Come nasce un giocattolo
Ufficio stampa Quercetti
Economia

Come nasce un giocattolo

Messo sotto pressione dalla concorrenza del digitale, il settore coinvolge i bambini nell'ideazione dei prodotti. E dedica sempre più risorse alla ricerca

Sembra un complicatissimo progetto uscito dai laboratori di un’industria aeronautica: in realtà è il disegno tecnico di una nuova pista per biglie creata dalla Quercetti, azienda torinese da 10 milioni di fatturato. I bambini che ci giocheranno non immagineranno di certo quanto lavoro c’è alle spalle di questo passatempo da una ventina di euro. Ma dietro a ogni giocattolo c’è un lungo processo di ricerca, che in alcuni casi coinvolge gli stessi clienti, ovvero i ragazzini e i loro genitori.

Basta vedere che cosa sta facendo il più grande gruppo del settore al mondo, la danese Lego (5 miliardi di giro di euro d’affari): dopo aver subito un calo del fatturato (il primo in 13 anni) del 5 per cento nel primo semestre del 2017, il presidente Jorgen Vig Knudstorp ha promesso un cambio di management e uno snellimento dell’organizzazione, ma anche una maggiore attenzione alle richieste dei bambini. Per questo i potenziali clienti verranno chiamati a partecipare allo sviluppo di prodotti che uniscono il mondo fisico dei mattoncini con quello digitale.

Dietro alla frenata dei ricavi della Lego, ci sarebbe il flop dei personaggi legati all’ultimo film targato Star Wars, Rogue One, e al cartone Lego Batman. Il che dimostra come proporre giocattoli legati al mondo del cinema non sempre funzioni. «I prodotti più di successo sono di due tipi» spiega Palo Taverna, direttore dell’Assogiocattoli (che riunisce gli operatori del settore). «Ci sono i giocattoli su licenza, come quelli basati sui cartoni Marvel, sui Puffi o su Star Wars, che rappresentano una scelta facile ma rischiosa, perché non sempre il film ha l’audience sperata. E poi ci sono i giochi educativi o didattici, in forte sviluppo insieme ai pupazzetti venduti nelle bustine in edicola o nei negozi».

Un mercato da 1,8 miliardi

Il mercato italiano dei giocattoli, dove operano un centinaio di aziende nazionali, vale 1,8 miliardi ed è in crescita del 5 per cento, nonostante la concorrenza di smartphone e tablet con le loro applicazioni ludiche. L’avvento del digitale, però, ha abbassato l’età dei consumatori: al massimo si arriva a conquistare i ragazzini di 10 anni, mentre l’area dove si vende di più è quella dei bambini di età prescolare.

In questo settore è forte l’americana Mattel (4,4 miliardi di euro di fatturato) con il suo marchio Fisher Price: per studiare nuovi giocattoli, la società ha creato negli Usa i Play Lab dove ogni anno vengono testate un migliaio di idee su 1.200 bambini e altrettanti genitori. In una sede della Fisher Price è stato allestito un vero appartamento dove i bambini interagiscono con i giocattoli e i ricercatori li possono osservare non visti. Tra gli ultimi frutti di questo lavoro, il Codabruco, che insegna ai bimbi in età prescolare i primi rudimenti di programmazione.

Alla Clementoni, azienda di Recanati (Macerata) con 185 milioni di fatturato di cui più della metà realizzati all’estero, circa il 10 per cento dei 600 dipendenti sono impegnati nell’ideazione di nuovi prodotti. «Siamo specializzati in giochi educativi dalla prima infanzia fino alla scuola media» dice l’amministratore delegato Giovanni Clementoni.

«Il giocattolo di successo è quello che riesce a interpretare meglio i desideri e le necessità dei bambini, e nasce dopo uno studio costante e approfondito del suo rapporto con il gioco. Siamo in contatto con alcune scuole e famiglie distribuite sul territorio nazionale per effettuare i test dei nostri prototipi e ciascuna indagine coinvolge almeno un centinaio di bambini con i loro genitori». Ogni anno la Clementoni sforna 300 nuovi prodotti, a cui si aggiungono gli adattamenti per l'estero. Alcuni sono l’evoluzione elettronica dell’intramontabile Sapientino, nato nel 1967, altri, come i robot programmabili, sono frutto di anni di studio.

A dimostrazione che il giocattolo materiale può resistere all’offensiva dei passatempi digitali, c’è l’incredibile successo dei «chiodini» della Quercetti: inventati dal fondatore Alessandro Quercetti nel 1953, erano fiammiferi in legno e con la capocchia in ceralacca colorata da infilare in una tavoletta piena di buchi per formare dei disegni. Lo scorso annola produzione del chiodino (ora in plastica) è cresciuta del 50 per cento e nel solo 2016 sono stati prodotti 1,6 miliardi di pezzi.

Il merito è dei creativi dell’azienda che hanno inventato una nuova versione del gioco, chiamata Pixel Art e destinata a ragazzi più grandi. Inseriti nelle tavolette traforate, i chiodini (più piccoli di quelli tradizionali) permettono di realizzare ritratti, paesaggi, riproduzioni di opere d’arte molto accurati. Un successo che ha alle spalle un anno e mezzo di ricerca e sviluppo. Alberto Quercetti, uno dei tre figli del fondatore, è il «chief design officer» della società: «Prima di lanciare un nuovo prodotto» racconta «effettuiamo ricerche molto approfondite sulle tipologie di giocattoli esistenti oggi nel mondo e su quelli del passato. Individuata la tipologia di prodotto che vogliamo sviluppare, inizia la fase progettuale che deve dare anche molta importanza al design».

Tra i giochi inventati da poco, la pista in plastica per biglie, per portare a casa le competizioni da spiaggia. Tra quelli che vengono dal passato c’è invece il mitico missile a fionda Tor riproposto ora in una nuova versione. Anno di nascita del primo esemplare: 1959. E mai ritirato dalla produzione.

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Guido Fontanelli