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(Ansa)
Economia

Il miracolo della «moltiplicazione» delle batterie per l'auto elettrica

L'Europa annuncia l'indipendenza dalla Cina già nel 2027. Ma le cose non stanno proprio così

La dipendenza europea dalla Cina nella produzione globale di batterie agli ioni di litio, in ogni fase della catena di approvvigionamento dall’estrazione mineraria alla raffinazione fino alle celle delle batterie potrebbe finire già nel 2027. Un miracolo? Non secondo l’analisi di Transport & Environment T&E che spiega come l'Europa potrebbe produrre il 100% delle batterie necessarie per alimentare l’industria europea dei veicoli elettrici dal 2027.

In realtà, leggendo più nel dettaglio, si scopre che solo il 50% della domanda di idrossido o carbonato di litio potrebbe provenire da progetti europei entro il 2030. Le materie prime per alimentare le gigafactory europee proverranno da miniere europee solo a condizione che soddisfino elevati standard ambientali, diversamente saranno miniere sparse nel pianeta, dove gli standard ambientali sono un problema per chi in quei luoghi ci vive, a rifornire il Vecchio Continente. Il riciclo interverrà con volumi significativi non prima del 2030 e comunque difficilmente inciderà oltre il 10% della domanda.

Il primo dato che appare quindi scontato è che la produzione delle materie prime non sarà europea, se non in parte, e non pare un caso la visita del cancelliere tedesco Scholz nel “triangolo del litio” in Sud America per parlare (anche) dell’approvvigionamento di materie prime. Questo aspetto non è secondario. Ci avviamo verso un’evoluzione del mercato dove sempre più, i paesi che detengono le risorse, mirano a trattenere localmente l’intera catena del valore. Iniziative non gradite a Bruxelles, che si è recentemente pronunciata a favore della risoluzione dell'Organizzazione mondiale del commercio, OMC, che ritiene che il bando di esportazione dell'Indonesia e l'obbligo di trasformazione interna del nichel, violi le norme dell'OMC.

Come dettano le leggi delle catene di approvvigionamento, possiamo farcela qui solo se le estraiamo qui. Il nazionalismo delle risorse è qualcosa di più di una definizione astratta è una concreta realtà che sta condizionando le catene di approvvigionamento globali. La Repubblica Democratica del Congo tutela rame e cobalto, Messico e Zimbabwe il litio, l’Indonesia il nichel e con loro molti altri paesi oltre ovviamente a Russia e Cina.

Ma più che su quanto riportato dal report è interessante focalizzarsi su quello che non viene preso in considerazione: partiamo dal litio. Il report afferma di aver identificato in Europa una capacità teorica di 94.000 tonnellate di litio entro il 2030. Correttamente in una nota viene specificato che sono stati presi in considerazione tutti i potenziali progetti che sono stati annunciati pubblicamente al fine di valutare il pieno potenziale dell'Europa.

Come dire: relata refero.

Ma basarsi sugli annunci può portare ad errori grossolani: circa un paio d’anni fa sembrava che la Serbia potesse produrre tutto il litio che serviva all’Europa, e le premesse c’erano tutte: un importante riserva di minerale, operazioni gestite dalla seconda compagnia mineraria al mondo, Rio Tinto, importanti investimenti, eppure non se ne è fatto niente. Perché? Perché le popolazioni locali hanno temuto che la miniera potesse compromettere le loro risorse idriche ed il governo ha preferito fare marcia indietro.

E badate bene che le preoccupazioni dei serbi non sono infondate. Solo un paio di mesi fa in Cina, dove solo ora la protezione dell'ambiente comincia ad acquisire un significato compiuto, alcune raffinerie di litio a Yichun, nella provincia di Jiangxi, hanno sospeso le operazioni a seguito di un'indagine ufficiale sull'inquinamento del fiume locale, Jin. La città di Yichun è conosciuta come la "capitale del litio dell'Asia". Nel 2021, in quest’area sono state prodotte 81.000 tonnellate di carbonato di litio, più di un quarto del totale della Cina. L'estrazione del litio dal minerale di bassa qualità genera molti rifiuti, tra cui sterili e polvere di feldspato di litio, che devono essere trattati. L'Ufficio per la protezione dell'ambiente ritiene che l'inquinamento del fiume Jin sia legato alla produzione di litio nella provincia.

Alcuni dei progetti estrattivi che dovrebbero rifornire le gigafactory del Vecchio Continente sono basati sulla tecnologia Direct Lithium Extraction, DLE, la cui impronta ambientale sarebbe significativamente ridotta rispetto al processo tradizionale. Uno dei progetti citati, quello di Vulcan Energy Resources in Germania, viene definito il primo progetto DLE di più alto profilo in Europa. Tuttavia i tecnici del Karlsruhe Technology Institute, KIT, tedesco vedono il piano di Vulcan come irrealistico. Sostengono che le analisi sin qui condotte sono ancora in divenire e non sono compiutamente definite le dimensioni e le origini delle risorse di litio nei sistemi geotermici. Inoltre, queste tecnologie di estrazione sono in una fase di prototipo che deve ancora superare i test a lungo termine, che non sono ancora nemmeno iniziati.

L’Istituto spiega le complessità di quanto si sta progettando e calcola "..una stima ottimistica della produzione annua di circa 2600-4700 tonnellate equivalenti di carbonato di litio.." che potrebbe “..coprire circa il 2-13% della quantità annuale necessaria in Germania". Certo la costruzione di ulteriori centrali geotermiche potrebbe aumentare i volumi di estrazione ma servono almeno cinque anni prima che una nuova centrale elettrica entri in funzione: il litio proveniente dalle centrali geotermiche non sarà che un complemento alle risorse importate a medio termine.

La rivista "Grundwasser" (Acque sotterranee) che cita gli studi condotti nell'ambito dell'attività di ricerca geoenergetica in Germania coordinata dal Geothermal Energy and Reservoir Technology Group dell’Institute of Applied Geosciences sottolinea come a decidere se, e quanto, litio verrà estratto dalle centrali geotermiche tedesche sarà anche il sostegno e l'accettazione del pubblico. Le analisi sulle risorse di litio nei sistemi geotermici sono ancora soggette a molte incertezze in particolare sulla risposta dei serbatoi all'estrazione continua ed sulla loro efficienza economica.

Una nota a margine: Vulcan Energy Resources è la stessa azienda che ha stipulato una collaborazione strategica con Enel Green Power per sviluppare i depositi di litio geotermico italiano che dovrebbe permettere al nostro paese di sfruttare le sue immense risorse e divenire uno dei principali produttori globali di litio “sostenibile”.

Il report sottolinea come due terzi dei catodi si produrranno in Europa ma si dimentica che nelle batterie servono anche gli anodi, non prendendoli neppure in considerazione. Infatti quello sulla grafite, la materia prima necessaria alla produzione degli anodi, è un argomento spinoso. La grafite è stata per molto tempo data per scontata, ma la domanda di anodi è cresciuta del 46% nel 2022 mentre l’offerta di grafite naturale ha registrato una crescita inferiore ad un terzo della domanda circa il 14%. Nel contempo è cresciuta l’offerta di grafite sintetica di circa il 30% che spingerà sempre più produttori ad orientarsi verso questo tipo di soluzione.

Il problema allora qual è? La grafitizzazione.

Un processo ad alta intensità energetica, potenzialmente responsabile fino al 50% dell’impronta carbonica della batteria che utilizza come materia prima un sottoprodotto del processo di raffinazione del petrolio. Ulteriore aspetto che compromette le credenzialigreen della grafite sintetica è che viene prevalentemente realizzata con energia prodotta dal carbone nella Mongolia Interna in Cina. Già perché qualunque sia la batteria, CATL, LG o Panasonic, la grafite proviene sempre e solo dalla Cina. Effettivamente era meglio non parlarne..

Ma gli aspetti su cui il report pare porre maggiormente la sua attenzione, più che tecnici, sono attinenti alle politiche industriali della UE per reagire al piano di aiuti statunitense Inflation Reduction Act. Forse perché, mentre ci si appresta a realizzare decine di gigafactory in Europa, induce a riflettere su quanto sta accadendo a Britishvolt, una gigafactory nel nord-est dell'Inghilterra in fase di realizzazione con un investimento di 4,6 miliardi di dollari che ora è in amministrazione controllata.

Il finanziamento per un salvataggio temporaneo promesso a Britishvolt dal governo britannico non è stato erogato, perché condizionato all’ottenimento di finanziamenti privati da parte della compagnia. Capitali di rischio che non sono stati reperiti per quanto ci siano numerose aziende automobilistiche con impianti di assemblaggio di auto in tutto il Regno Unito che hanno bisogno di batterie. Un rafforzativo della necessità, espressa da T&E, di istituire quell’European Sovereignty Fund (ESF) annunciato a Davos da Ursula Von der Leyen per sostenere la concorrenza di Stati Uniti (e Cina), che stanno finanziando i propri sistemi industriali nella transizione energetica.

Prima di gettare altri soldi pubblici dei contribuenti europei nelle tasche della grande speculazione green sarebbe, però, opportuno capire come, i denari del "fondo sovrano", verrebbero ripartiti all’interno delle economie, spesso in concorrenza tra loro, del Vecchio Continente.

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Giovanni Brussato