I boss, i loro parenti, gli affiliati alle varie cosche campane… All’arrivo del Covid hanno fatto valere la loro «cittadinanza» per arrotondare i già cospicui guadagni con le cifre elargite dallo Stato (per grazia dei grillini). Un bengodi concesso dall’Inps, interrotto dai carabinieri.
In fondo – molto in fondo, però – si può anche cercare di assumere il loro punto di vista. Una piazza di spaccio è un po’ come un supermercato, un’attività imprenditoriale che non può fermarsi neanche per un giorno. E le estorsioni, poi: vuoi mettere? Come si fa se tutti i negozi sono chiusi? E l’usura? A chi si può prestare i soldi se le strade sono deserte? Così, con il primo lockdown, sono stati anche loro costretti a ricorrere alle cure assistenziali dello Stato. D’altronde, il premier grillino Giuseppe Conte era stato chiaro nelle interminabili maratone serali: «Non lasceremo indietro nessuno». Compresi i clan della camorra vesuviana oggi finiti nella rete dei carabinieri di Torre Annunziata (Napoli) per aver percepito indebitamente il Reddito di cittadinanza non avendone i requisiti.
I militari, con il coordinamento della locale Procura (procuratore Nunzio Fragliasso, pubblico ministero Giuliana Moccia), hanno scoperto che i familiari dei boss più importanti della provincia partenopea hanno richiesto in massa la «card» gialla poche settimane dopo l’annuncio in tv di un tiratissimo Conte. Era il 9 marzo 2020, ricordate? «Non ci sarà più una zona rossa, non ci saranno più zona uno e zona due, ma un’Italia zona protetta. Saranno da evitare gli spostamenti salvo tre ragioni: comprovate questioni di lavoro, casi di necessità e motivi di salute», pontificava l’allora premier a reti (social) unificate dando il via al Medioevo dei diritti. I camorristi lo hanno preso in parola, e si sono organizzati. Costretti ad appendere la rivoltella al chiodo a causa del coronavirus, hanno dovuto fare di necessità virtù. E hanno firmato i moduli dell’Inps perché impossibilitati a svolgere le consuete «attività». D’altronde, sarebbe stato complicato esibire l’autocertificazione a un posto di blocco per trasferire un quintale di cocaina da un covo all’altro…
I carabinieri hanno sequestrato conti correnti bancari e postali per oltre 220 mila euro a una ventina di familiari di boss di spicco, oggi indagati per reati che vanno dalla truffa al falso. Dentro il fascicolo c’è tutto il «bel mondo» della malavita campana: i D’Alessandro di Castellammare di Stabia, i De Luca Bossa-Minichini di Ponticelli, i Di Gioia-Papale di Torre del Greco e anche esponenti della famiglia Batti di San Giuseppe Vesuviano e del Quarto sistema (il cartello criminale che a Torre Annunziata contende lo scettro del comando agli storici sodalizi dei Gionta e dei Gallo-Cavaliere). In particolare, sono finiti sott’inchiesta la compagna di Sergio Mosca, padrino di Castellammare di Stabia; quella di Giovanni D’Alessandro; e i parenti di Pasquale Cherillo (arrestato per associazione mafiosa, racket e detenzione illegale di materiale esplosico) e di Raffaele Polito, nuovo capobanda del rione Moscarella, sempre a Castellammare. E tanti altri…
Esaminando gli incartamenti, gli investigatori si sono accorti che i più previdenti si erano premurati di rivolgersi all’Istituto di previdenza già il 17 marzo 2020, quindi pochissimi giorni dopo l’inizio del confinamento, sospettando che lo stop sarebbe durato a lungo a dispetto delle verbose promesse del pentastellato presidente del Consiglio. Alla spicciolata si sono poi accodati gli altri. Tra novembre e dicembre di quell’anno c’è stato un ulteriore boom di richieste in concomitanza, presumibilmente, con l’arrivo della seconda ondata della pandemia che si sarebbe trascinata poi fino alla primavera del 2021. Un po’ malavitosi, un po’ virologi: i camorristi hanno scommesso sul Covid. E hanno vinto. I bonifici sono arrivati puntuali, ogni mese, oscillando da un minimo di 400 a un massimo di 700 euro. Poca roba, in realtà, considerando che si tratta di cosche considerate tra le più ricche e potenti della provincia sud del capoluogo campano. Capaci di guadagnare, e parliamo solo dei D’Alessandro di Castellammare di Stabia, a dire dei pentiti, 10 milioni di euro l’anno tra estorsioni e traffico di droga all’ingrosso e al dettaglio nella vicina penisola sorrentina. «Organizzazioni che possono inoltre contare su decine e decine di aziende pulite» c’è scritto nelle informative delle forze dell’ordine «intestate a prestanome compiacenti che hanno il compito di riciclare il denaro sporco».
È da qualche tempo che gli organi inquirenti napoletani hanno acceso un faro sui raggiri legati al Reddito di cittadinanza in tutta la provincia, e non solo. In 18 mesi, sono stati scoperti 4.307 percettori illegali del sussidio tra cui rapinatori, parcheggiatori abusivi e malavitosi di piccolo e medio cabotaggio. E c’è stato addirittura il caso di un latitante (Antonio Pezzella, affiliato al temibile gruppo degli Scissionisti di Scampia, sospettato di omicidio e occultamento di cadavere) che, pur essendo irreperibile, ha continuato tranquillamente a incassare il sussidio. Anche per lui, i grillini, avevano – a modo loro – «abolito la povertà».