Analisi dell'andamento delle startup italiane. Il ruolo del venture capital in una economia in sviluppo
(Ansa)
Economia

Analisi dell'andamento delle startup italiane. Il ruolo del venture capital in una economia in sviluppo

Prima di parlare di startup è bene definire cosa si intende con la locuzione "startup innovative". Si tratta, spiega Massimo De Dominicis, socio fondatore di DDP & Partners, studio associato di Milano specializzato in consulenza alle imprese, in particolare per quanto riguarda ristrutturazioni aziendali, fusioni e acquisizioni e altre operazioni straordinarie, "di nuove iniziative imprenditoriali con caratteristiche particolari. Una "start up" si definisce innovativa se, tra le altre cose, è di nuova costituzione o se esiste da meno di 5 anni, se è italiana, ha un fatturato annuo inferiore a 5 milioni di euro e regole che limitano la redistribuzione degli utili".

Un'altra caratteristica particolare delle startup è relativa all'oggetto, laddove è previsto che esso "si riferisca a servizi e attività ad alto contenuto tecnologico", spiega De Dominicis. "Ci sono poi obblighi specifici di investimento in ricerca e sviluppo, oltre all'obbligo di avere in carico personale altamente qualificato, costituito per almeno un terzo da dottori di ricerca o per almeno due terzi di persone con laurea magistrale". Al netto delle caratteristiche quantitative, inoltre, questo tipo di struttura aziendale "ha un nesso molto importante con il Pnrr. Questi servizi tech si sposano infatti molto bene con la digitalizzazione e la rivoluzione verde che sono al centro dei contributi in arrivo dall'Europa. Si tratta quindi di due mondi che tenderanno a incontrarsi in futuro".

Il settore è in crescita: "Nel secondo trimestre 2021 le startup innovative sono aumentate dell'8,1% rispetto al trimestre precedente, e l'importo del capitale sottoscritto è aumentato del 6,8%", sottolinea l'esperto. "Una caratteristica molto evidente è l'interesse delle startup a collaborare con le grandi aziende e viceversa. Un po' sul modello coreano, dove una realtà del calibro di Samsung ha alcune parti di ricerca e sviluppo sviluppate all'interno dell'università e congiuntamente ad essa, ha suggellato la vicinanza tra mondo della ricerca e quello dell'industria".

Secondo De Dominicis "la collaborazione con le grandi aziende dà alle startup maggiore credibilità, crea sinergie con strutture produttive e anche di ricerca già esistenti che aiutano lo sviluppo delle startup stesse, e permette alle aziende appena avviate di beneficiare del sistema di relazioni proprie di realtà già consolidate. Per le grandi aziende, dall'altra parte, l'entrare in contatto con startup con caratteristiche tecnologiche compatibili, significa aprirsi la possibilità di accedere in termpi più rapidi all'innovazione, potenziandola grazie a questa contaminazione esterna ed accelerando così il rinnovamento aziendale e la credibilità nel medio lungo termine con i propri stakeholder".

Questo modello, evidenzia l'esperto, "funziona molto bene negli Usa, dove c'è meno burocrazia rispetto all'Italia e all'Europa in generale. Infatti, secondo il rapporto McKinsey 2020, sul totale delle startup solo il 36% è in Europa, e solo il 14% di queste ha raggiunto un valore di mercato superiore a un miliardo, mentre negli Usa la percentuale è al 50%. Da noi c'è quindi ampio margine di crescita". In Italia oggi "le startup innovative possono ricevere finanziamenti bancari fino a un massimo di 2,5 milioni di euro, che possono trovare garanzia in un fondo rotativo fino all'80%". Inoltre, "sono previsti degli aiuti fiscali, sotto forma di tassazione agevolata".

A svolgere un ruolo importante per lo sviluppo delle startup sono "i venture capitalist", società che entrano in contatto con queste aziende che si trovano nella loro fase iniziale, ma presentano grosse potenzialità di crescita", spiega De Dominicis. "Le startup sono il punto di riferimento per questi investitori: oltre alle risorse finanziarie, i venture capitalist mettono a disposizione competenze industriali e tecnico professionali specifiche che aiutano la crescita delle società stesse". In Italia, "nel primo semestre 2021 i venture capitalist hanno investito 400 milioni di euro in 100 operazioni. Si tratta quindi, almeno per ora, di interventi limitati su società piccole. Ma il trend visibile oltreoceano, il maggiore interesse che queste società hanno mostrato nei confronti degli investitori e questa assonanza di obiettivi con il Pnrr possono far prevedere un periodo di sviluppo significativo nei prossimi anni".

In questo quadro, qual è il ruolo degli studi professionali? "A favore degli investitori possono offrire un'attività di scouting e di valutazione delle potenzialità delle startup in questione", osserva De Dominicis. "Sul fronte delle startup, che hanno compagini sociali molto giovani, possono invece fornire un'attività di formazione di natura finanziaria, fiscale e amministrativa, aiutarle con la consulenza contrattuale, nella predisposizione e gestione del business plan e assisterle nelle relazioni con finanziatori e investitori, oltre ovviamente supportarle nell'attività di verifica sulla compliance normativa e regolamentare".

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Chiara Merico