Marco Archetti, "Sette diavoli"
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Marco Archetti, "Sette diavoli"

Brescia, 1946. Orfana dodicenne, Egle giunge in città al seguito dello zio, che la preleva dalla periferia romana insieme al fratellino ritardato. Questa è la sua storia dai capelli rossi. Una storia randagia di perdizione e salvezza.

Sette diavoli è il secondo romanzo di una trilogia ambientata nel quartiere Carmine di Brescia, paradigmatico luogo di vite "marginali, misteriose e furibonde" e già teatro del precedente Sabato Addio . Un medioevo che sembra ieri, di caldarrostai e rivenditori di ghiaccio, lustrascarpe e rigattieri, conciatetti e ciabattini. E mignotte che per loro il lavoro non è mai mancato. Dalla comunità di chi lo fa per mestiere, Egle viene accolta con un abbraccio e uno sputo, in una corte di figuranti e terribili puzze: vino e vomito, piscio e carbone, polvere e muffa, sigarette e sudore. Roba forte. Sarebbe piaciuta a Fabrizio De André la sua marginalità battagliera al cospetto di prepotenti e papponi.

Diversamente da Bocca di Rosa però Egle non lo faceva per passione (anche se a un certo punto venivano tutti a farsi benedire - dall'avvocato al prete) e neppure per noia. Lei il Vicolo se lo portava nel sangue, predestinata. E tuttavia qualcosa la rendeva diversa da un semplice albero dalla chioma rossa ma debole di tronco. Il segreto è nascosto in questo racconto, che inizia con una fuga fallita e la sete di vendetta. Seguitelo, facendo finta di non sapere come andrà a finire.

La scrittura di Marco Archetti ha un bel suono analogico e un ritmo in levare. Il frequente andare a capo testimonia l'opera di levigatura cui l'autore ha costretto la storia e i suoi personaggi. Il reggae narrativo esalta le frasi-melodia, i lampi attraverso cui lo stream of consciousness si esprime. Un sincopato andirivieni di dialoghi roventi e improvvise folgorazioni, slanci lirici e residui gergali cuce insieme salvezza e condanna. Gli stenti della condizione umana e la libertà dell'immaginazione.

Affacciata sul vuoto, Egle ha la dignità di saper essere quello che il destino le ha riservato. Dimenticare il passato (il passato accade sempre a qualcun altro) per cominciare un futuro già scritto: "dici soffri? può farti star peggio". Ma non c'è un grammo di autocommiserazione, Archetti l'ha espunta come inutile orpello lasciando spazio alla vita che s'infila nelle fessure dell'emarginazione con il suo soffio ora morbido ora pungente. L'odore dei cinema e i flaconi di profumo, l'amore fraterno e le illusioni romantiche, il calore di una stufa e l'abbraccio di una puttana, amica madre sorella.

"Credi di stare a cavallo e non sei nemmeno in piedi": scordatevi di usarlo come sonnifero, i Sette diavoli. Gli amici hanno quasi sempre faccia da nemici, i nemici sono quelli che ti trattano con gentilezza. Uno dopo l'altro nella vita di Egle si presentano, come a chiedere l'obolo di una sottomissione, quelli che Aristotele definì gli "abiti del male". I vizi capitali, sette diavoli a imprigionarla in un corpetto troppo stretto (come quello di Silvana Mangano che ammicca nel disegno di copertina) per la pienezza di vita che chiede di esplodere. La debolezza di ciascun peccatore.

Ma non sono i sette diavoli a incriminare Egle, inchiodandola alla rabbia e al senso di colpa. Il suo vero torto è un altro: essere povera. È la verità scandalosa che trasmette da sempre la radio degli ultimi. Egle la passionale, Egle la fredda, Egle tenera e spietata, silenziosa e ansimante, istintiva e calcolatrice. Sfida il demiurgo muto e distante che trascrive la sua storia come un automa sotto ipnosi, senza mai abbassare lo sguardo. Al termine della fuga trova ad aspettarla un cappio e la banalità del male.

Questa è la colpa, signori, il peccato originale: nascere con la Periferia nel sangue, morire nel girone degli esclusi. Non dite di non saperla che è antica quanto il mondo. Qualcuno da lassù guarda indifferente. Gli uomini hanno già emesso la loro spietata sentenza.

Marco Archetti
Sette diavoli
Giunti
182 pp., 12 euro

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Michele Lauro