Perché non possiamo fare a meno dell'euro in 5 punti
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Economia

Perché non possiamo fare a meno dell'euro in 5 punti

Ecco che cosa succederebbe se uscissimo dalla moneta unica. E quali effetti negativi avremmo dal ritorno alla lira

È difficile, dopo che hai liberato il mostro di Frankenstein, riportarlo in gabbia e illudersi che non sia successo nulla.

Per quanto il premier Giuseppe Conte, il vice Luigi Di Maio o il ministro dell’Economia Giovanni Tria si affannino nel rassicurare che l’Italia non vuole uscire dall’euro, i mercati restano dubbiosi. Basta osservare l’andamento dei credit default swap, polizze assicurative con cui gli investitori si coprono dal rischio di insolvenza di un’azienda o di uno Stato.

In questi giorni, ha rivelato Il Sole-24 Ore, i prezzi dei Cds assegnano una probabilità bassa all’ipotesi di insolvenza dell’Italia (13 per cento), e più alta alla possibilità di un’uscita dall’euro (24 per cento circa).

Possibile? E dire che gli italiani non sono favorevoli all’uscita dall’euro: nel sondaggio Eurobarometer del 2017 gli anti-moneta unica erano il 40 per cento degli intervistati, mentre in un’indagine analoga condotta nelle scorse settimane dal Corriere della Sera la percentuale pro-ritorno alla lira è scesa sotto al 30. Ma gli investitori hanno la memoria lunga, e si ricordano le campagne del Movimento 5 Stelle per un ritorno alla sovranità monetaria. O i "no-euro day" organizzati nel 2013 dal leader della Lega Matteo Salvini, ora vice-premier.

E se anche avessero i ricordi annebbiati, a risvegliarli ci pensano le sparate di Claudio Borghi, deputato del Carroccio e presidente della Commissione bilancio della Camera: poco più di due settimane fa, il 2 ottobre, se n’è uscito con questa frase: "Sono straconvinto che l’Italia con una propria moneta risolverebbe gran parte dei propri problemi» per poi rassicurare subito dopo che 'l'uscita dell'Italia dall'euro non è nel contratto di governo'".

Il problema è che al di là delle dichiarazioni dei politici, l’Italia potrebbe scivolare fuori dall’euro non per propria volontà, ma perché la sua politica diventerebbe incompatibile con la partecipazione alla moneta unica.

Il 12 ottobre scriveva in prima pagina il quotidiano conservatore tedesco Die Welt: approvando una manovra economica, che sposta il rapporto deficit-Pil al 2,4 per cento, il governo gialloverde ha di fatto innescato una «gara finale» con l'Unione europea. "Anche così si arriva dall'euro alla lira" ammoniva il giornale.

1. Che succede che usciamo dall’euro?

Ora, per assurdo, immaginiamo il mostro di Frankenstein si materializzi e davvero l’Italia esca dall’euro. Che cosa succederebbe alle famiglie, alle banche e alle imprese?

Come avverte Ignazio Angeloni, membro del consiglio di Vigilanza della Bce, già soltanto l’avvicinarsi di un evento come l’uscita dall’euro scatenerebbe fughe di capitali senza precedenti; non solo da parte di speculatori professionali, ma di persone di tutti i ceti sociali, che cercherebbero di difendere i loro risparmi dal rischio di riconversione in una moneta più debole.

"La fuga dei risparmiatori verso altri Paesi e verso beni rifugio" ha scritto Angeloni "costringerebbe qualunque governo ad adottare provvedimenti restrittivi soprattutto sui pagamenti con le banche, come dimostra la traumatica esperienza dei greci, che nel 2015 videro congelare i propri depositi (ancora oggi sottoposti a parziale controllo!) prima che il governo decidesse di adottare misure per invertire le attese di uscita dall’euro. Né la vita dopo l’introduzione di una moneta nazionale sarebbe più facile; anzi.

La moneta subirebbe rapidamente una perdita di valore sostanziale; un terzo è una stima prudente. Tutti i beni che importiamo, a cominciare dall’energia che usiamo per muoverci, riscaldarci e far funzionare le nostre imprese, aumenterebbero in proporzione, con immediato impoverimento di tutti, soprattutto dei meno agiati".

Alla perdita di potere di acquisto delle famiglie si aggiungerebbero i problemi per il sistema bancario che rischierebbe l’insolvenza e che richiederebbe forti iniezioni di capitale da parte dello Stato.

"Le banche si finanziano in larga parte con depositi, che possono essere ritirati in qualunque momento allo sportello o per via informatica. La transizione a una moneta nazionale sarebbe un invito a prelevare; da qui una crisi di liquidità che diventerebbe rapidamente insolvenza" spiega Angeloni.

2. La svalutazione non aiuterebbe le imprese?

Ammettiamo che dopo un po’ la tempesta si plachi. Le imprese non potrebbero giovarsi della libertà di manovra sui cambi per diventare più competitive e quindi trascinare il Paese verso la ripresa?

Gli stessi imprenditori non ne sono affatto convinti. Ecco per esempio cosa dice Lauro Buoro, presidente della Nice (multinazionale veneta da 325 milioni di fatturato che produce sistemi per l'automazione della casa): "Se l’Italia uscisse dall’euro, io e la mia azienda ce ne andremmo immediatamente in un Paese dove c’è la moneta unica. Tornare alla lira sarebbe un disastro. La moneta europea ci ha dato un’apertura internazionale, una maggiore credibilità sui mercati extra-continentali. Ormai la competizione non si fa sul prezzo ma sulla qualità".

Parere condiviso da Matteo Tiraboschi, vicepresidente esecutivo della Brembo, la multinazionale italiana dei freni: "La Brembo non sarebbe quello che è ora se non ci fosse stato l’euro. Avere una moneta forte, che si può confrontare alla pari con le altre valute del mondo, è stato utilissimo per un’azienda come la nostra, che esporta i suoi prodotti in 70 Paesi. Ci permette di presentarci con maggiore credibilità di fronte ai nostri interlocutori. La svalutazione sarebbe un rimedio di breve periodo, un palliativo che non compenserebbe i vantaggi rappresentati dall’adesione all’euro".

3. L’euro ci ha impoverito?

Un terzo degli italiani, e alcuni politici oggi al potere, sono convinti che con la lira si stesse meglio e che la colpa della scarsa crescita dell’Italia sia dell’euro e delle sue regole.

Intanto andrebbe ricordato che prima dell’avvio delle politiche di avvicinamento alla moneta unica, in Italia l’inflazione viaggiava oltre il 10 per cento e i tassi dei mutui erano al 12 per cento.

Con un’inflazione stabile, invece, i meno abbienti sono più tutelati dall’erosione della loro ricchezza e del loro potere d’acquisto. E dal 1999 a oggi l’Italia ha vissuto il più lungo periodo della sua storia recente senza crisi valutarie e finanziarie, nonostante gli effetti della recessione economica globale.

Come sottolinea Franco Bruni, professore ordinario di Teoria e politica monetaria internazionale all’Università Bocconi, "con l’euro abbiamo avuto la stabilità monetaria, inflazione e tassi di interesse più bassi, maggiore libertà nel trasferimento di capitali. E le banche sono sottoposte a una sorveglianza molto più severa rispetto al passato".

E le imprese che dicono di aver sofferto una crisi profonda a causa dell’euro? Tiraboschi della Brembo replica che le aziende a soffrire di più sono state quelle orientate principalmente al mercato domestico: "Nel loro caso, secondo me, non è stato l’euro la causa dei loro problemi, ma la globalizzazione, la concorrenza da parte dei produttori a basso costo".

"Certo" riconosce Francesco Saraceno, membro del consiglio scientifico della Luiss School of European Political Economy, 2con la lira il governo avrebbe mani libere per fare finalmente una politica espansiva, svincolata delle regole europee. Ma è davvero questa la causa della bassa crescita dell’Italia? La gabbia delle regole europee?" 

A chi sostiene che la camicia di forza imposta dall’euro sia la ragione di tutti i nostri mali, l’economista della Luiss Veronica de Romanis risponde che le regole fiscali assicurano stabilità e, quindi, crescita come detto varie volte dal ministro Tria.

I dati lo dimostrano: il deficit medio dell’eurozona è pari a 0,7 per cento, di gran lunga inferiore alla soglia del 3, mentre la crescita media è al 2,3 per cento, quasi due volte quella dell’Italia".

De Romanis cita in particolare l’esperienza di economie come la Spagna e il Portogallo che in passato hanno dovuti risolvere pesanti crisi e sono state salvate grazie a aiuti finanziari europei: "Quando si è sotto programma di salvataggio (e quindi con la Troika in casa), il rispetto delle regole implica mettere il disavanzo su una traiettoria decrescente.

Questo è ciò che stato fatto sia dal governo di Madrid che da quello di Lisbona: la Spagna ha ridotto il deficit di oltre 7 punti percentuali (dal 10,5 per cento del 2012), il Portogallo di 8 punti percentuali (dal 11,1 del 2011). Entrambi i Paesi oggi crescono più dell’Italia e più della media europea, rispettivamente del 3,1 e del 2,7 per cento".

4. E se fossimo rimasti fuori?

Ci sono anche i Paesi europei che non hanno aderito alla moneta unica e godono di ottima salute, ma Bruni fa notare che "di fatto hanno adottato una politica allineata a quella dell’area euro, senza svalutare in modo aggressivo". E mantenendo i conti in ordine come la Polonia, che ha un debito pari ad appena il 50 per cento del Pil, a differenza di quanto si ostina a fare l’Italia. "Purtroppo, dopo l’adesione all’euro" spiega Fedele De Novellis, economista del centro di ricerche Ref "le politiche economiche italiane sono state per lo più sbagliate: si è speso il dividendo dei bassi tassi d’interesse senza farlo confluire su politiche in grado di innalzare la crescita (istruzione, infrastrutture). Ci siamo persi lo strumento del cambio senza utilizzare i benefici dell’euro per sostenere la crescita". E se fossimo rimasti fuori? "Non possiamo sapere come sarebbe andata, anche se visti i soggetti al governo difficilmente avrebbero fatto di meglio senza l'euro. In definitiva, euro o meno, i nostri problemi ce li siamo creati da soli".

5. Ma alla fine, ci cacceranno dall’euro?

Lo scenario paventato da Die Welt potrebbe realizzarsi davvero? Il resto dell’Europa, stanca di un’Italia che non è mai disposta a fare sacrifici, ci caccerà fuori dall’euro? Da Francoforte, dove insegna monetary and fiscal policy alla Goethe University, Ester Faia lancia messaggi rassicuranti: "Credo che il rischio sia basso. Credo che la propaganda del populismo italiano sarà fermata dai mercati. Vede, uno può anche decidere di uscire dall'Europa, ma poi per finanziare il debito deve chiedere i soldi a qualcuno. E se gli investitori pensano che l'Italia non ripagherà, aumenteranno lo spread o non la finanzieranno più". È questo che vogliono Di Maio e Salvini?

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Guido Fontanelli