Ecco come le auto elettriche cambieranno il nostro modo di viaggiare
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Tecnologia

Ecco come le auto elettriche cambieranno il nostro modo di viaggiare

Potranno coprire lunghi percorsi, stazioni di ricarica permettendo. Lo dimostra una prova su strada negli Stati Uniti

L’auto elettrica nasce con un limite banale e strutturale: la sua autonomia. A un certo punto le batterie si scaricano e bisogna ricaricarle. E non è semplice, almeno non come mettere la freccia e fermarsi al benzinaio più vicino. Vale oggi, varrà un po’ meno domani quando le colonnine saranno diffuse in maniera più capillare. Certo, a meno di attrezzare il garage di casa o di lavorare in un’azienda abbastanza illuminata da promuovere la mobilità verde e prevedere nei parcheggi stazioni ad hoc per ridare energia alle vetture.

Fin qui niente di nuovo, lo scenario è oltremodo scontato. Ma vale per gli spostamenti brevi, cittadini o negli immediati dintorni. Parecchio meno scontato sarà l’uso dell’auto elettrica per lunghi percorsi, per viaggi di piacere o di affari. Anzi, sembra abbastanza proibitivo immaginare un itinerario che preveda una lunga distanza se molti modelli in circolazione, dalla Nissan Leaf alla Bmw i3 dichiarano duecento chilometri o giù di lì. Non è un limite, anzi sono tra le più generose sul mercato. E nonostante tutto non escludono il rischio di ritrovarsi fermi in mezzo al nulla, o di obbligarsi a tortuose deviazioni per arrivare all’unica colonnina dei dintorni.

E però non è giusto rassegnarsi, tarpare a priori le ali al potenziale dell’auto elettrica. Negli Stati Uniti, per esempio, un cronista del magazine The Atlantic ha portato a termine un esperimento : ha noleggiato una Tesla Model S, la cui autonomia dichiarata si aggira intorno ai (notevoli) 430 chilometri e ha deciso di tentare un viaggio dalla California all’Arizona. Non il classico coast to coast dei nostri favoleggiamenti adolescenziali, comunque una bella fetta di strada, una dozzina abbondante di ore di guida.

Per restituire autonomia alla vettura, poteva contare sulle cosiddette «Supercharger», le stazioni superveloci disseminate dall’azienda di Elon Musk nel Paese americano. Sono circa 91 a oggi, sono usufruibili in modo gratuito dagli acquirenti del bolide, evitando convenzioni con operatori locali, abbonamenti, balzelli e altre lungaggini. La loro peculiarità, soprattutto, è quella di dissetare del tutto o quasi la batteria nel tempo record di circa un’ora.

La prova ha permesso di svelare alcune indicazioni utili su come l’auto elettrica potrà cambiare, o quantomeno condizionare, i viaggi del futuro. Prima di tutto, l’autonomia non è davvero quella dichiarata: a seconda della velocità, dell'atteggiamento al volante, dell’utilizzo degli accessori interni, diminuisce in modo più rapido o più lento. È un po’ come usare uno smartphone solo per le telefonate e poi tenerlo in tasca, oppure girare tra i social network e le mail, scattare foto e girare video tra una chiamata e l’altra. Se siamo a casa, in ufficio o con una presa elettrica a portata di mano, non ci facciamo troppo caso. Se così non è, a un certo punto centelliamo i contatti tra dita e schermo. Lo stesso accade se ci si ritrova su una statale lontana centinaia di chilometri dal garage domestico o dalla prossima boccata d'energia, con il countdown dei chilometri residui che viaggia velocissimo.

Morale della favola, a un tratto il cronista si è accorto che era inevitabile disattivare l’ampio e luminoso display touch della Tesla. Comunque, nonostante ogni accortezza, ha mancato di qualche miglio l’appuntamento con la colonnina. Sebbene, secondo l’autonomia dichiarata dalla macchina e la distanza da coprire, sulla carta sarebbe stato in grado di raggiungere la meta anche con un certo margine di sicurezza. Dopo un lungo braccio di ferro, risolto da un intervento provvidenziale della compagnia, ha trovato un carro attrezzi disposto a trainarlo fino al pit stop successivo consentendogli di ripartire senza altri particolari intoppi.

Altro punto cruciale era che il suo percorso era abbastanza obbligato. Così come lo sarà quello di coloro che vorranno sfruttare i «corridoi» aperti dalle stazioni di ricarica che Tesla intende inaugurare da qui alla fine del 2014 in Europa e che sono visibili nell’immagine qui sotto.

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Si potrà andare da Roma fino a Londra, Lisbona, Barcellona, Parigi e Madrid, ma non saranno consentite particolari deviazioni, a meno di non rischiare di vedere l’auto spegnersi sul più brutto. Ecco, tirando le somme, si avvertirà in ogni caso un senso di limite, un obbligo nel prendere una direzione piuttosto di un’altra (come la si metterà con gli incidenti improvvisi e le code chilometriche che impongono di cambiare strada per non fare le ragnatele nel traffico?). C’è sempre l’ipotesi «range extender», il motore tradizionale a benzina che ricarica quello elettrico in caso di necessità, ma è sempre un compromesso. Come lo è il noleggio di un’ibrida o di una vettura classica per le lunghe percorrenze. Lasciar perdere non è una vera alternativa.

È banale ma inevitabile: per un vero sviluppo della mobilità sostenibile, non limitato a un uso urbano o ridotto nel tempo e nello spazio, bisogna investire sulla presenza delle colonnine pubbliche. Nelle città, nelle aree di servizio lungo le strade principali e le autostrade, davanti ai centri commerciali, accanto agli alberghi. Dovunque sia possibile aspettare che la propria auto sia pronta a rimettersi in moto in modo silenzioso e sostenibile, scacciando l’ansia di rimanere a secco.  
    

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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