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Economia

Benetton: il ritorno di Luciano, spiegato bene

A 82 anni torna alla guida del gruppo tessile per "trovare le intelligenze giuste" e "stanare i colori dal mondo"

“A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino”.

A ottantadue anni compiuti, Luciano Benetton come Picasso, è tornato nella sua azienda e rilancia la sfida della creatività contro un mondo – che pure tanti anni fa ha fondato lui – che sembra averla abbandonata: “Mentre gli altri ci imitavano, la United Colors spegneva i suoi colori”, aveva detto lui, quasi gemendo, in un’intervista di tre mesi fa: “Ci siamo sconfitti da soli. I negozi, che erano pozzi di luce, sono diventati bui e tristi come quelli della Polonia comunista. E parlo di Milano, Roma, Parigi… Abbiamo chiuso in Sudamerica e negli Usa”.

E ancora: “È come se avessero tolto l’acqua a un acquedotto!”, si era sfogato parlando con Repubblica, e gettando il suo anatema, ad alzo zero, contro una gestione “malavitosa, non in senso criminale” del gruppo.

Ma non era stato chiaro fino a che punto questo dissenso addolorato potesse diventare reazione personale, potesse spingerlo al suo personale “ritorno del Grinta”. Non era chiaro che stava preparandosi a riprendere in mano il timone.

Cosa vuole fare

Ottantadue anni sono tanti per chiunque. E invece c’era una voglia di rivincita pazzesca, in quelle parole. C’era rabbia, ma anche energia; delusione ma anche determinazione.
Detto fatto, il ragazzo incorreggibile è tornato, e fa sul serio. È tornato presidente operativo del gruppo.

E vuol far vedere ai concorrenti i sorci di tutti i colori: “Vedrà che troveremo i giovani giusti. Staneremo le intelligenze dovunque si trovino, a cominciare dagli immigrati che sono una ricchezza d’energia. Li chiameremo a Fabrica a studiare e a lavorare con noi. E in poco tempo torneremo a colorare il mondo”.

Auguri al vecchio leone di Treviso, che ha subito richiamato il suo vecchio sòdale, Oliviero Toscani, per rifare una campagna di marketing “come quelle di una volta”. Sandokan alla riscossa, che richiama in servizio Janez de Gomera.

Le diversificazioni del brand

Auguri davvero. Benetton è uno dei brand italiani più italiani del mondo, ha anticipato di vent’anni i nuovi signori del fast-fashion, gli spagnoli di Zara, gli svedesi di H&M, ha capito il franchising quando non solo in Italia ma in tutta Europa pochi sapevano cosa fosse.

Ha stupito, divertito, scandalizzato con lui nudo, il presidente, in copertina o con le pubblicità provocatorie, il bacio tra prete e suora, l’agonia dell’Aids, una provocazione intellettuale speculativa per pochi, affascinante per i più, perché contaminava la melensaggine fatale in ogni “reclame” con la memoria del sociale, la consapevolezza dei problemi, la sfidante sensazione che si potesse pensare a un bel pullover ricordandosi, intanto, che nella vita e nel mondo ci sono anche le cose brutte.

Poi è come se il gruppo si fosse seduto seduto sugli allori, la famiglia ha investito nelle autostrade, negli aeroporti, nelle grandi stazioni, negli autogrill, nelle rendite di posizione che garantiscono un bel cedolone e non hanno niente a che vedere con l’industria, più da "prenditori" che da imprenditori.

Ha inutilmente tentato una scorreria nei telefoni, senza ricavarne un bel niente; ha bazzicato con Mediobanca, recitando soltanto da comparsa. E nel frattempo, l’accudimento quotidiano e il rinnovamento crreativo costante di tutto quel ben di Dio languiva, si scolorava, iniziava addirittura a perdere soldi. Fino alla ribellione indignata del fondatore, che ha richiamato accanto a sè anche la sorella Giuliana.

Auguri, davvero.

Cosa è successo al brand

Ma cos’è successo a uno dei gruppi industriali italiani tra i più innovativi del mondo per almeno vent’anni? Com’è possibile che non sia stato possibile trovare un management capace di rinnovarne i fasti? Com’è stato possibile che una famiglia perfetta, almeno apparentemente, un quartetto di fratelli affiatati e concordi non riuscisse a trovare ad esempio un passaggio generazionale efficiente?

Sono dinamiche segrete, forse impalpabile, incomprensibili da fuori: a volte capita che i figli superino i padri, e vedi ottantenni come Ennio Doris che si divertono con il figlio cinquantenne, Massimo, a fare insieme degli spot intelligenti, mentre la loro azienda fondata dall’uno e gestita dall’altro va a gonfie vele. Altre volte l’alchimia non riesce.

Come Leonardo Del Vecchio

Diciamo però che Benetton non è il solo “grande vecchio” a voler (e a dover!) tornare in campo – è questo è vero anche senza scomodare la politica, scandita in queste settimane dalle determinanti gesta dell’ottantunenne Silvio Berlusconi.

Benetton segue di poco una performance analoga decisa due anni fa da Leonardo Del Vecchio, un altro “grande del Veneto”, che dopo essersi ben molto allontanato per un decennio dalla sua Luxottica per godersi la sua villa di Montecarlo ha garbatamente cacciato il pur elogiatissimo Andrea Guerra (riparato poi sotto le tende di Matteo Renzi per tentare di fare il fenomeno della politica industriale senza peraltro riuscirci), ha ripreso il potere ed ha moltiplicato le performance dell’azienda più di quando avesse mai fatto il premiatissimo ex manager.

Perché è importante

Che sia la colpa di un management italiano che rappresenta – oggi – il residuo stanziale di una generazione di quarantenni i cui campioni se ne sono andati a lavorare all’estero? Forse, anche: certamente nel tessile, con l’eccezione di Sergio Tamborini di Marzotto, molte stelle di mezza età d buona grandezza non se ne sono viste.

Che sia la colpa di un capitalismo familiare che – al di tanti salamelecchi di facciata - continua a non lasciare spazio di crescita ai giovani?

Le chiacchiere stanno a zero, vien da dire, come capirebbero anche a Ponzano Veneto: nessuno lo sa, il “perché”. Resta il fatto che il gruppo dei pullover si è arroccato su se stesso ed ha deciso di cambiare passo, chiamando al vertice un manager di formazione e curriculum italianissimi: Luciano Benetton, fondatore. Una cosa è certa, non sarà mai l’affondatore.

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Sergio Luciano