Carlo Calenda e Matteo Renzi esibiscono abili «sintonie» con il governo Meloni, facendo infuriare Forza Italia ma attirando l’interesse (e gli investimenti) degli imprenditori. Così, all’orizzonte s’intravede un’altra maggioranza pronta all’occorrenza. Il potere, si sa, accende chi non ce l’ha…
Il diavolo terzopolista sta nei dettagli. Come questo: il «Churchill dei Parioli» cita il vero Churchill, ex primo ministro inglese. In una manciata di giorni, sempre a favor di taccuino, Carlo Calenda prende ripetutamente a prestito le parole di Sir Winston. Il pacifista de’ sinistra? «È chi continua a dare carne alla tigre sperando che la carne non finisca mai». Gli inumani russi? «Potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore. Avranno la guerra». Il reietto Luigi Di Maio? «Nella vittoria, magnanimità».
Il fondatore di Azione, già twittatore compulsivo e attaccabrighe patologico, è rinato padre della patria. Dopo settimane di ammiccamenti, ecco il grande passo. Varca l’uscio di Palazzo Chigi, voluminosa carpetta sottobraccio, per offrire aiuto alla premier Giorgia Meloni. Intanto, sulla manovra Finanziaria. Poi, chissà. A gennaio, si comincerà a discutere di riforme costituzionali: elezione diretta del capo dello Stato e separazione delle carriere dei magistrati. E il ben avviato dialogo potrebbe diventare comunione d’intenti.
Conseguente quesito: come si usa dire fin dalla primissima Repubblica, il Terzo Polo sarà la nuova «stampella» della maggioranza? I Pierini centristi sono ormai disinteressati statisti? Il compare, Matteo Renzi, aveva già sparigliato a inizio legislatura: «Se la presidente Meloni farà bene, saremo contenti». Seguì sostegno, mai ufficializzato, a Ignazio La Russa come presidente del Senato. L’abile mossa fece implodere la riottosa Forza Italia. Silvio Berlusconi sparò un indimenticabile «vaffanculo» al neoletto. I «ronzulliani», indomabile correntone guidato dalla spadroneggiante Licia, masticarono amarissimo. In definitiva, lì siamo rimasti. Altro che generosità istituzionale.
L’apertura di Calenda è l’ennesimo dito negli occhi ai berlusconiani, difatti furenti. Non amano di certo la premier, che osò negare un ministero alla capintesta. Così Carletto il pariolino, nato con la camicia in cotone egiziano e le iniziali sul taschino, spande effusioni verso la premier venuta dal nulla: «È una donna che nasce in una famiglia non privilegiata, con una vita difficile e che ce la fa da sola. Questo mi predispone positivamente dal punto di vista della chimica». Più che gli alambicchi, contano però i numeri. Il reciproco ammiccamento, intanto, ha due scopi. Meloni dimostra ai ronzulliani di potersela cavare anche senza di loro. Parlare a nuora, perché suocera intenda. Avviso ai naviganti e navigati berlusconiani: niente scherzi sulla Legge di bilancio. Si rischierebbe l’esercizio provvisorio. Occasione imperdibile per alimentare i pregiudizi dell’Unione europea, che la premier ha faticosamente rimosso. Pallottoliere in mano, dunque. Camera dei deputati: sostituendo i 44 parlamentari forzisti con i 21 centristi, s’arriverebbe a 215 favorevoli al governo su 400. Fantapolitica? Certo. Eppure, un’altra teorica maggioranza è possibile. Per lo meno, in caso di defezione degli azzurri su singoli provvedimenti.
Veniamo al Senato. In questo caso, con la medesima trasmigrazione, ci sarebbero 107 voti: tre in più del necessario. Non è certo un avvertimento, ma un residuale piano alternativo. Per il leader di Azione, invece, è l’imperdibile opportunità di metter zizzania. A dimostrazione di elettori ed eletti moderati: un diverso approdo è possibile. Difatti, maramaldeggia: «Forza Italia vuole sabotare il governo di cui fa parte. Non è un intento lodevole».
La strategia è lampante. È stata indirettamente sancita dal massiccio arrivo di berlusconiani storici. Come l’ex ministra Mara Carfagna, nominata perfino presidente di Azione, plenipotenziaria al Sud. L’altra reduce del governo draghiano, Mariastella Gelmini, spadroneggia al Nord. È lei, tra l’altro, regista della candidatura in Lombardia di Letizia Moratti, altra ex ministra forzista. Intanto, la sua lista civica in consiglio regionale è guidata da Manfredi Palmeri, fu berlusconiano.
Mentre il gruppo centrista al Pirellone conta su un ex leghista: Gianmarco Senna, vecchio amico del leader, Matteo Salvini. Tornando alla segretaria nazionale. Vicesegretario del partito, è Enrico Costa. Capo del dipartimento Mezzogiorno, Paolo Russo. Responsabile dei Trasporti, Osvaldo Napoli. Altri tre storici azzurri che hanno cambiato casacca.
Il Terzo polo sembra aver conquistato anche cuore e portafoglio dei grandi imprenditori. Basta compulsare la lista dei finanziatori tra agosto e settembre 2022: il periodo a ridosso delle ultime elezione, ovvero quello in cui i capitani d’azienda sono chiamati a contribuire. Il finanziamento di Forza Italia, però, passa soprattutto dalla generosità dei figli del Cavaliere: 100 mila euro a testa. Stessa somma donata da Fininvest, azienda di famiglia. Tra agosto e settembre 2022 Italia Viva, invece, ha infranto ogni record: quasi 1,4 milioni di donazioni. In appena due mesi, come rivelato da Panorama, sono stati raccolti i soldi ricevuti in due anni. Traguardo simile per Azione: nello stesso periodo, quasi 1,3 milioni. Tra gli sponsor, ci sono alcuni tra i più bei nomi dell’economia italiana. Da Patrizio Bertelli, che ha versato 50 mila euro, a Pierluigi Loro Piana, 65 mila euro. E poi Guido Maria Brera, Marco Tronchetti Provera, Renzo Rosso, Davide Serra. Insomma: a Italia Viva e Azione sono arrivati 2,7 milioni di euro. In appena due mesi.
La maggioranza degli imprenditori, ovviamente, non può essere ostile al governo. Ma i dioscuri centristi fiutano soprattutto l’opinione pubblica, favorevole a Meloni. L’ostilità preconcetta, in questo momento, non paga. Specie tra i moderati. E il Terzo polo ha un disperato bisogno di crescere e coltiva sterminante ambizioni, vista l’egolatria dei leader. Dunque, l’altra parte del piano di avvicinamento a Palazzo Chigi è ancor più smaccata: spingere il Pd verso il massimalismo dei Cinque stelle, già davanti nei sondaggi. Facilissimo. Nell’attesa del nuovo congressone, i Dem sono in stato vegetativo. Senza leader, visto che il dimissionario Enrico Letta non s’è ancora ripreso dalla scoppola. Senza intendimenti, di conseguenza. In balia di antitetiche correnti e irriducibili capetti.
Il marasma li costringe addirittura a inseguire i terzopolisti. In Lombardia schierano quindi un candidato con trascurabili chance: Pierfrancesco Majorino, vessillifero del partito Ztl, elitario e ideologico. Anche in Lazio, però, il Pd annaspa. Il leader di Azione ha poggiato lo spadone centrista su Alessio D’Amato, già assessore regionale alla Salute, prima di tutti. Riuscendo nell’inimmaginabile: trasformare un esponente del Pd, che ha ratificato la scelta solo due settimane più tardi, nel candidato del Terzo polo. Tanto che ormai viene sempre evocata «l’ombra di Calenda» sul povero D’Amato. Costretto a definirsi, per svelenire, un «candidato di coalizione». Già, ma quale? Pd e terzisti sono l’un contro l’altro armati pressoché ovunque.
Anche in Friuli-Venezia Giulia si vota la prossima primavera. La riconferma del leghista Massimiliano Fedriga è scontata. Però il Terzo polo, come in Lombardia, cercherà almeno di accrescere i consensi. Così, annuncia un’altra corsa solitaria. Il triestino Ettore Rosato, presidente di Italia Viva, spiega di «voler includere alcuni che oggi fanno parte del centrodestra storico nella regione». Solita tattica sfacciata: saccheggiare a Forza Italia classe dirigente. Nonché simpatizzanti. «Crediamo che la nostra proposta sia decisamente attrattiva proprio nei confronti di un pezzo dell’elettorato che appartiene al centrodestra».
Intanto, per rendere meno tribolato l’esodo, i due partiti del Terzo polo si riuniscono in una federazione. Porte aperte, anzi spalancate, per tutti. Il nuovo approdo di Calenda e soci diventa Renew Italia, declinazione nazionale del gruppo europeo con Renaissance, del presidente francese Emmanuel Macron. Non è l’adorato e pluricitato Winston, certo. Ma lo statista pariolino ha imparato perfino ad accontentarsi.