Fra due primavere si voterà per il rinnovo del Parlamento della Ue. E molti degli attuali equilibri di potere potranno cambiare: a cominciare da un nuovo asse con i conservatori e riformisti, a cui punta Giorgia Meloni. E dalla «sparizione» di alcuni personaggi chiave che hanno imposto a tutti auto elettriche, case green e deliri ambientalisti.
Il regno della baronessa Ursula Gertrud von der Leyen e del conte Paolo Gentiloni Silveri sembra volgere al tramonto. I sudditi, dopo anni di vessazioni, saranno chiamati al voto il prossimo anno. A dispetto delle sue brame, la presidente della Commissione europea sarebbe costretta a tornare tra gli amati pony, nella fattoria di Hannover. Mentre lo scudiero agli Affari economici si ritroverebbe a rimirare gli affreschi del suo palazzo di famiglia a Roma.
Nella primavera 2024 si voterà per il nuovo parlamento europeo. E il Vecchio continente, che il consociativismo popolar-socialista ha reso più vetusto che mai, potrebbe cambiare per sempre. Tornate abitualmente sonnacchiose, si dirà. Eppure, stavolta sarà diverso. Giorgia Meloni, dopo l’Italia, vuol prendersi l’Europa. Il piano è già definito, fin nei minimi dettagli. Il dirigismo della Commissione, ratificato poi dall’assemblea di Bruxelles, pervade ormai le nostre già tribolate esistenze: dall’auto elettrica alle case green. Mentre i progressisti europei, grande famiglia di cui fa parte anche l’italico Pd, vengono travolti dal Qatargate, inchiesta su buoni uffici in cambio di mazzette.
Insomma, quel momento sembra arrivato: sondaggi alla mano, la storica alleanza con i popolari sembra destinata a essere soppiantata da un patto con i conservatori dell’Ecr, presieduti proprio da Meloni. Il progetto di Giorgia è in fase avanzatissima. Il primo tassello è stato, ovviamente, il suo fragoroso successo nelle urne e la conseguente nomina a premier. Poi l’accreditamento internazionale, passato dal ferreo atlantismo sulla guerra in Ucraina e i sorprendenti elogi di stampa internazionale e commentatori stranieri. Intanto, a Bruxelles si scorgono i primi barlumi della nuova intesa, come sul Green deal: in parlamento gran parte dei popolari ha votato contro le ecofollie della sinistra. Non a caso, si sono intensificati i rapporti tra la premier italiana e Manfred Weber, presidente del Ppi, già molto vicino sia al ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, che a quello degli Esteri, Antonio Tajani, che ormai i forzisti considerano una quinta colonna meloniana.
Dalla «maggioranza Ursula» alla «maggioranza Roberta». Anche sul nome dell’eventuale nuovo presidente della commissione, c’è totale sintonia. Sarebbe Metsola, eletta presidente del parlamento europeo a gennaio 2022: grazie all’accordo tra popolari e conservatori, a cui s’è aggiunto il gruppo Identità e democrazia, di cui fa parte la Lega. Tra le due, l’intesa è eccellente. «Meloni è una tipa tosta, coraggiosa e determinata» l’ha definita la politica maltese nell’ultima visita in Italia. Fedelissimi della premier sottolineano «percorsi politici e umani simili: madri, venute dal basso, radici cristiane.
Il sodalizio dovrà però superare prove cruciali. A partire dalle elezioni in Grecia, previste il prossimo luglio: il primo ministro uscente Kyriakos Mitsotakis, altro architetto della «maggioranza Roberta», corre per la riconferma. La tornata più insidiosa è però quella polacca: Piattaforma Civica, partito dell’ex presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, rivaleggia contro il Pis, strettissimo alleato di Fratelli d’Italia, guidato dal premier Mateusz Morawiecki. Tra novembre e dicembre 2023 si voterà anche in Spagna. I popolari potrebbero tornare al potere assieme a Vox, che a Bruxelles fa parte del gruppo meloniano. Sarebbero le prove generali del patto europeo.
La Francia è andata alle urne l’anno scorso, invece. Ma il gradimento del liberaldemocratico Emmanuel Macron, contestato da folle oceaniche per la riforma delle pensioni, è ai minimi storici. Anche il governo socialista di Olaf Scholz in Germania, minato da inusuale e perdurante crisi economica, non avrebbe più la maggioranza se si votasse oggi. Due settimane fa, dopo trent’anni, alle amministrative di Berlino ha stravinto la Cdu di Friedrich Merz, nemico giurato dell’ex cancelliera Angela Merkel e altro grande fautore della «maggioranza Roberta».
«Il cambiamento, stavolta, viene dal basso: sono i cittadini a volerlo» dice Nicola Procaccini, nuovo alfiere di Fratelli d’Italia nel parlamento europeo. Giornalista, già portavoce di Giorgia da ministra, poi sindaco di Terracina. Sembrava destinato a diventare il nuovo governatore del Lazio, invece è stato appena nominato copresidente dei Conservatori a Bruxelles al posto di Fitto. Quarantasette anni, a fianco di Meloni dai tempi di Azione giovani, per fotografare il momento ricorre a metafora marinaresca: «Il vento, ormai, soffia in quella direzione. Impossibile fermarlo con le mani, meglio spiegare le vele». I popolari europei, dunque, riesumano l’italica politica dei due forni: per adesso restano con i socialisti, ma si preparano all’avanzata conservatrice. È cominciata in Svezia, lo scorso settembre: dopo cinquant’anni di socialdemocrazia, è diventato premier Ulf Kristersson, candidato del centrodestra.
Procaccini, che è pure responsabile del dipartimento Ambiente di Fratelli d’Italia, cita quindi Roger Scruton, filosofo britannico e nume tutelare meloniano: «Diceva che l’ecologia rappresenta la quintessenza della causa conservatrice perché è la sostanza di quell’alleanza tra i morti, i vivi e chi deve ancora nascere. Ma dobbiamo mitigare il furore. Il dirigismo europeo, fomentato dai socialdemocratici, invade le nostre esistenze. È il disprezzo della proprietà privata, come la casa o l’automobile». Le turbodirettive della baronessa Von der Leyen, in combutta con il commissario europeo per il Clima, l’olandese Frans Timmermans, ci impongono di far zompare i nostri agognati appartamenti di alcune classi energetiche, imponendo onerosi lavori di ristrutturazione: cappotto termico, nuovi infissi, caldaia a condensazione. Un salasso destinato a falcidiare la classe media, pena leggendaria svalutazione degli immobili. Un’ecopatrimoniale, insomma. Come l’auto elettrica: dal 2035 non potranno essere più venduti motori diesel e benzina. A dispetto del loro costo esorbitante, i posti di lavori persi, la mancanza di ricariche e i dubbi vantaggi ambientali. E nonostante l’evidente contrarietà dei consumatori. In Italia la quota di auto a zero emissioni continua a calare: lo scorso gennaio sono state appena il 2,6 per cento delle nuove immatricolazioni. «È anticapitalismo. Avversione verso il libero mercato» commenta Procaccini. «Questa furia non è giustificabile nemmeno dal punto di vista ambientale: le nostre emissioni sono ininfluenti rispetto quelle di tutto il pianeta, dove non vigono imposizioni».
Già. E se, invece, il prossimo anno le elezioni europee dovessero sancire la fine della storica alleanza tra popolari socialisti? «Maggioranza Roberta» dunque. Bipolarismo al posto del consociativismo. Dopo le elezioni di primavera, nell’autunno 2024 Metsola sarebbe eletta presidente della commissione. Poi, toccherebbe al Consiglio europeo, presieduto adesso dal macroniano Charles Michel. Tra i possibili successori circola anche il nome dell’ex premier italiano, Mario Draghi, rimasto in eccellenti relazioni con colei che l’ha sostituito a Palazzo Chigi. Comunque vada: i conservatori riusciranno a invertire la deriva centralista dell’Ue? Intanto, promettono di sfruttare le finestre temporali già fissate. Nel 2026, per esempio, scatterà un’enigmatica clausola di revisione sulle auto elettriche. A quel punto si potrebbero cambiare soglie, scadenze e paradigmi. Sulla casa green verrebbe certamente dato più potere ai singoli Stati: il patrimonio edilizio italiano non ha le stesse caratteristiche di un Paese nordico. Servirà, comunque, un mastodontico piano di aiuti, già promesso da Metsola. E magari nuove direttive.
Il mantra conservatore, compendia Procaccini, sarà: «Fare meno e fare meglio». Meno pervasività nella vita dei cittadini. «Basterebbe tornare a far rispettare i trattati. I governi hanno perso competenze a discapito di un super stato europeo. E chi non riga dritto viene travolto da una sfila di ritorsioni politiche: delibere, risoluzioni, procedure d’infrazione e sentenze della Corte di giustizia. Com’è successo all’Ungheria, che ha osato vietare la propaganda gender nelle scuole». Altro caposaldo di Ursula e i suoi prodi scudieri. Assieme, ovviamente, alla salvezza del pianeta. In nome della quale, oltre a eco-case e auto elettriche, adesso ci propinano persino leccornie green: carne sintetica, cheeseburger di grillo e farina di locusta migratoria.