Da Andrea Zanzotto ad André Aciman, il paesaggio come stato d'animo
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Da Andrea Zanzotto ad André Aciman, il paesaggio come stato d'animo

Abitare un luogo. Essere abitati da un luogo. Dove il poeta-rabdomante dirige le sue antenne c'è un'avventura che si raddoppia di un'esplorazione interiore. È allora che il paesaggio diviene "eros della terra".

Dietro il paesaggio, prima raccolta poetica di Andrea Zanzotto pubblicata nel 1951, è anche il titolo programmatico di una ricerca poetico-filosofica-umana lunga tutta una vita. Un libro prezioso, curato da Matteo Giancotti, raccoglie per la prima volta in modo organico gli scritti sul paesaggio del poeta di Pieve di Soligo: Luoghi e paesaggi rappresenta un modello universale di "prosa di luogo", genere letterario sfuggente come la sua materia ma antico come l'uomo.

Composte nell'arco di un quarantennio, dagli anni Sessanta al 2006, queste prose formano un corpus unitario di straordinaria modernità e formidabile presa emotiva. L'empatia che lega in un intreccio indissolubile la realtà di un luogo alla condizione psicofisica dell'uomo viene tradotta nella lingua iridescente del saggista-poeta. Così duttile e sensibile da evocare ora la consistenza materica delle cose ora l'ineffabile sostanza della cosa-in-sé. "Mai perdere la prima impressione che ci ha commosso": una tale vibrante "corrente di desiderio", un tale amore fatale percorre questi testi che quasi ci si dimentica della profonda valenza filosofica, estetica, poetica, psicologica e anche politica e civile ad essi sottesa: la voglia che tali luoghi insinuano, per usare le parole di Zanzotto, è quella di "introiettarli quasi fisicamente".

Nitida intuizione fra le altre è quella del paesaggio come "opera d'arte diffusa". In cui natura e uomo concorrono a creare, o forse ri-creare, un quadro armonioso sotto il segno del lavoro e delle attività umane: la creatività di una cultura popolare prima che divenisse di massa. Il riflesso negativo è il disagio interiore conseguente alla trasformazione sconsiderata del paesaggio a fini speculativi. Il poeta veggente presentì i pericoli a venire, intravedendo nella salvaguardia del territorio un baluardo di civilizzazione. Come scrisse in un articolo del 1967 (!) intitolato Ragioni di una fedeltà, "anche il più tecnologicizzato dei mondi dovrà proporsi un rapporto con la natura che trascende l'uomo se non altro per avergli dato origine".

Sublime poeta di paesaggio, Zanzotto fu modesto viaggiatore. La sua visione abbraccia a tutto campo la patria natia, il territorio veneto dalle Dolomiti alla Laguna, concentrando improvvisamente il raggio sul luminoso epicentro: Venezia, forse. Era il 1976. Molto prima che le paratie del Mose si ergessero al largo del Lido e di Malamocco come totem dell'umana hybris, Zanzotto compose per il libro fotografico di Fulvio Roiter Essere Venezia questa prosa indimenticabile. Che ancora smuove e commuove ed eleva la città-cartolina allo status di città-archetipo: "come un punto di assurdo dentro l'oggi".

Se per Zanzotto era un "misterioso, trafitto e trafiggente scarabeo", per Tiziano ScarpaVenezia è un pesce (appena ripubblicata una nuova edizione aggiornata della sua guida d'autore uscita originariamente nel 1998) e per Francesco Guccini "Venezia è anche un sogno / di quelli che puoi comperare" (da Metropolis, 1981). L'infinita mitopoiesi della città lagunare, scenografia a un tempo vergine e sfacciata, oscilla costantemente tra meraviglia e disagio. La galoppante mercificazione compensata dalle piccole epifanie che fanno del suo paesaggio urbano un enigma in perenne trasformazione. O, suggerisce ancora Zanzotto, come "puzzo sempre virato in profumo".

Nel suo libro pieno di ricordi e "sovrapposizioni di immagini instabili" dedica un capitolo a Venezia anche un altro poeta di città: André Aciman, romanziere errante nato ad Alessandria d'Egitto da una famiglia ebrea di origini turche e lingua francese, poi trapiantato a New York. Venezia è una delle Città d'ombra che nell'orizzonte psichico dell'essere umano sono depositi di storie e memorie, stanze segrete in cui è chiusa a chiave la nostra intimità. Comincio il mio viaggio interiore scrivendo su un luogo ("La vita comincia da qualche parte con il profumo della lavanda") dice Aciman, ma in realtà i temi su cui scrivo davvero sono la dispersione, l'evasione, l'ambivalenza. Cioè scrivo per scoprire chi sono. O forse per sfuggire a me stesso.

Essere abitati da un luogo significa insomma leggerlo come un sogno. Ri-animarlo con parole mai dette prima, parole-stati d'animo fatte della stessa materia dei sogni. Ecco perché è un emozione viva, euforizzante, ritrovare in Luoghi e paesaggi qualcosa che non sapevamo di sapere ma che ci riguarda profondamente. L'armonizzazione tra io e paesaggio di cui parla Zanzotto fa parte delle strutture elementari originate da elementari bisogni: ciò di cui parlano i sogni, appunto.

Il paesaggio-evento è quella luce calata sul Mediterraneo di primo mattino che ossessionava Claude Monet sul lungomare di Bordighera. Sono quei misteriosi indizi che nel melange residenziale-industriale della campagna veneta rimandano alle foreste preurbane di Tiziano e Giorgione. Sono ghiacci geli nebbie galaverne nevi e colori in cui "qualcosa trabocca, guardandolo, oltre la sua stessa presenza". Sono zattere di limo erboso, l'impressione che precede ogni classificazione antropologica.

In questi Fosfeni che solo un poeta può nominare, scintille impazzite tra il fisico e il metafisico, sta il punto di contatto tra paesaggio e ispirazione. Il magnifico istante perfetto che annulla la distanza tra il visibile e l'invisibile. Tra l'eterno e l'hic et nunc. E rende l'altrove soltanto apparente.

Andrea Zanzotto
Luoghi e paesaggi
Bompiani
230 pp., 11 euro

André Aciman
Città d'ombra
Guanda
265 pp., 18 euro

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Michele Lauro