Il manifesto dell’Inter di Cristian Chivu è quello del terzo gol nella serata della partita quasi perfetta contro il Como di Cesc Fabregas: aggressione all’avversario, recupero palla, verticalità e tecnica. Tutto quello che un allenatore può chiedere alla sua squadra ma che di solito impiega mesi, se non anni, per ottenere. E‘ vero che l’Inter di Chivu nasce sulle ceneri di quella di Inzaghi, che su alcuni meccanismi ha lavorato per stagioni intere, ma è altrettanto innegabile che la transizione dal passato al futuro sia stata complicata e veloce.
Che il manifesto si sia palesato davanti all’uomo che avrebbe dovuto prendere il posto di Inzaghi sulla panchina dell’Inter, e che ha detto no restando a Como, è una circostanza che aggiunge valore simbolico alla scena. Chivu rifiuta sdegnosamente di ammettere di aver provato un piacere particolare nel prendere (sportivamente) a cazzotti Fabregas, però la storia dell’estate nerazzurra è molto racchiusa in quella sliding doors con Ausilio che vola a Londra per sedurre Cesc, incassa il rifiuto e poi arriva Chivu. Considerato da molti un ripiego e il simbolo del ridimensionamento.
Fabregas diventerà un grande allenatore ed è destinato a un grandissimo club europeo non appena avrà considerato concluso il suo periodo di apprendistato al Como. Chivu è già un ottimo allenatore che deve completare il percorso di una crescita impetuosa, se è vero che ha iniziato il campionato con alle spalle solo 13 panchine in Serie A a Parma e una lunga gavetta nel settore giovanile nerazzurro. Non era facile entrare nella testa di un gruppo provato dal finale negativo della scorsa stagione, cambiandone anche alcuni codici di gioco: il romeno sembra esserci riuscito.
Chi può sorridere è Marotta che da giugno difende la scelta del nuovo allenatore, sfidando prima la critica e poi gli scettici. E’ vero che l’Inter è già caduta 5 volte tra campionato e Champions League, un numero che non piace a nessuno e che di solito è accompagnato dall’impossibilità di raggiungere il traguardo dello scudetto, ma è altrettanto indiscutibile che abbia abolito i pareggi e che esprima in campo un calcio feroce e bello che ha cancellato le tracce di quello di Inzaghi.
Ci sono ancora passaggi a vuoto difensivi e meccanismi da sistemare, perché aggredire l’avversario a 50-60 metri dalla propria porta comporta dei rischi, però la strada è giusta e il messaggio lanciato da San Siro rifilando un poker al Como che fin lì aveva subito solo 7 reti in 13 giornate è chiaro: chi vorrà vincere lo scudetto dovrà fare i conti con l’Inter e si dimentichi di poter godere del vantaggio di un avversario con problemi di motivazione e identità tecnica e tattica.
