Carlo Fruttero, un'estate che sta finendo
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Carlo Fruttero, un'estate che sta finendo

A Castiglione della Pescaia, fra la memoria dello scrittore e un mondo perduto in cui le vacanze si chiamavano ancora villeggiatura

Piantato sul bordo di piazza Orsini a Castiglione della Pescaia, col suo fazzoletto al collo, baffi e cravattino texano, potrebbe pure sembrare un vecchio cowboy, se solo di fianco ci fosse un cavallo al posto di quella Mercedes (infuocata, in questo sabato di luglio) che ha scarrozzato Carlo Fruttero fra la Maremma e il mondo. "L’ho portato in giro per 40 anni. Era un signore. Eravamo amici. Come si fa a non sentirne la mancanza?": nella prima estate senza Fruttero, è il tassista Giovanni Fiaccadori che slega per primo il filo della memoria.

L’appuntamento era ogni giorno sotto "l’albero della maldicenza", spennacchiato ippocastano che butta un po’ d’ombra su quattro panchine fra il bagno Il Faro e la via delle Collacchie che va a Grosseto. "Non si parlava di libri, noi si è gente ignorante. Si scherzava, si sparlava, si guardava le partite". Lunghe tavolate fino a tardi. "Ma quest’anno agli Europei si sentiva che non c’era. Finito il primo tempo ci s’è guardati in faccia e s’è alzato il calice senza dire niente, era per lui".

I viaggi in taxi, poi, "a Torino, Venezia, Roma", e verso Massa Marittima per incontrare Pietro Citati. Era stato lui, Citati, che nel ’68 aveva invitato Fruttero in Maremma. S’era innamorato all’istante, il torinese neofita, deciso subito a metter su casa in quell’impenetrabile distesa di pini marittimi: Roccamare, un lotto di 8 chilometri che i conti Ginori, proprietari, volevano punteggiare di ville. Per Fruttero doveva essere il posto dove prendersi una pausa, mettere ordine alle idee, far crescere le figlie, estate dopo estate, radicando per loro amicizie vere come lo sarebbero state le sue: Italo Calvino, Furio Scarpelli, Maurizio Corgnati, Lodovico Terzi, Giovanni Merlini, e poi Franco Lucentini (ovviamente) e gli altri giornalisti, scrittori, intellettuali, registi che ogni anno andavano a Roccamare. Insomma, una casa per la villeggiatura, parola che a dirla oggi, qui in piazza Orsini, pare davvero un fossile appena emerso e calpestato dai turisti mordi e fuggi, fra tranci di pizza sgagnati a torso nudo e i suv che ringhiano sulla provinciale 322 per un weekend a Punta Ala. Epoca di lentezza quella di Fruttero. Finita.

Roccamare è a pochi minuti di macchina da Castiglione. Il sole scompare appena dentro la pineta. Case non se ne vedono, nascoste come sono fra muri d’aghi di pino e pigne. L’intuizione (estetica, etica) era stata dell’architetto Ugo Miglietta, che convinse i Ginori a non fare scempio del paesaggio, a integrare architettura e natura proprio mentre la speculazione si preparava a cementificare l’Italia (e infine avrebbe svilito pure Castiglione della Pescaia, antico borgo medioevale ormai circondato da quegli sgorbi di case in cemento che si vedono oggi appena fuori dal centro). Villa Fruttero nasceva sul limine di un’epoca, nell’ultimo istante d’una stagione in cui la parola sobrietà non era dettata da venti di crisi.

Piccola, quasi un bungalow di pietra col tetto piatto (stretta fra il fiume Tonfone e il mare 100 metri più a ovest), non doveva essere soltanto per le vacanze, sarebbe stata la casa di quell’ultimo tratto che la figlia Maria Carla ha seguito per ogni secondo. È ancora qui lei, a custodire (anche) gli oggetti della memoria, le Gauloises sul comodino, gli ultimi libri letti (riletti), roba degna di un Kemal di Orhan Pamuk: non reliquie ma simboli. "Mio padre ce l’aveva coi cosiddetti creativi: 'Ma che significa creare? Bisogna fare' mi ripeteva. Quegli oggetti sono la forma della sua presenza. Mi spronano a fare" dice mentre progetta la rassegna di letteratura per ragazzi che nascerà il 19 settembre (nascita di Fruttero e morte di Calvino) nella biblioteca comunale di Castiglione. Fu lì che il 20 gennaio scorso si celebrarono le esequie. Se le ricordano tutti qui; c’era il paese intero, il feretro circondato dai libri amati: Pinocchio, le Favole italiane, I promessi sposi, le Lettere di Friedrich Nietzsche che gli ricordavano Torino.

Ora sotto l’albero della maldicenza restano col Fiaccadori gli altri amici di una vita, fra i pochi castiglionesi che Fruttero aveva voluto alla grande festa, due mesi prima di morire, quando ricevette le chiavi della città. C’è il "bombolaio" Mario Castaldi; c’è Ilario Valertacchi, proprietario del rimessaggio dove Fruttero lasciava la piccola Peugeot; c’è Luciano Lenzi, il vinaio che ha bottega dall’altra parte di piazza Orsini, dove Fruttero comprava vodka e casse di Brunello, dove si fermava a chiacchierare. Ti dicono che manca ("Ovvio che manca"), ma volgono lo sguardo: niente smancerie. Ti dicono che con lui venivano qui ad aspettare i pescherecci, all’alba, per fare colazione con le sarde arrosto e un fiasco di vino. Tempi andati. Adesso i pescherecci sono quasi spariti. Sparito (nuova gestione) è il bar Temperani, dove andavano a bere. Scomparso è Franco, il tabaccaio "della salitina" vicino alla biblioteca, morto a un mese di distanza da Fruttero. Il testimone adesso passa ai figli, certo, ma nel frattempo è sbiadito un mondo intero: quello di una piccola borghesia capace di dare un senso ai luoghi, di una villeggiatura religiosamente legata al paesaggio, all’amicizia, al tempo.

Si lascia Castiglione della Pescaia. Il tassista riprende la posa da cowboy. Appoggiato alla Mercedes, scruta il castello medioevale che si vede là in alto a dominare tutta la città. Forse teme il ritorno delle truppe di Alfonso V d’Aragona, che nel Quattrocento occuparono il comune e si pigliarono tutto. Forse non sa che gli invasori adesso arrivano da un’altra parte. Glielo direbbe Ernesto Astorino, proprietario del bar Ciro, dove Fruttero si fermava a scrivere: gli direbbe che i nuovi occupanti sbarcano all’aeroporto di Roma, montano su macchine a noleggio e parlano russo. "Nella pineta di Roccamare le ville se le stanno comprando tutte loro" dice. "Pare che adesso ci vogliano fare in mezzo pure un grande ristorante".

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Antonio Carnevale