppo lunga. A Cannes il film è stato accolto così così e degli amici ci hanno detto che in certi momenti aveva poco ritmo. Abbiamo quindi contattato la montatrice e le abbiamo comunicato che volevamo togliere quel pezzo di scena che ci rendeva perplessi. Siamo entrati in sala montaggio, abbiamo fatto quest'operazione, ma lei a quel punto ha detto: 'Forse dovremmo rivedere ancora dei passaggi'. Morale della favola: in sei ore abbiamo ripreso tutto il film, sforbiciando qua e là, a volte all'inizio, a volte in mezzo, a volte alla fine di una sequenza, rispettando perfettamente l'ordine della sequenza ma togliendo in tutto 7 minuti e mezzo. È stato molto difficile trovare l'equilibrio necessario tra l'ossessione che Jenny sviluppa nei confronti di questa ragazza senza nome, che la spinge sotto il senso di colpa a condurre una vera e propria indagine per risalire alla sua identità, e il fatto che Jenny continua la sua pratica medica e la sua vita normale. Questo equilibrio era molto delicato. Ci siamo resi conto, dopo questa giornata trascorsa in sala di montaggio, che siamo riusciti a ricentrare il film consentendo allo spettatore di essere molto più nella testa della dottoressa Jenny e facendolo assistere molto meno all'aspetto della cronaca. Forse era quello lo sbilanciamento presente nella versione di Cannes. Perché è successo tutto questo? Perché per la prima volta con questo film non ci siamo concessi le due settimane di pausa tra la fine delle riprese e il montaggio del film, necessarie a prendere distanza dalla materia girata. Quando eravamo in sala montaggio eravamo ancora con un piede nel set e nell'effetto ipnotico del piano sequenza. Non lo faremo mai più e ci prenderemo le nostre due settimane di vacanza. Magari in Italia".

Jenny è devota alla sua professione e sprona il suo stagista Julien (Olivier Bonnaud) a non farsi vincere dalle emozioni. Sostiene che non farsi sopraffare dalle emozioni non significhi essere disumani. Questo è anche il vostro motto nel fare film?
Luc Dardenne: "Per noi l'importante è stare nelle emozioni del personaggio e avere con i personaggi un rapporto di empatia. Questo si traduce anche nel nostro modo di filmarli che è sempre alla loro stessa altezza, non è mai uno sguardo dall'alto verso il basso, non è mai un tentativo di manovrarli. La storia si sviluppa all'altezza del personaggio perché questo è l'unico modo per renderlo protagonista della sua vicenda e perché possa sorprendere con il suo comportamento. I nostri personaggi non sono al servizio della storia o asserviti alla storia. In questo modo anche gli spettatori a volte possono avvicinarsi e mettersi nei loro stessi panni e stare insieme a loro. Però può accadere al tempo stesso che lo spettatore, per via della regia, della fotografia e di tutta una serie di elementi filmici, divaghi con lo sguardo, si allontani e poi si riavvicini al personaggio".

Da cosa avete tratto ispirazione per La ragazza senza nome?
Jean-Pierre Dardenne: "La fonte d'ispirazione è stato il personaggio del medico, che abbiamo in mente da diversi anni. Non sapevamo però che tipo di storia dargli. Poi abbiamo cominciato a immaginare un campanello che suona, una porta che non viene aperta e una ragazza che viene trovata morta l'indomani vicino a un corso d'acqua, senza documenti, clandestina, di cui non si sa niente. Se la storia si è costruita nella nostra mente in questo modo, con elementi precisi che abbiamo via via individuato, credo che non sia indipendente dall'attualità che stiamo vivendo, con l'ondata di immigrati e profughi che bussa e l'Europa che non apre le porte per accogliere, con tanti uomini e donne senza un'identità e senza un nome, che muoiono senza lasciare traccia. Non ci sarà traccia del loro percorso sulla terra. Da un lato quindi a ispirarci sono stati un personaggio e un'idea che abbiamo avuto, dall'altra parte, però, se c'è venuta in mente questa idea è perché stiamo vivendo questa attualità. È una storia a cui non avremmo pensato vent'anni fa". 

Com'è stato lavorare con Adèle Haenel, che è protagonista di ogni sequenza?
Jean-Pierre Dardenne: "È stata una bella esperienza. Se non avessimo incontrato Adèle probabilmente non ci sarebbe stato il film perché in realtà la sceneggiatura c'era, aveva già lo stesso titolo (La fille inconnue), era già sviluppata, ma non fino in fondo, non riuscivamo a trovare lo sviluppo giusto per questa storia. L'abbiamo incontrata per caso e siamo rimasti subito colpiti dallo sguardo innocente, dall'innocenza che traspare dal suo viso, e abbiamo capito che avevamo trovato la nostra protagonista - originariamente era un personaggio più avanti con gli anni -. In quell'espressione, in quello sguardo, non c'è nessun intento di strategia o di calcolo ma c'è veramente una purezza che spinge gli altri ad aprirsi". 

Jenny rinuncia alla carriera, sceglie di rimanere nel suo studio medico di periferia per proseguire la sua ricerca e trovare un nome alla ragazza morta. Per le scelte che fa sembra quasi un'aliena...
Luc Dardenne: "Jenny è una specie di pazza. Attraversa un momento di follia perché c'è un'altra persona che abita la sua mente. Si sente obbligata a rispondere a questo richiamo che percepisce da parte della ragazza senza nome. È sicuramente un personaggio molto singolare. Forse il motivo per cui arriva oggi questo personaggio, attraverso un film dei fratelli Dardenne, è che viviamo in una società talmente cinica e chiusa che emergono dei personaggi estremi in netto contrasto con un conformismo diffuso e generalizzato. Appaiono queste figure di santi laici, abitati da qualcosa, che si chiamano fuori dalla società. A Lampeduca c'è la sindaca che è straordinaria, ma di contro c'è anche l'episodio di Gorino che ha respinto i profughi".

La musica è stata esclusa dal film. Come mai questa scelta?
Jean-Pierre Dardenne: "Abbiamo cercato di trovare un posto alla musica nel film, ma ci siamo resi conto che era ridondante, che occupava tutto lo spazio e che ramazzava su tutto, arrivando a rendere tutto sfocato. Soprattutto avrebbe tolto una cosa molto importante per noi nel film: i momenti di silenzio. Abbiamo quindi preferito avere una colonna sonora fatta di silenzi e dei rumore dei camion che passano sulla tangenziale accanto all'ambulatorio medico, e tenere i silenzi grazie ai quali i pazienti e non solo trovano il coraggio di parlare. I silenzi permettono non soltanto a Jenny ma a ciascuno di noi di ritornare a quell'immagine unica che abbiamo della ragazza senza nome".

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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