Il contestato presidente ha concesso a Mosca e agli estremisti di Hezbollah lo sfruttamento del torio, minerale strategico per missili e reattori nucleari. Intanto, la presenza militare della superpotenza nel Paese sudamericano diventa massiccia.
Ho buone ragioni per garantire che la presenza degli iraniani e di Hezbollah in Venezuela è più forte di quanto la gente immagini. Basti vedere cosa succede sull’isola di Margarita». L’avvocato Enrique Aristiguieta conosce bene le dittature, essendo stato alla guida della Giunta Patriottica che, nel 1958, rovesciò il dittatore Marcos Pérez Jiménez. «Questa però è molto peggio» spiega «perché è una narcodittatura terrorista con agganci a livello internazionali, i più pericolosi dei quali sono Iran e Russia». Narcotraffico, documenti falsi e ora anche estrazione mineraria illegale di torio, uranio, oro, diamanti, petrolio e coltan. «L’economia del Venezuela è a tutti gli effetti un’economia criminale che attira spie e militari di Paesi come Russia e Iran, ai quali Nicolás Maduro ha garantito lo sfruttamento esclusivo del torio, un minerale strategico per la costruzione di missili e con cui viene finanziato il terrorismo internazionale» assicura Américo De Grazia, deputato di origine italiana da qualche mese rifugiatosi nel nostro Paese per le minacce dei servizi di sicurezza di Maduro.
Il torio è un minerale «pulito», ben più dell’uranio, ed è un potente combustibile nucleare perché ha una sezione altamente efficace contro i neutroni lenti, disintegrandosi in uranio-233. Cosa che gli consentirebbe di sostenere una reazione a catena nucleare. Preoccupa dunque molto l’Occidente, e soprattutto gli Stati Uniti, che i russi e gli iraniani di Hezbollah – l’ala estremista e militarizzata del Partito di Dio libanese – siano «stati incaricati dal regime dello sfruttamento del torio nel Parco nazionale di Canaima, dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’umanità, in cambio del loro sostegno a Maduro» continua De Grazia.
Altra ragione di inquietudine, l’appoggio logistico e finanziario dato dal regime al terrorismo internazionale, a cominciare proprio da Hezbollah. Anche di questo hanno parlato Donald Trump e Juan Guaidó nell’incontro alla Casa Bianca del 5 febbraio scorso.
Già nel 2005 Johan Peña, ex commissario dell’intelligence venezuelana (Disip all’epoca, oggi Sebin) denunciava la presenza nello Stato di Simón Bolívar di un importantissimo uomo di Osama bin Laden: Mustafa Setmarian Nasar, alias Abu Musab Al-Suri.
Mentre le intelligence di mezzo mondo lo cercavano, lui era a Caracas e si riuniva con i movimenti terroristici: Farc, Eta, Eln colombiane e intelligence cubana. Veniva intercettato a bordo di un cargo panamense a Puerto Cabello con Carlos Rafael Lanz Rodríguez, uomo di Chávez, ex terrorista noto per aver rapito per sei anni un imprenditore statunitense, e poi messo a capo dell’Alcasa, l’impianto nazionale di produzione dell’alluminio, considerato una copertura per processare, in realtà, uranio destinato all’Iran. E si temeva che Nasar fosse in Venezuela proprio per negoziare uranio.
C’è poi l’isola Margarita, dove l’80% dei commerci sono gestiti da musulmani e le donne velate sono sempre più numerose. Qui, secondo il quotidiano tedesco Die Welt, e a conferma di quanto denunciato da Aristiguieta, si trova addirittura una base iraniana con missili Shahab-3; e l’isola è diventata un fortino di Hezbollah, che gestisce campi di addestramento paramilitare, come quello controllato da Oday Nassereddine.
Il cardine del sodalizio politico-criminale tra chavismo ed Hezbollah è però l’ex vice presidente di Maduro Tareck El Aissami, oggi viceministro dell’Economia. Sanzionato da Svizzera e Stati Uniti, dove gli sono stati congelati beni per oltre tre miliardi di dollari, El Aissami è accusato dalla Dea, l’agenzia antidroga americana, di essere un narcotrafficante e il legame della dittatura con Hezbollah. «Tareck El Aissami facilitava l’invio di narcotici e lo controllava da una base aerea, così come da svariati porti del suo Paese». Non piccoli quantitativi, ma quattro-cinque carichi al giorno, ognuno con a bordo circa mille chilogrammi di cocaina.
Oggi è lui il factotum di Maduro quando si tratta di narcotraffico e terrorismo. E i suoi parenti sono altrettanto attivi: il fratello Feraz è stato coinvolto nell’arresto ad Haiti, nel novembre del 2015, dei nipoti di Maduro per aver tentato di introdurre 800 chilogrammi di cocaina negli Usa; suo padre, Zaidan El Amin, già segretario del partito iracheno Baath in Venezuela, non ha mai nascosto le simpatie per Osama bin Laden; sua sorella Haifa El Aissami, invece, è ambasciatrice del Venezuela alla Corte penale internazionale dell’Aja. Una rete familiare in grado di garantire appoggio a terroristi in cerca di nuove geografie, visto che proprio Tareck El Aissami aveva stretto legami con un’organizzazione segreta per reclutare giovani venezuelani di origine araba da mandare in campi di addestramento di Hezbollah in Libano con passaporti falsi, come denunciato da Misael López, un ex dipendente dell’ambasciata venezuelana a Bagdad tra il 2013 e il 2015.
Oggi però la presenza di Hezbollah, al pari di quella dei russi, è ancora più preoccupante. Nel novembre 2019, Caracas ha firmato un accordo con l’Iran che, come denuncia Joseph M. Humire, specialista in sicurezza regionale, rappresenta una minaccia globale. «Stanno lavorando in partnership sulla nanotecnologia» spiega il direttore del think-tank Secure Free Society di Washington «ma temo che usino il torio per un programma di armamenti, dai missili alle armi di distruzione di massa, e in quella direzione bisogna guardare, poiché l’Iran ha la capacità di farlo e va ricordato che il dipartimento del Tesoro li ha definiti “i re del doppio uso”».
Anche i russi, grazie a Maduro, hanno messo le mani sul torio e sul petrolio, entrando in modo massiccio, con agenti e militari, nelle aree dell’Arco Minero e del fiume Orinoco. Sino alla morte di Chávez, nel 2013, Vladimir Putin vendeva solo armi al Venezuela: carri armati, lanciarazzi Grad, sistemi missilistici Pechora-2M, sistemi di difesa aerea S-300 e migliaia di kalashnikov. Poi, con Maduro, ha avuto mano libera nello sfruttamento del petrolio, al punto che il dittatore di Caracas sta valutando la possibilità di cedere il controllo totale della compagnia petrolifera statale Pdvsa alla russa Rosneft, secondo quanto riferisce il quotidiano El Nacional.
In cambio, la Russia offrirebbe una riduzione del debito al Venezuela (20 miliardi di dollari). Maduro e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, giunto a Caracas in missione lo scorso 6 febbraio, hanno discusso di questo, oltre che dell’aiuto militare e d’intelligence che Mosca sta intensificando a favore del regime. Da fine 2019, i russi hanno occupato gran parte del Circolo militare di Caracas mentre la prima «occupazione» di una caserma venezuelana risale nell’agosto 2019, nella cittadina di Rubio, dove truppe speciali di Putin hanno sorvolato l’area con droni e installato apparecchiature nel forte Kinimarí.
Lo scorso settembre, poi, altri militari russi sono stati visti al confine con la Colombia nel villaggio di Ureña, mimetizzati con uniformi dell’esercito venezuelano. Il 10 dicembre del 2019, infine, sono arrivati altri soldati di Mosca per occupare il campo del Parco nazionale Canaima. Obiettivo: torio e oro. Pableysa Ostos, giornalista de El Nacional racconta i dettagli: «Da un jet militare sono sbarcati 40 russi e 12 funzionari del comando operativo strategico. Un gruppo è rimasto a Canaima e l’altro ha occupato il centro di La Paragua».
«La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato proprio l’arrivo dei militari russi, così abbiamo deciso di ribellarci» si sfoga il leader della comunità indigena Pemón, Ricardo Delgado, l’ultimo in ordine di tempo a denunciare l’invasione dei corpi speciali di Putin in Venezuela. Racconta a Panorama un indio Pemón: «Parlano una lingua incomprensibile, sono violenti, ci sequestrano i cellulari per evitare di essere filmati. Viviamo nel terrore».
