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ANSA/EPA/FOCKE STRANGMANN
Economia

Perché il caso Huawei spaventa così tanto i mercati

Conosciuta per gli smartphone, in realtà la società cinese opera soprattutto nel settore strategico delle infrastrutture per telecomunicazioni

Continua a suscitare reazioni, l’arresto del direttore finanziario di Huawei, Meng Wanzhou, figlia del fondatore della stessa società Ren Zhengfei. La manager cinese, considerata l’erede naturale alla guida dell’azienda, è stata fermata dalle autorità canadesi a Vancouver in relazione a un mandato di cattura spiccato dagli Stati Uniti che accusano la donna di aver violato le sanzioni americane contro l'Iran.

Una vicenda che rischia di far scoppiare un caso diplomatico tra Pechino e Washington, soprattutto perché le ragioni vere dello scontro sarebbero legate ad accuse di spionaggio, visti gli stretti legami dell'azienda con il governo cinese.

A questo proposito è il caso di ricordare che prima di fondare la Huawei nel 1987, Ren Zhengfei era stato un ufficiale dell'esercito popolare cinese. Ma per capire le motivazioni di questa malcelata preoccupazione americana, bisogna fare chiarezza su quelle che sono le attività nelle quali è impegnata Huawei.

Infrastrutture e telecomunicazioni

È vero infatti che il colosso tecnologico cinese è conosciuto principalmente per gli smartphone, grazie ai quali tra l’altro in pochi anni ha conquistato il secondo posto come produttore mondiale (al primo c'è Samsung), scalzando Apple.

In realtà però Huawei è soprattutto in primo piano nel settore strategico riguardante la componentistica per le telecomunicazioni. Basti pensare che i prodotti e le soluzioni Huawei sono utilizzati da 45 dei primi 50 operatori mondiali e sono impiegati in oltre 170 nazioni, circa un terzo della popolazione mondiale.

Ma non finisce qui. La creatura di Ren Zhengfei è anche tra le principali aziende che stanno realizzando infrastrutture e componenti per il 5G, tra l’altro anche in Italia, una tecnologia che nell'immediato futuro offrirà una velocità di connessione mobile maggiore e migliore copertura.

Timori e diffidenze

È quindi proprio questo ruolo molto preminente esercitato nel campo delle infrastrutture per le telecomunicazioni che fa temere che Huawei possa utilizzare la propria posizione per attività di spionaggio e di controllo delle comunicazioni.

Un pericolo giudicato talmente reale che gli Stati Uniti hanno consigliato a tutti i propri partner di diffidare della società cinese e di affidare la realizzazione delle reti ad altre società. Un allarme subito raccolto in particolare da Nuova Zelanda, Australia e Regno Unito, che hanno già deciso di rifiutare future commesse a Huawei.

Una minaccia che sembra essere stata presa sul serio anche in Italia, visto che il Copasir, il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, ha posto con urgenza la questione al governo, che per bocca del vicepremier Luigi Di Maio ha risposto di star valutando con attenzione la situazione.

Mercati in agitazione

Ma se il nostro esecutivo, così come quello di tanti altri Paesi, si sono presi, come detto, il giusto tempo per valutare come comportarsi in un prossimo futuro con Huawei, chi invece ha reagito subito, e in malo modo, sono stati i mercati.

I pesanti cali dei listini che si stanno registrando in queste ore un po’ su tutte le Borse internazionali, risentono infatti proprio delle preoccupazioni per il caso Huawei.

Molti operatori infatti avevano visto con favore un riavvicinamento tra Usa e Cina, che nel corso dell’ultimo G20 di Buenos Aires, avevano deciso una sorta di moratoria sulla sanguinosa guerra dei dazi che tanti problemi sta creando al commercio internazionale.

L’arresto di Meng Wanzhou, potrebbe invece ora ontribuire a riaccendere lo scontro tra Washington e Pechino, con esiti al momento non pronosticabili. E intanto i listini azionari vanno giù.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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