Brexit-May-Juncker
EPA PHOTO/ANSA/ANDY RAIN
Economia

Brexit: perché la Gran Bretagna deve pagare 100 miliardi

Il Regno Unito è obbligato a mantenere i suoi impegni di spesa con l'Unione Europea fino almeno al 2019-2020. Ecco il conto salato per Londra

Divorzio o abbandono di un club? Ecco il dilemma su cui ruoteranno i negoziati per la Brexit, l'uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea che, da questione politica qual era inizialmente, si sta trasformando sempre più in una questione di soldi.

Sono quelli che il Regno Unito dovrà versare all’Ue, per abbandonarla una volta per tutte a partire dal 2019. Ieri è circolata una cifra che ha fatto subito discutere: 100 miliardi di euro circa, miliardo più, miliardo meno. A tanto ammonterebbe il costo totale a carico del governo di Londra portato in dote dalla Brexit.

Ma come si è arrivati a questa cifra astronomica? Per capirlo, va fatta innanzitutto una premessa: si tratta per ora di semplici stime, che variano a seconda della prospettiva presa in esame dagli analisti. Gli esperti del Financial Times, per esempio, hanno calcolato una somma compresa tra 91 e 113 miliardi di euro mentre il think thankBruegel, istituto specializzato negli studi internazionali, ha stimato un costo della Brexit tra 82 e 109 miliardi.

A parte i dettagli, però, il ragionamento che sta alla base dei calcoli è più o meno lo stesso: l’Unione Europea ha delle passività finanziarie e degli impegni di spesa già assunti, a cui la Gran Bretagna deve contribuire come stato membro, per una quota che varia tra il 12 e il 15%.

La lista della spesa

Per gli interventi già messi in cantiere con i programmi comunitari, Londra deve dunque  liquidare una somma di circa 30-40 miliardi di euro e altri 20-30 miliardi deve pagarli per i programmi che verranno attuati nel biennio 2019-2020.

Fra due anni Londra sarà fuori dall’Ue ma in quel momento ci saranno molte spese già preventivate negli anni precedenti, quando il Regno Unito era ancora dentro l’Unione. Pure per queste voci di costo, dunque, la Gran Bretagna dovrà dare il suo contributo.

Lo stesso vale per altre passività finanziarie dell’Ue già contabilizzate e per varie voci di costo come il rimborso dei prestiti comunitari (6-8 miliardi) o le pensioni da pagare  ai cittadini europei residenti Oltremanica. Tirando le somme, il “debito” di Londra con Bruxelles ammonta appunto a 90-110 miliardi.

Nel lungo termine, però, questa cifra dovrebbe essereridursi e scendere tra 55 e 75 miliardi secondo il Financial Times o tra 45 e 65 miliardi di euro secondo gli analisti di Bruegel. La Gran Bretagna, infatti, non ha soltanto dei debiti ma anche dei crediti nei confronti dell’Ue.

Innanzitutto, non va dimenticato che una parte dei programmi di spesa dell’Unione Europea  (per una 30ina di miliardi di euro circa nei prossimi anni) andranno a beneficio anche del Regno Unito. Inoltre, va ricordato pure che l’Ue possiede  degli asset non trascurabili, per esempio oltre 20 miliardi di disponibilità liquide, quasi 9 miliardi di euro di immobili e circa 10 miliardi di altre attività finanziarie.

Se una parte di questo patrimonio venisse restituito alla Gran Bretagna in proporzione al suo peso attuale nell’Unione Europa, a Londra spetterebbero in teoria attività per un valore di 6-9 miliardi.

Divorzio o uscita da un club?

Ma è proprio attorno a quest’ultimo punto che nasce il dilemma: la Brexit va considerata come la fine di un matrimonio o una semplice uscita da un club? Nel primo caso, come in tutti i matrimoni che si interrompono, Londra avrebbe molte buone ragioni per accampare qualche diritto su una parte di patrimonio dell’Unione.

Se invece la Brexit verrà considerata come il semplice abbandono di un club di stati, allora sarà difficile per il socio uscente pretendere di mettere le mani sui beni che appartengono ormai anche a tutti gli altri membri dell’Ue.

Non a caso, oggi Francia e Germania spingono per considerare la Brexit proprio così: non un matrimonio, ma l’uscita da un club.  Chi decide di andarsene, insomma, ha ben pochi diritti da vantare.

Per saperne di più

I più letti

avatar-icon

Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

Read More