Gli antidoti a mRNA, come quelli di Pfizer e Moderna, riducono drasticamente le possibilità di infezione. Lo sostiene una ricerca pubblicata su Clinical Infectious Diseases.
Mentre si discute del vaccino Astrazeneca si susseguono notizie positive riguardanti altri vaccini, in particolare quelli a RNA messaggero (mRNA), come il Pfizer-BioNTech e il Moderna. Quello che si è scoperto è che un paziente asintomatico positivo al Covid, 10 giorni dopo aver ricevuto la seconda dose di un vaccino a mRNA, è poco probabile che possa contagiare. Questo significa che questi vaccini abbattono la probabilità nei positivi asintomatici di mettere a rischio altre persone.
I risultati di questa ricerca, pubblicati su Clinical Infectious Diseases, calcolano che i pazienti asintomatici hanno una probabilità più bassa dell’80% rispetto i non vaccinati non solo di contagiare, ma anche di risultare positivi dopo 10 giorni dalla seconda dose. L’RNA messaggero, nei vaccini come il Pfizer o il Moderna, è racchiuso in capsule di molecole organiche (liposomi) che ne facilitano l’ingresso nelle cellule e lo rendono stabile. Una volta iniettato nell’organismo, non può propagarsi ma induce la sintesi di anticorpi. Ciò che restava da chiarire era se il virus, pur se incapace di infettare un individuo vaccinato con doppia dose a mRNA, poteva albergare nelle sue vie aree rendendo così quel medesimo individuo contagioso. Questa ricerca mostra che l’eventualità è poco probabile. Mettersi la mascherina è quindi comunque una buona norma perché la probabilità, benché bassa, non è nulla.
In attesa di altre ricerche, questo studio regala ai vaccini a mRNA una vantaggiosa caratteristica che si aggiunge alle altre già conosciute. Per esempio, al contrario dei vaccini proteici, questi vaccini non hanno bisogno di adiuvanti, che spesso causano una risposta infiammatoria locale abbastanza marcata; e al contrario dei vaccini basati su virus modificati geneticamente o virus inattivati, non introducono nell’organismo parti del virus. Resta lo svantaggio della temperatura di conservazione che deve essere bassa proprio per l’instabilità dell’ RNA messaggero. Moderna è un vaccino meno suscettibile alla degradazione di Pfizer, comunque, proprio per la composizione delle capsule organiche che inglobano l’mRNA.
Un altro studio sul British Medical Journal (BMJ) suggerisce che le donne incinte hanno rischio più alto delle donne di pari età non in stato di gravidanza, in particolare quando le prime hanno condizioni di salute preesistenti sfavorevoli come la pressione alta, il diabete o l’obesità. I sintomi più comuni di Covid-19 nelle donne in stato di gravidanza sono la febbre e la tosse ma, a paragone delle altre donne, quelle incinta hanno più probabilità di essere asintomatiche.
Tuttavia, uno studio dell’università di Rochester indica che le donne con il Covid-19 che allattano non trasmettono il virus attraverso il latte. Al contrario, attraverso quest’ultimo passano anticorpi capaci di neutralizzare il virus ai figli. Nello studio, dei 37 campioni di latte analizzati di 18 donne con il Covid-19 nessuno di questi conteneva il virus. Di contro, due terzi dei campioni contenevano due anticorpi specifici capaci di neutralizzarlo. Gli autori dello studio suggeriscono quindi che le madri positive non dovrebbero essere separate dai loro bambini appena nati: «in generale le separazioni madre-figlio vanno fatte solo se strettamente necessario, cioè per buone ragioni di carattere medico, ma questi risultati da noi ottenuti suggeriscono che nel latte delle madri ci sono gli anticorpi per proteggere i figli».
Queste parole cercano di infondere calma nelle donne in stato di gravidanza che, come varie indagini statistiche in molti Paesi suggeriscono, stanno mostrando alti di livelli di ansietà. In Giappone, per esempio, è risultato che 300 donne incinte e 13 sottoposte a fecondazione assistita hanno selezionato il grado più alto nella scala della paura dei Covid predisposta nei test.