Sui media è quasi tabù: ma Lega e Partito radicale hanno depositato in Cassazione sei quesiti referendari e a breve partirà la raccolta delle firme. Possono essere un buon inizio per affrontare i gravissimi problemi del nostro ordinamento. Ecco che cosa prevedono.
Il disastro è totale, lo scandalo è continuo. Negli ultimi mesi si sono visti magistrati che manovravano nell’ombra per strappare nomine e promozioni indebite, e altri che per oscuri giochi di potere si scambiavano verbali d’interrogatorio coperti da segreto istruttorio, peggio di scolaretti che giocano le figurine da album. Si sono visti anche magistrati che ingaggiavano guerre intestine e faide di corrente così brutali da sembrare concepite da menti criminali. Non molto tempo fa, del resto, si sono scoperti magistrati antimafia capaci d’impossessarsi come piovre dei beni ingiustamente confiscati a imprenditori innocenti. L’ultima novità sconcerta: magistrati accusati di aver sottratto prove fondamentali alla difesa degli imputati.
Lo scandalo è continuo, il disastro è totale. Sembra un miracolo se la credibilità della magistratura, dieci anni fa al 68 per cento, oggi resiste impavida al 39. Così, mentre il ministro della Giustizia Marta Cartabia propone una deludente riforma dell’ordinamento giudiziario (vedere riquadro a pag. 17), al povero cittadino schifato da questa giustizia resta una sola strada: i referendum. I giornali non ne parlano, le tv li nascondono. Eppure il 3 giugno il Partito radicale e la Lega hanno presentato in Cassazione i quesiti per sei referendum sulla giustizia. Da luglio inizierà la raccolta delle firme, che dovrà chiudersi il 31 agosto. I quesiti non risolvono certo ogni problema. Ma possono essere un inizio. Ecco che cosa prevedono. E dove vogliono arrivare.
La separazione delle carriere
Da molti anni un ampio schieramento, dal centrodestra alla sinistra moderata, chiede di dividere le carriere di magistrati inquirenti e giudicanti, accrescendo così l’autonomia dei secondi ed evitando che i pubblici ministeri condizionino i giudici. Si oppongono la sinistra, il Movimento Cinque stelle e l’Associazione nazionale magistrati, il sindacato di categoria, con la scusa che sarebbe solo il primo passo per porre i pm sotto il controllo del governo.
I radicali hanno già tentato due volte il referendum sulla separazione delle carriere, nel 2000 e nel 2013, ma non sono arrivati al quorum. Nel 2002 ci provò il governo Berlusconi, con una riforma avversata dall’Anm e bocciata da Carlo Azeglio Ciampi per presunta incostituzionalità. Il governo dell’Ulivo, nel 2007, riuscì con la riforma del guardasigilli Clemente Mastella a stabilire un tetto massimo di quattro passaggi dalla magistratura inquirente a giudicante, e viceversa. Il referendum vuole cancellare tutti i riferimenti normativi che, dal 1942, permettono il passaggio tra le due funzioni.
Più limiti alla custodia cautelare
L’Italia è tra gli Stati con più detenuti in attesa di giudizio: sono il 35,6 per cento, contro una media europea del 23. Le ingiuste detenzioni, cioè gli arresti immotivati che riescono a ottenere un risarcimento, sono circa mille all’anno. Dal 1989 la custodia cautelare è ammessa per i reati che prevedono più di 5 anni di reclusione, ma solo se esistono tre condizioni di pericolo: reiterazione del reato, fuga e inquinamento probatorio. Il referendum limiterebbe la custodia cautelare per pericolo di reiterazione del reato: l’ammetterebbe esclusivamente per i reati più gravi, quelli che «contemplino l’uso delle armi o di violenza».
Una responsabilità civile più diretta
Nel 1987 il referendum radicale sulla responsabilità civile dei magistrati, intitolato a Enzo Tortora, prese l’80,3 per cento di sì. Il voto fu però tradito da una legge che nell’88 stabilì passaggi burocratici così complessi da rendere impossibile punire i magistrati che, per dolo o colpa grave, abbiano commesso un’ingiustizia. Negli ultimi 11 anni, grazie alle protezioni di quella legge, sono stati processati soltanto 129 magistrati, e ne sono stati condannati appena otto. A pagare per i loro errori, comunque, è sempre stato lo Stato. Se passasse il referendum, il cittadino che si ritiene vittima di un errore giudiziario potrebbe chiamare direttamente in causa il pm o il giudice che l’ha commesso.
Un freno alle correnti
Questo referendum trae forza dallo scandalo delle chat dell’ex pm Luca Palamara, che dal maggio 2019 ha scoperchiato il sistema spartitorio di nomine e promozioni nel Consiglio superiore della magistratura, manovrato dalle quattro correnti in cui oggi si divide la magistratura. Il referendum abrogherebbe un comma della legge del 1958 che organizza l’elezione dei membri togati del Csm in base a «liste di magistrati presentatori»: impedirebbe così che le correnti possano presentare i loro candidati. Questo, però, è il più «fragile» tra i sei referendum, perché le correnti potrebbero aggirarlo: nulla, infatti, impedirebbe loro d’indirizzare comunque il voto di aderenti e simpatizzanti su una serie di nomi da piazzare nel Consiglio.
Cancellare la legge Severino
Varata nel 2011 con voto unanime del Parlamento, la legge Severino vieta a chi è stato condannato in via definitiva di ricoprire incarichi parlamentari e di governo. È la normativa che nel 2013, applicata retroattivamente, ha fatto decadere Silvio Berlusconi dal Senato. Negli enti locali la norma fa decadere da ogni carica i condannati in primo grado e impedisce loro di candidarsi: questo è anche un profilo di dubbia costituzionalità, visto che per il nostro ordinamento chi non è condannato in via definitiva è innocente. Il referendum abrogherebbe tutta la legge Severino.
Più poteri agli avvocati nei 26 «Csm» territoriali
In base a una legge del 2006, in ogni distretto giudiziario – sono 26, uno per Corte d’appello – esiste un Consiglio giudiziario territoriale, composto da magistrati, avvocati e docenti universitari in materie giuridiche. Il numero dei membri varia da 14 a 22, in base al numero di magistrati attivi nel distretto; i magistrati sono almeno due terzi del totale: a Milano, per esempio, sono 16, contro sei tra avvocati e docenti.
Ogni Consiglio giudiziario territoriale funziona come un Csm in miniatura: crea le «tabelle di ruolo» che attribuiscono i procedimenti civili e penali ai vari magistrati; valuta le loro attitudini agli uffici direttivi, fornendo valutazioni che poi passano al plenum del Csm perché decida su nomine e promozioni; verifica le incompatibilità ambientali; decide sugli incarichi extragiudiziari. Nei vari Consigli avvocati e docenti, in minoranza, hanno anche un ruolo molto limitato: sono ammessi a votare solo quando il Cgt decide sulle tabelle di ruolo, mentre in tutti gli altri casi assistono alle riunioni senza poter parlare. Il referendum vuole dar loro almeno gli stessi poteri dei magistrati.