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L’algoritmo dell’amore

L’algoritmo dell’amore

Due nuove serie tv immaginano che la scienza saprà trovare il partner perfetto per ognuno. Altre indagano sugli ostacoli che impediscono a una relazione di funzionare. Ma nel tentativo di incasellare i meccanismi della passione, ne sminuiscono l’essenziale: l’imprevedibilità.


Non ha l’arco né le frecce con la punta a forma di cuore, non svolazza mezzo nudo intento a saettare. È un Cupido sintetico, artificiale, in provetta: gli basta un rapido test, un capello spedito per posta, per trovare a chiunque la sua anima gemella. Quella dolcissima metà con cui sentirsi interi per il resto della vita. Sarà sufficiente incontrarla, per innamorarsene perdutamente.

Succede quando la genetica scavalca la fatalità, la scienza si sostituisce agli dèi, al caso, al destino, a qualunque elemento sia in grado d’infiammare la scintilla della passione. È la trama di «The One», serie disponibile su Netflix. E anche, quasi identica, quella di «Soulmates», nel catalogo di Prime Video. Due titoli recentissimi, con dentro la stessa metamorfosi: l’amore si fa legge incontrovertibile, compatibilità pura scolpita nel Dna. Le conseguenze sono ovvie, a metà tra il liberatorio e l’inquietante: i single abbandonano le app di dating, dimenticano gli appuntamenti al buio noiosi o disastrosi. Trovano la felicità, almeno un suo simulacro chimico. Chi è in coppia s’incuriosisce, cede all’intrigo, di nascosto domanda un responso all’oracolo dei sentimenti in camice bianco. Qualcuno esita, resta dov’era con il partner di prima, in tanti fuggono: i matrimoni si sfasciano, le famiglie si sfaldano, i figli ne soffrono, scoppiano dolori, delitti, tutto il catalogo di drammaticità che deve tenere in piedi la storia dilatata di un racconto a episodi.

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Prime Video

Derive della fiction a parte, è interessante questo sforzo narrativo doppio d’incastrare nel rigore totale il più anarchico degli impulsi: «Un’ipotesi ricca di pro e di contro. Alcune persone adorano il caos, altre no. Alcune apprezzano l’attesa di trovare una connessione, altre preferiscono non perdere tempo. L’utopia di uno è la distopia di un altro» dice a Panorama lo scrittore inglese John Marrs, autore del libro «La coppia quasi perfetta» (Newton Compton Editori), da cui è tratta la serie «The One».

Secondo Marrs, la domanda che dovrebbe provocare nello spettatore è semplice e dirompente: «Faresti il test? A prescindere da quanta felicità ci sia nella tua vita, saresti disposto a sacrificarla per la possibilità di qualcosa di meglio?». Le puntate bisbigliano una risposta: l’umano troppo umano è, di natura, incontentabile. Abbagliato dalla tentazione, infedele incallito: anche chi viene abbinato, sullo schermo continua a tradire. «Pure qui» commenta lo scrittore «dipende dai punti di vista. L’unità di due anime gemelle non sarà minacciata in alcun modo se lui o lei dormono con altri. Quello che la scienza non sa invece tenere in considerazione sono le circostanze: uno dei due membri della coppia può essere in prigione, di cinquant’anni più vecchio, dello stesso sesso».

Anche un accostamento geneticamente perfetto rischia di essere, già in partenza, fallace. Imperfetto: «Ed è una fortuna. La coppia ideale sarebbe una fabbrica di codipendenza. Amore e felicità non sono la stessa cosa: pensare che i due concetti coincidano è una regressione all’infanzia. L’amore è fatica, lacrime e sangue, fare i conti col quotidiano, accorgersi che l’altro non ci è più simpatico e lavorare affinché torni a esserlo» spiega Umberta Telfener, psicologa, psicoterapeuta e autrice del libro «Primi amori. Uno, nessuno, centomila» (il Mulino), uscito da poche settimane.

Bonariamente costretta da Panorama a fare binge watching di «The One», a sorbirsi tutti gli episodi in una volta sola, Telfener ammette di essersi divertita durante la visione, pur trovando terrorizzante l’orizzonte che dipinge: il recinto della scienza intorno all’anima «è una trappola bestiale. Una gabbia». Ma, anche, una metafora del presente: «Scorgo in questi titoli un’affinità con quello che stiamo vivendo. Si mette al centro un mito di oggettività in un’epoca in cui non ci sono certezze». Il ragionamento non si limita a questi esempi, si allarga: «Le serie ci permettono di riflettere sul nostro tempo. Sono un gioco meraviglioso, una casa delle bambole dell’adultità, una lente per leggere meglio il mondo». Specie quando, in lockdown e nei suoi spiragli, se il cuore non è in gabbia di sicuro il corpo lo è.

Le prospettive nei cataloghi in streaming sono molteplici, per tutti i gusti, anche sessuali. «Normal People» su Starzplay affronta una storia infinita che interseca passione, amicizia, ossessione e distacco tra un lui e una lei. Le varie ed eventuali derive dell’amore: «Un pendolo di forza e debolezza, la dimostrazione che si può stare accanto rimanendo estranei all’altro e a sé stessi».

«Love, Victor» su Disney+ diventa un romanzo di formazione per teenager in chiave gay: la scuola accetta senza particolari riserve l’omosessualità; è il protagonista a fare i pugni con il suo io, a confrontarsi con i dubbi sulla sua identità. A fidanzarsi con una ragazza, mentre fantastica su un amico che lavora nel suo stesso bar.

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Disney+

«Dickinson» su Apple TV+, molto liberamente tratta dalla biografia da giovane della celebre poetessa americana, si muove all’opposto di «The One»: è la ribellione delle categorie dei sentimenti, il rifiuto secco di qualunque tentativo di incasellarli. «Oggi i ragazzi» conferma Telfener «sono fieri di essere fluidi. L’eterosessualità è vista quasi come un limite, non come un vantaggio». La confusione s’impone. Forse per questo la scappatoia nella scienza, perlomeno teorica, affascina: «La volontà dei singoli sostituita da una super partes è un approdo rassicurante». La paura maggiore, nell’imbarazzo della scelta, è quella di non scegliere affatto. Di non innamorarsi mai, qualsiasi cosa l’amore significhi.

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