Pablo Picasso, L’immaginazione al potere
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Pablo Picasso, L’immaginazione al potere

Come vivere pienamente e diventare persone migliori secondo il più grande artista del Novecento

Nel volumetto curato da Marco Fagioli, intitolato Pablo Picasso. L’immaginazione al potere (Edizioni Clichy, collana Sorbonne dedicata ai ritratti dei grandi della storia), c’è tutto quello che dovete sapere sull’artista spagnolo più influente del secolo scorso: vita, morte, amori e miracoli, ma soprattutto alcuni ottimi consigli sull’arte e sulla vita in generale.

Leggendo, per esempio, si impara che la vita è un gioco e che se Gary Cooper vi regala una pistola (Cannes, 1958) la cosa giusta da fare è mettersi un cappello da cowboy e giocare al pistolero, come dimostrano alcune delle belle foto che corredano questo volumetto. Se l’ha fatto Picasso potete farlo anche voi. Certo, forse non uscirete con Brigitte Bardot e non avrete il mondo femminile ai vostri piedi (come invece è stato per Picasso tutta la vita), e magari non rivoluzionerete il mondo con un movimento artistico -il cubismo- che cambierà per sempre il concetto stesso di arte, però potrete rivedere la vostra scala di priorità e decidere finalmente di lasciarvi alle spalle quello che da troppo tempo non riuscite a lasciarvi alle spalle.

“Bisogna uccidere l’arte moderna” diceva il grande artista, “Questo significa anche che bisogna uccidere se stessi, se si vuole essere in condizioni di fare qualcosa”. Ogni momento è buono per fare la rivoluzione, insomma, perché “Ogni atto di creazione è, prima di tutto, un atto di distruzione”.Il problema però, come ricorda il curatore Marco Fagioli, è che Picasso era un genio. Per il grande artista, che non ebbe un apprendistato tradizionale né alcun maestro, la rivoluzione era, come dire, a portata di mano. Fin da giovanissimo, al contrario della maggior parte di noi, fu un artista compiuto.

Ma un talento eccezionale può essere il più grande dei pericoli se quello che vuoi è non essere mai uguale a te stesso, e anche un genio deve fare i compiti a casa. Con la modestia che gli era propria, scrisse infatti in tarda età: “A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ci ho messo una vita per imparare a dipingere come un bambino”. I compiti a casa bisogna farli tutti, geni e non geni.

E anche a scuola non ci si può distrarre un attimo. “L’insegnamento accademico della bellezza è falso” scrive Picasso, “L’arte non è l’applicazione di un canone di bellezza, ma ciò che l’istinto e il cervello possono concepire indipendentemente da ogni canone. Quando si ama una donna non si fa ricorso a strumenti di misura per conoscere le sue forme: la si ama con tutto il desiderio possibile; eppure è stato fatto di tutto per applicare un canone all’amore”. Come l’artista, anche l’uomo dopo aver appreso sui banchi le nozioni fondamentali deve avventurarsi nel mondo, e non può farlo armato solo di compasso e righello come un bravo scolaretto.

E in tutto questo dove sono gli altri? Fuori dalla nostra interiorità come possiamo relazionarci con loro? “Picasso, spagnolo com’è, ha sempre saputo che gli interessano solo le persone” scrive Gertrude Stein ricordando l’amico degli anni parigini, “L’anima della persona non lo interessa, per lui la realtà della vita sta nella testa, nella faccia, nel corpo”. “Dal punto di vista dell’arte” amava dire Picasso, “non ci sono forme concrete o astratte, ma solamente forme, le quali non sono che bugie convincenti. E' fuori di dubbio che queste bugie sono necessarie alla parte mentale di noi stessi, perché è attraverso di esse che noi formiamo il nostro punto di vista estetico sulla vita”. Era con le forme e con i corpi che Picasso nutriva la sua anima, da qui la sua convinzione della superiorità del gesto sull’intenzione: “Conta quel che si fa, non quello che si ha intenzione di fare”.

Una dichiarazione particolarmente confortante quando si traduce nella pratica libera di una vita vissuta all’impronta. Scrive Picasso: “Quante volte al momento di mettere il blu, mi sono accorto che non ne avevo. Allora ho preso un rosso e l’ho messo al posto del blu”. Imparare a usare il rosso quando il blu è finito è un talento non solo nell’arte ma nella vita, che chi possiede dovrebbe avere caro, e chi non lo possiede farebbe bene a darselo. Perché capita spesso, nella vita, che il colore che stiamo usando si esaurisca sul più bello. Chissà, forse uscendo dai binari anche voi potreste fare delle scoperte in grado di accendere una rivoluzione. Se non per il mondo, almeno per voi stessi.

@giuliopaserini

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Giulio Passerini