L’uomo dei 26 trofei in bacheca questa volta sembra in difficoltà. Costretto a rincorrere, non rincorso, per la prima volta in carriera con il rischio di passare per fuori dal tempo. L’apertura di Jose Mourinho alla Roma, una sorta di chiamata al rinnovo quasi senza condizioni, assomiglia alla forzatura estrema di un allenatore in difficoltà. Risulta che i Friedkin non si siano lasciati impietosire e che il tema contratto non sarà aperto né ora né a breve, non prima di aver compreso la traiettoria di una stagione che nei piani iniziali doveva essere quella del completamento del progetto dello Special One nella Capitale.
Aver detto pubblicamente di voler restare, di essere pronto ad abbracciare una politica di lancio dei giovani e che se separazione sarà, mai dipenderà da una sua decisione, non ha portato alcun risultato immediato a Mourinho. Una primizia in una carriera vissuta da numero uno assoluto nel nome del quale si sono consumati grandi corteggiamenti e strappi, traumi che spesso hanno diviso e lacerato intere tifoserie.
A Roma non sembra essere così, almeno nel rapporto con la proprietà americana che sta mettendo una montagna di denaro nel club senza avvicinarsi alla tanto invocata sostenibilità e senza ottenere risultati pratici. E’ vero, la Conference League vinta nel 2022 e la finale di Europa League dell’anno scorso sono stati due lampi che hanno accecato e che sono certamente merito della mentalità cannibale di JM, però nel calcio di oggi contano soprattutto entrare stabilmente nel giro ricco della Champions League e in questo la Roma ha fallito arenandosi per due volte al 6° posto in campionato.
Il tutto a fronte di investimenti e corse a ripianare che solo prendendo in considerazione le prime due annate di Mourinho hanno dragato 321 milioni di euro dal portafoglio Friedkin, oltre mezzo miliardo dall’estate 2020 dello sbarco per sostituire Pallotta contestato dalla piazza.
La magia dell’Olimpico sempre sold out, della passione riesplosa quasi selvaggiamente intorno al giallorosso e della sensazione di essere sempre e comunque in missione e in trincea, insomma, per una volta non stanno bastando. Mourinho chiama, sempre più con frequenza e con sempre meno filtri, la proprietà non risponde. E’ come se avesse perso il tocco magico, per la prima volta costretto a inseguire e non ad essere concupito.
Come andrà a finire è presto per dirlo. La certezza è che intorno allo Special One non si muove molto e anche questa potrebbe essere una chiave di lettura: lo voleva e lo vorrebbe l’Arabia Saudita, prima o poi ci andrà, ma il momento per seppellirsi sportivamente nel deserto non è questo. Vorrebbe restare nel giro che conta, quello del calcio europeo. A tutti i costi. Vorrebbe ma non dipende solo da lui e dietro l’affannosa rincorsa a un dialogo che oggi non esiste c’è anche la paura di non essere in grado, per la prima volta, di scegliere e governare il proprio il destino.
