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Economia

Le banche nelle sabbie mobili dell'immobiliare

Il crollo del valore delle case ha spinto gli istituti a chiedere maggiori garanzie o ad aumentare i tassi, causando fallimenti e chiusure

Non è una bella stagione per le banche europee, che dall’inizio dell’anno hanno perso il 25 per cento del loro valore in Borsa e ora subiscono i contraccolpi della Brexit e degli stress test, che hanno messo a nudo i punti deboli di ogni istituto. Ancora peggio è andata alle banche italiane, che dall’inizio dell’anno hanno perso quasi il 50 per cento del loro valore, e a ogni seduta borsistica subiscono le conseguenze degli umori dei mercati.
In questa situazione è normale che governo, ministero dell’Economia e Banca centrale ci rassicurino: state tranquilli, non ci sono rischi sistemici, le nostre banche sono solide, a risanare le poche mele marce provvederemo noi con alchimie più o meno comprensibili, a partire dal Fondo Atlante. È sempre successo che la politica nascondesse la polvere sotto il tappeto, e sempre succederà.
Però, per chi non è obbligato dal proprio ruolo a recitare una parte già scritta, le cose stanno diversamente. Operatori economici e comuni cittadini vorrebbero capire perché le banche italiane soffrono sui mercati, e come se ne può uscire. Il problema è che sia la diagnosi sia le ricette che ne conseguono sono controverse, e quindi tutt’altro che condivise.
Secondo alcuni, il problema di fondo è la natura clientelare del credito erogato. Le banche, soprattutto quelle piccole, fortemente radicate in uno specifico territorio, prestano soldi in cambio di favori, o obbligando i clienti ad acquistare azioni della banca, senza riguardo al merito di credito, ossia alla solidità e affidabilità di chi chiede denaro a prestito. Di qui un aumento del rischio che i soldi prestati non tornino indietro. Su questa linea interpretativa si muove una parte della stampa italiana, ma la medesima diagnosi è stata recentemente riproposta da autorevoli giornali esteri, come il Guardian e il Financial Times.
Secondo altri, il problema di fondo è il nostro debito pubblico, o meglio il fatto che una parte assai consistente di esso sia detenuta dalle banche. Il mero fatto che i tassi di interesse sui titoli pubblici possano, per qualsiasi ragione, interna o internazionale, subire un aumento, rende perciò stesso rischioso detenere titoli pubblici, e rende di conseguenza altamente vulnerabili le banche che li hanno in pancia.
Secondo altri ancora, il problema è più fondamentale, e in certo senso più semplice. In questi anni di crisi l’Italia ha perso quasi un quarto del suo apparato produttivo, e questo basta ampiamente a spiegare perché le banche non riescono ad avere indietro i loro soldi: se i soldi prestati non rientrano è semplicemente perché nel frattempo i prestatari sono falliti.
C’è però anche un altro modo di ricostruire la storia dei questi anni. A me l’ha suggerito un imprenditore, o meglio un «vignaiolo», come lui si definisce visto che coltiva la vite e produce vino. E la sua spiegazione, tutto sommato, mi pare molto più capace di andare al nucleo del problema di quelle standard. Provo a riassumerla, nel breve spazio a disposizione.
Il nesso fra crisi bancaria e crisi industriale c’è, ma il rapporto di causa ed effetto va rovesciato. Se è vero che le cosiddette sofferenze bancarie, o crediti deteriorati, o Npl (Non performing loans) sono aumentati perché molte imprese sono fallite o hanno dovuto restringere l’attività, è altrettanto vero - forse ancora più vero - che molte imprese sono fallite proprio perché le banche hanno improvviamente e drasticamente stretto i cordoni del debito. Ma perché le banche hanno erogato meno credito, o preteso tassi di interesse più elevati?
Qui viene la parte più interessante della spiegazione. La maggior parte del credito erogato dalle banche, almeno nei confronti di professionisti, artigiani, piccole e medie imprese, è garantito da proprietà immobiliari. Il crollo dei valori degli immobili ha automaticamente svalutato il valore delle garanzie offerte dai clienti delle banche. Le quali banche, giustamente dal loro punto di vista, hanno di conseguenza preteso garanzie ulteriori o aumentato i tassi di interesse. Di qui un aumento dei fallimenti e delle chiusure, e un ulteriore indebolimento della posizione delle banche, in una spirale che ha travolto tutto e tutti.
A me la spiegazione pare molto persuasiva, anche perché in Italia il crollo del valore degli immobili (case e capannoni industriali) è stato molto maggiore di quello che le statistiche raccontano, e certamente maggiore di quello della maggior parte dei Paesi europei. Forse, scegliere di affrontare la crisi massacrando la proprietà immobiliare non è stata la più lungimirante delle scelte.

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Luca Ricolfi