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Quando la medicina sbaglia: il libro che mette in crisi le certezze della scienza

Quando la medicina sbaglia: il libro che mette in crisi le certezze della scienza

Linee guida fragili, dogmi intoccabili e interessi economici: il nuovo libro di Marty Makary scuote la medicina moderna e riapre il dibattito su errori sistemici, fiducia tradita e salute pubblica

Una promessa, un patto: consigli e pratiche nate dall’evidenza scientifica miglioreranno la nostra salute. La medicina moderna poggia su questo pilastro, vincolo di fiducia tra la scienza e le persone, che si basa sulla ricerca e sulle linee guida: frutto di anni di studio, trial e revisioni. Ma a volte, dietro le etichette di assoluta certezza si nascondono decisioni prese frettolosamente, prove fragili e interessi economici. «E se la medicina, nel tentativo di proteggerci, avesse a volte sbagliato strada?». È una domanda che inquieta, perché scava nel cuore del nostro patto, e derubricarla al delirio del solito guru anti-scienza sarebbe comodo e tranquillizzante: solo che a porsela è uno scienziato tra i più importanti al mondo.

Il libro che fa tremare la medicina

Marty Makary, già chirurgo oncologo alla John Hopkins School of Medicine e dal marzo 2025 commissario dell’Fda statunitense, risveglia le nostre coscienze assonnate con il suo ultimo libro, Quando la medicina sbaglia (Newton Compton, 352 pagine, 14,90 euro), uscito in Italia da poche settimane. Pagine che costringono a misurare la distanza tra l’autorità del consiglio medico e la fragilità dei dati, e a fare i conti con una realtà scomoda: molte decisioni sanitarie nascono da interessi lobbystici o da errori metodologici, poi elevati a verità incontestabili. «Più volte, le istituzioni e la medicina organizzata hanno messo a tacere le opinioni dissenzienti di medici altamente qualificati, creando l’illusione di un consenso» dice Makary. «Questo atteggiamento ha un costo altissimo: spegne la voce dei pionieri, rallenta la correzione degli errori e mina la fiducia pubblica».

Un “disruptor” della scienza

Attenzione: lo scienziato americano non è un nemico della scienza, tutt’altro. È quello che in America viene definito un “disruptor”, un innovatore che non ha paura di andare contro l’ordine costituito per dare vita a cose nuove. All’inizio della sua carriera, si mise in testa di creare una check-list di controllo – modellata su quella dei piloti degli aerei – per migliorare la sicurezza degli interventi chirurgici, perché «la semplicità, in medicina, è spesso la forma più alta di innovazione». In seguito quei protocolli sono entrati in vigore ovunque. Ha acceso un faro sull’abuso di antibiotici, molto prima che il problema dell’antibiotico-resistenza fosse un’emergenza mondiale come oggi.

Il dibattito che divide il mondo medico

Per questo il suo libro sta monopolizzando il dibattito medico in tutto il mondo. «Il paradosso è sia metodologico che culturale» dice a Panorama Daniele Coen, membro del direttivo della Academy of emergency medicine and care. «La medicina guadagna credibilità anche ammettendo i propri limiti, perché questo è il modo in cui procede la conoscenza. Se non lo fa, e in questo Marty Makary ha ragione, mina il rapporto di fiducia con la gente. Aggiungerei che spesso i medici ragionano in termini qualitativi e non quantitativi: fa bene o fa male, è bianco o è nero».

Peccato che nella realtà le cose siano più sfumate: giocare con i numeri è una delle cose più facili per dar peso ai risultati delle proprie ricerche, e nei vari studi si usano spesso percentuali di miglioramento relative anziché assolute. «Se io dico che il trattamento X riduce del 25 per cento – dato relativo – la mortalità a 5 anni significa che, se la mortalità in assenza di trattamento e in valori assoluti è del 4 per cento, con il trattamento scenderà di un punto percentuale» continua Coen. «Cioè, invece di avere 96 probabilità su 100 di non morire, ne avrò 97. Buona cosa, ma certo non entusiasmante».

Errori che costano vite

Anche perché poi le conseguenze di questa confusione metodologica, sul lungo periodo, possono essere destabilizzanti: Makary cita una stima secondo cui circa 140 mila donne sarebbero morte prematuramente, nel giro di vent’anni, perché non hanno fatto ricorso alla terapia ormonale sostitutiva e sono quindi andate incontro a patologie correlate alla menopausa. Da qui la sua critica feroce contro ginecologi e medici di base che per decenni non l’hanno prescritta. «Dire alle donne di evitare la terapia ormonale sostitutiva perché provoca il cancro al seno potrebbe essere stato il più grande errore della medicina moderna. Eppure, inspiegabilmente, il dogma è ancora vivo», scrive lo scienziato, che ora da commissario dell’Fda è corso ai ripari.

E cosa dire dell’appendicite? Nonostante tre studi randomizzati abbiano dimostrato che nel 75 per cento dei casi i pazienti non hanno bisogno di intervento chirurgico – il problema può essere controllato con antibiotici – oggi, dice ancora Makary, «solo la metà dei chirurghi ha incorporato nella propria pratica questo approccio. L’altra metà continua a operare tutti i pazienti. Ciò significa che, in America, il fatto di finire sotto i ferri per un’appendicite dipende da chi è di turno quando si entra in Pronto soccorso».

Linee guida: strumenti o dogmi

Ma cosa c’è dietro questi errori sistemici? L’autore individua più livelli di responsabilità: la selezione delle evidenze, i processi di revisione assoggettati a narrazioni dominanti, pressioni economiche e istituzionali, comitati che raramente rivedono le raccomandazioni con la stessa rigidità con cui le hanno promulgate. Il risultato è una struttura che premia la certezza istituzionale più che l’auto-correzione.

E proprio sulle linee guida occorre fare chiarezza. «Sono uno strumento di supporto per le decisioni, da adattare caso per caso» dice Davide Capodanno, ordinario di Cardiologia all’Università di Catania. «Nascono da un processo rigoroso, ma devono aggiornarsi costantemente, perché la scienza evolve. Ammettere i limiti non indebolisce la medicina: al contrario, dimostra che è un sistema vivo».

Dalla pandemia al prezzo dei dogmi

Ovviamente, se si parla di rottura del patto di fiducia, il pensiero corre alla pandemia da Covid-19, tra indicazioni contraddittorie, divieti, cambi di rotta sui vaccini e una comunicazione che ha lasciato strascichi profondi. Makary racconta anche un episodio personale: il divieto di partecipare a un convegno perché non “in regola” con le vaccinazioni, nonostante due dosi e infezione già contratta. Sul tema vaccini, la confusione – soprattutto attorno ad AstraZeneca – ha creato un’onda lunga di scetticismo che oggi si riflette persino nel calo delle vaccinazioni antinfluenzali.

Makary accende poi un riflettore sulla disforia di genere, citando il caso della dottoressa Lisa Littmann della Brown University, allontanata dopo uno studio che metteva in discussione la narrazione dominante. «Qual era il suo crimine?» scrive Makary. «Aver pubblicato risultati che non piacevano».

Ricostruire la fiducia

«Uno dei grandi problemi della medicina di oggi è l’aver trasmesso ai medici una logica di delega» spiega Guido Bertolini, IRCCS Mario Negri. «Si è perso il saper sapere: non basta conoscere, bisogna saper gestire la conoscenza». Autonomia, accettazione dell’errore e trasparenza diventano così le parole chiave per ricostruire il patto perduto.

«Se si pretende di chiudere la porta a tutti gli errori, la verità ne resterà fuori» afferma Carlo Maria Petrini, direttore dell’Unità di Bioetica dell’Istituto superiore di sanità. «Comunicare il cambiamento e l’autocritica promuove la credibilità della scienza». Tornare al letto del malato, con umiltà e competenza. Ammettere di aver sbagliato. Perché l’errore non è una sconfitta della scienza: è il suo battito cardiaco. E il prezzo del dogma, come ormai dovremmo aver capito, si paga sempre in vite umane.

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