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Cosa c’è dietro il traffico di baby calciatori

Cosa c’è dietro il traffico di baby calciatori

I giovanissimi immigrati sbarcati in Italia – e che con i piedi ci sanno fare – se sono fortunati entrano in qualche squadra di livello. Alle spalle, però, c’è sempre il sistema illegale del traffico di migranti: per ottenere il permesso di soggiorno e indossare la maglietta di una società, si mente sull’età o si inventano falsi «ricongiungimenti familiari». E spesso, dopo un primo ingaggio, i baby calciatori proseguono il loro viaggio all’estero in club ben più prestigiosi.


Hanno tutti indossato almeno una maglia di un grande club italiano di calcio. La gran parte di loro finirà però nella squadra dei clandestini. In pochi, invece, in quella dei bomber. Perché se c’è chi arriva con il solito barcone e, seguendo le istruzioni (fornire false generalità e dichiararsi minorenne), riesce a ottenere la protezione internazionale, ci sono anche dei fortunati che con i piedi ci sanno fare più degli altri, e arrivano in Italia scendendo direttamente dalla prima classe di un volo di linea. Bomber o clandestino, però, il meccanismo è sempre lo stesso: quello che hanno messo a punto i trafficanti di esseri umani per fare soldi sull’immigrazione.

Le tecniche si stanno affinando e sono sempre più difficili da smascherare. «Come i finti casi di abbandono», racconta un investigatore della Squadra mobile di Modena, dove, a quanto pare, si è concentrata questa nuova strategia per aggirare le maglie già larghe della legge Zampa. Al momento dell’identificazione, si è scoperto, gli stranieri sottolineavano di essere arrivati in Italia con un parente, per poi aggiungere che erano stati lasciati da soli. Sono scattate 14 denunce, tutte di tunisini.

C’è invece chi un padre in Italia l’ha tirato fuori come un coniglio dal cilindro, pur di ottenere il permesso di soggiorno e indossare la maglietta dell’Atalanta o del Sassuolo. È il caso dei finti fratelli ivoriani Traoré: Hamed e Amad Diallo. L’accusa di falso e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è scattata per Marina Edwige Carine Teher, in arte la mamma degli astri nascenti del calcio e dipendente dell’Atalanta, e per Hamed Mamadou Traoré, il babbo in prestito dei due bomber, che avrebbe preso in carico i due ragazzi sfruttando la possibilità di ottenere il ricongiungimento familiare. Uno stratagemma che sarebbe stato utilizzato in almeno altri tre casi, tutti finiti all’esame della Procura di Parma.

Proprio come accadde qualche anno fa a Luciano, esterno del Chievo Verona che, si scoprì, aveva mentito sulla propria età. Le indagini poi portarono a galla anche il suo vero nome e il calciatore andò incontro a una pesante squalifica, scontata la quale tornò in campo con il nome di battesimo: Eriberto. Traoré ha accorciato i tempi e nel giorno del suo diciottesimo compleanno, ovvero all’indomani dello scoppio del bubbone, ha cambiato il nome del suo profilo Instagram in Amad Diallo, specificando sotto in un post: «Non chiamatemi più Traoré».

Poco dopo, però, probabilmente per questioni di marketing e di riconoscibilità, l’ivoriano dal tocco fatato, che nel frattempo dall’Atalanta è passato al Manchester, nella descrizione del suo profilo ha aggiunto pure Traoré, derubricando il cognome in soprannome. Quello ricostruito dalla Procura di Parma, però, sembra un intreccio tutto familiare. Mamma Marina, infatti, ha una sorella: Larissa Ghislaine Teher, che dopo essere entrata in Italia nel 2000 per motivi di lavoro, nel 2013 viene raggiunta, tramite il solito ricongiungimento familiare, dall’uomo che in quel momento era suo marito, Zadi Gildas Abou. Anche loro, nel 2015, fanno istanza per ricongiungersi con i due figli. I due cuginetti dei Traoré, arrivano in Italia e, dopo un passaggio in squadre locali, finiscono uno in Serie D e l’altro al Lecce.

Ma c’è un ulteriore caso, che affonda le radici in un’altra inchiesta un po’ più datata. L’agente Fifa Giovanni Damiano Drago, arrestato nel 2017 con l’accusa di essere uno degli organizzatori del traffico di baby calciatori stranieri (portò Assan Gnoukouri al Parma), dichiarò di essere a conoscenza che un certo Bly Blaise Tehe, coimputato nello stesso procedimento – oltre ai falsi ricongiungimenti familiari che già gli erano stati contestati tra il 2014 e il 2015 – con la complicità di altri suoi connazionali avrebbe consentito l’ingresso irregolare in Italia di altre giovanissime promesse del calcio ivoriano.

Gli investigatori hanno cercato riscontri e si è scoperto che, dopo essere entrato in Italia nel 1987 ed essersi sposato con un’italiana, nel 2014 era stato raggiunto dal figlio, nato nel 1999 in Costa d’Avorio. Anche questo ragazzo, dopo aver esordito in una squadra locale, ha giocato nelle giovanili e nelle prime squadre di alcuni club italiani di serie inferiori, per poi ottenere un tesseramento nel Parma e andare in prestito al Turun palloseura, una squadra della serie B finlandese.

E mentre l’inchiesta della Procura prosegue, un mese fa si è arrivati ai primi patteggiamenti davanti alla giustizia sportiva. La Figc ha quindi comminato una multa da 48.000 euro a testa per i due fratelli. Quella di Parma, tuttavia, non è l’unica brutta storia.
A La Spezia gli investigatori ritengono di aver scoperto un vero e proprio «sistema» che avrebbe fruttato profitti per almeno 5,9 milioni di euro, con al vertice, si è ipotizzato, il patron della squadra ligure Gabriele Volpi, il quale in Nigeria ha fondato l’Abuja Football college, la scuola di calcio che ha sfornato i campioni d’oro, e il suo braccio destro Gianpiero Fiorani.

Le loro posizioni, però, presto sono state archiviate e, attualmente, una richiesta di rinvio a giudizio riguarda solo quattro indagati per aver indirizzato, tra il 2013 e il 2017, 13 calciatori minorenni provenienti dall’accademia nigeriana alla squadra ligure: Claudio Vinazzani, ex calciatore di Napoli e Lazio, all’epoca dei fatti era il responsabile del settore giovanile dello Spezia calcio; Luigi Micheli, ex amministratore delegato dello Spezia calcio, da luglio 2020 è direttore generale del Brescia calcio; Renzo Gobbo, ex calciatore di Como e Messina finito nell’inchiesta come responsabile tecnico dell’Abuja Football college; e Roberto Sannino, tutore legale di alcuni baby calciatori nigeriani.

Di «gioiellini» nigeriani passati per l’Abuja football college, il «Sistema Spezia» ne ha lanciati vari nel circuito del calcio professionistico: Orji Okwonkwo, che dal Bologna è finito al Montreal; Umar Sadiq, che negli anni scorsi ha vestito le maglie di Roma, Torino e Perugia; l’ex terzino della Roma, Abdullahi Nura; il centrocampista del Modena, Rabiu Oyndamola.

La Generazione Z dei minori stranieri non accompagnati, dunque, è uno dei grandi business per chi cerca di favorire l’immigrazione clandestina. E chi non ha la fortuna di indossare una maglietta da professionista del calcio, alla peggio finisce a disputare una partitella in un centro d’accoglienza che, come prevedono le leggi europee, non dispone di telecamere né di recinzioni e da cui, insomma, non è affatto difficile scappare.

Ottenuta la certificazione per la protezione internazionale, il finto minorenne è libero di scegliere la sua strada e di raggiungere il Paese europeo che sognava al momento della partenza. Proprio come la gran parte dei baby calciatori stranieri, che dopo i primi ingaggi nei club italiani finiscono all’estero, arricchendo le squadre che li hanno «scoperti» e i loro agenti.

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