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Economia

Autonomia Fiscale: cosa possono ottenere Veneto e Lombardia

I governatori delle due regioni vogliono trattenere più imposte pagate dai residenti. Ma devono muoversi tra i vincoli della Costituzione

Quasi 54 miliardi di euro per la Lombardia e più di 18 miliardi per il Veneto. Da qualche giorno, prima e dopo i referendum per le autonomie di domenica scorsa, il dibattito politico si è concentrato  attorno a queste cifre. Si tratta dei cosiddetti residui fiscali, cioè le differenze tra quanto i residenti delle due più popolate regioni del Nord Italia versano ogni anno all'erario sotto forma di imposte e quanto ricevono in cambio in termini di trasferimenti e servizi.

Secondo le statistiche, lombardi e veneti danno in solidarietà  al resto del paese molto più di quello che ottengono in cambio, per una cifra compresa tra i 3.700 e i 5.500 euro all'anno a testa (fonte Cgia di Mestre). Cambierà qualcosa dopo i due referendum di domenica scorsa, dove c'è stata una valanga di sì a favore di una maggiore autonomia di entrambe le regioni?

Cosa dice la Costituzione

I governatori di Veneto e Lombardia, Luca Zaia e Roberto Maroni, vorrebbero dare un taglio netto a questi residui fiscali, trattenendo gran parte delle imposte che oggi si indirizzano verso lo Stato centrale. Nel breve termine, però, è difficile che i loro desideri vengano accontentati, per una serie di ragioni dovute al funzionamento del nostro sistema fiscale e ai contenuti della Costituzione.

Premessa: già oggi, tutte le regioni italiane a statuto ordinario (compresi il Veneto e la Lombardia) godono di una certa autonomia finanziaria, avendo il potere di trattenere per sé il gettito dell'irap, l'addizionale irpef di loro competenza, le imposte automobilistiche,  una parte delle accise sul gas e i carburanti, oltre ad altri tributi minori.

Con le somme incassate attraverso il fisco, le giunte regionali finanziano una serie di attività, in primis l'assistenza sanitaria nelle Asl e negli ospedali pubblici. Gran parte delle imposte  (circa l'80% secondo la Cgia di Mestre) finisce invece nelle casse dello Stato centrale. L'irpef ordinaria, l'ires sui redditi societari, l'iva e molti altri altri “balzelli” imboccano infatti la strada per Roma, per coprire una serie di spese gestite direttamente dal governo o per essere redistribuite tra le varie regioni.

Negoziati con Roma 

Per cambiare questo sistema, ci vuole ben più di un semplice referendum consultivo come quelli di domenica scorsa. “Innanzitutto vanno rispettate le disposizioni dell'articolo 116 della Costituzione”, spiega Guido Rivosecchi, ordinario di diritto costituzionale alla facoltà di giurisprudenza all'Università LUMSA- sede di Palermo, che si è occupato a lungo di temi legati al federalismo fiscale.


In particolare, l'articolo 116 prevede che le singole regioni (quelle a statuto ordinario) possano negoziare particolari condizioni di autonomia su  23 materie che possono rientrare tra le loro competenze (per esempio l'istruzione, il lavoro o le professioni). L'Emilia Romagna lo sta già facendo, con una procedura di negoziazione avviata anche senza aver indetto prima un referendum consultivo. 

Anche per l'autonomia di veneti e lombardi, dunque, occorre un confronto tra i presidenti delle due regioni e il governo di Roma, seguito poi dall'approvazione di una legge dello Stato, che avviene con una “procedura rafforzata”, cioè con il voto favorevole della maggioranza dei componenti di entrambe le Camere (non dunque con  la semplice maggioranza dei presenti).

Trasferimenti di funzioni

“In questi negoziati  con il governo, ammesso che vadano a buon fine”, aggiunge Rivosecchi, “può essere concordato il trasferimento alla regione di alcune funzioni amministrative rimaste finora in capo allo Stato centrale”.

Tra le materie oggetto delle trattative, stabilite dall'articolo 117 della Costituzione, non ci sono però le entrate fiscali. Di conseguenza il governatore non può  chiedere di trattenere per sé quasi tutte le imposte solo perché sono pagate dai residenti della sua regione.

“Tuttavia”, spiega il costituzionalista dell'Università Lumsa, "una volta deciso lo spostamento di alcune funzioni amministrative dallo stato centrale alla periferia, ovviamente potrà essere stabilito con quali risorse finanziarie dovranno essere coperte le eventuali maggiori spese affrontate dalla regione per svolgere i maggiori compiti acquisiti".

Dunque, non è affatto escluso in teoria che i due governatori riescano a strappare un bel po' di gettito fiscale al governo di Roma, anche se va considerato un aspetto importante. C'è un altro articolo della Costtuzione, il numero 119, che stabilisce l'obbligo per le regioni di essere solidali col resto del paese e di partecipare a un fondo di perequazione, con cui il governo trasferisce soldi verso le aree geografiche che, per il numero ridotto di abitanti o per altri motivi, hanno bisogno di essere sostenute dallo Stato centrale. Dunque, l'idea di trattenere  tutte le imposte dentro i confini regionali (o quasi tutte) non è facile da praticare. 

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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