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ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Economia

Tassa sui rifiuti: perché la Tari è iniqua e andrebbe cambiata

Uno studio della Banca d’Italia sostiene che l’imposta penalizza i più poveri e rappresenta una sorta di “patrimoniale occulta”

Non c’è dubbio che dopo l’addio all’Imu sulla prima casa, la Tari, la tassa sui rifiuti, rappresenti oggi una delle imposte più odiate dai contribuenti italiani.

E questo per due motivi: innanzitutto perché in molte città il servizio di gestione della spazzatura, così lautamente pagato dai cittadini, funziona molto male, e in questo senso l’allarmante caso di Roma, rappresenta purtroppo un esempio lampante.

In secondo luogo poi, perché molti contribuenti si sono ormai convinti che la Tari non rappresenti in effetti una tassa sull’immondizia, quanto piuttosto una sorta di patrimoniale con cui i Comuni finanziano le proprie attività visti anche i pesanti tagli ai trasferimenti dallo Stato centrale agli enti locali, con cui hanno dovuto fare i conti in questi anni.

Lo studio di Bankitalia

A confermare in particolare questa seconda impressione, ovvero quella di una Tari che funge in realtà da patrimoniale “occulta”, arriva ora un autorevolissimo studio nientemeno che della Banca d’Italia.

Secondo gli esperti di Palazzo Koch infatti, i criteri attuali con cui è calcolata la tassa sui rifiuti la rendono non equa, a sfavore delle famiglie più povere e non in grado di portare a una gestione equilibrata del problema dell’immondizia con il quale l'Italia, e come già accennato Roma in primis, ha a che fare.

Lo studio di Bankitalia sottolinea in effetti l’importanza della tassa per le finanze degli enti locali che assicura un gettito di 10 miliardi (il 60% del quale a carico delle famiglie) e pari a un quinto delle entrate comunali. Si tratta tra l’altro dell'unico tributo sulla prima casa dopo l'abolizione della già citata Imu nel 2016.

Ma proprio per questo occorre che la Tari, e qui viene il punto centrale della ricerca, non sia appunto un'imposta "patrimoniale occulta", bensì una benefit tax, ovvero un prelievo dato come corrispettivo di un servizio che da un lato disciplina i cittadini a produrre meno rifiuti, dall'altro contiene i bilanci pubblici e induce a una gestione più efficiente dei rifiuti stessi. E come fare per ottenere tutto ciò?

Tassare la quantità di rifiuti

Gli studiosi della nostra Banca centrale non si sottraggono al compito di proporre una possibile nuova e diversa impostazione della Tari, e anzi, danno una risposta molto chiara: bisognerebbe introdurre una tassazione che tenga conto dell’effettiva quantità di rifiuti prodotti, e non articolata invece solo in base alle dimensioni della casa e al numero di componenti della famiglia.

Lo studio in sostanza suggerisce di definire una tariffa in modo tale che essa diventi “un sistema a punti” legato alla produzione di immondizia: una modalità che si potrebbe avvalere di alcune innovazioni tecnologiche tra l’altro già largamente usate all'estero.

Adesso infatti, conclude  la ricerca, "la tassa dipende solo dalla dimensione e non dal valore dell'immobile e il prelievo non discrimina adeguatamente fra famiglie in base alla produzione di rifiuti". Chissà che un adeguamento della Tari in questo senso non possa rendere questa odiata tassa un minimo più accettabile dalla cittadinanza. Staremo a vedere.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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