Ghachar Ghochar
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Vivek Shanbhag, ‘Ghachar Ghochar’ - La recensione

Un’affilata tassonomia del disagio domestico, una parabola della nuova India in forma di novella

Ghachar Ghochar è una piccola perla nella narrativa indiana contemporanea. Un romanzo breve, e già questo ne fa una rarità, di un autore che scrive abitualmente in kannada, cioè l’idioma di Bangalore, stato del Karnataka: Vivek Shanbhag. La versione inglese ora arriva anche in traduzione italiana nella brillante prosa di Margherita Emo. La cura del dettaglio, la fine sceneggiatura, la satira sociale, il climax psicologico interfamiliare risaltano sullo sfondo della mutazione epocale in atto nel subcontinente, legata allo sviluppo economico e alla globalizzazione. 

Shanbhag dipinge un quadretto di famiglia con inchiostro al veleno prestando la voce allo sfaccendato “direttore” della Sona Masala. Un uomo pagato per non fare niente, che però ammazza il tempo con grande dedizione fra i tavoli della Coffee House, conversando col vecchio barista. Anni prima suo zio Venkatachala, affettuosamente chiamato Chikkappa, aveva finanziato un’intuizione geniale coi soldi della liquidazione del fratello: acquistare all’ingrosso le spezie del Kerala e rivenderle al dettaglio agli alimentari di Bangalore, in piccole bustine. 

Una recita a tre

La prosperità dell’azienda si traduce nel passaggio di status dellafamiglia allargata, che da un sovraffollato quartiere periferico della metropoli, da una piccola casa dove tutti dormivano su una stuoia, trasloca in una villa a due piani del centro. Oltre al protagonista, sua moglie Anita, Amma e Appa, la sorella Malati tornata all’ovile dopo un matrimonio fallito, e al vertice lo zio Chikkappa, l’imprenditore stakanovista e meticoloso intorno a cui ruotano occupazioni preoccupazioni e umori di tutti. Un uomo tanto generoso da stipendiare il nipote: purché non si impicci dei suoi affari. 

La triade maschile di Ghachar Ghochar incarna le contraddizioni della middle class emergente, protagonista e insieme vittima di un salto sociale troppo brusco. “Non siamo noi a controllare il denaro, è il denaro che ci controlla”, ammette il narratore mentre in viaggio di nozze sobilla la moglie a comprare oggetti inutili senza badare al portafoglio. Intanto madre e sorella vegliano su Appa perché non sviluppi tendenze ascetiche rimuginando sulla futilità della vita o sui valori della tradizione, o magari aderisca a qualche setta che potrebbe mangiarsi i suoi risparmi, cioè l’eredità di tutti.

Ma è la triade femminile la vera protagonista del romanzo. Amma, Malati e Anita presidiano le stanze come capibranco perennemente in lotta, passando il tempo ad accumulare rancori. A ferire profondamente le donne sono le parole delle altre donne, filosofeggia il narratore sorseggiando il caffè del pomeriggio. Ma quando sua moglie, donna dal temperamento poco remissivo, prende le parti di un’estranea vessata da madre e figlia col proposito di proteggere (segregare) l’intimità dello zio, scoppia la bomba. Un ghachar ghochar, nonsense infantile con cui il fratello di Anita cercava di definire una cosa irrimediabilmente aggrovigliata. 

Fingere di desiderare l’inevitabile

Così l’amore smorza la fiamma “nella caldaia a vapore dell'ambizione", diceva Moshin Hamid in un romanzo precursore di questo, Come diventare ricchi sfondati nell'Asia emergente. Eppure nella fiaba di Shanbhag sembrano più che altro i tentacoli della famiglia, non meno viscidi e suadenti di quelli del denaro, a frantumare le coppie. L’invasione delle formiche nella cucina di Amma è la metafora perfetta della sua ossessione: ogni estraneo è un piccolo esercito da sterminare. Se ogni famiglia è infelice a modo suo, parafrasando il famoso detto di Anna Karenina, la felicità di una casa poggia secondo Shanbhag su “atti selettivi di cecità e sordità”.

Il lettore si muove ora divertito, ora turbato in queste claustrofobiche ambientazioni. Un po’ come avviene nei romanzi di Yasmina Reza, maestra nello sceneggiare lo psicodramma della famiglia borghese e l’ambivalenza dei suoi codici affettivi. Qui parentemi ed erotemi si danno battaglia senza esclusione di colpi in nome dell’aspirazione al benessere, un tratto fondamentale della natura umana dai costi imprevedibili.

Vivek Shanbhag
Ghachar Ghochar
Neri Pozza
112 pp., 13,50 euro

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Michele Lauro