Ex-Dc immarcescibili, recordman del cambio di casacca, neofiti del Parlamento che hanno subito imparato la specialità del salto della quaglia. Mentre il Paese lotta contro la pandemia, nei giochi del dopo-Conte si accomodano questi personaggi.
«Qui si passa dalla compravendita al prestito. Se hai pazienza, la settimana prossima i senatori li regalano». Tira aria di saldi nel corridoio dei Passi perduti dove la rivoluzione del Movimento 5Stelle ha ottenuto un forte effetto visivo: oggi il suk è reale e non solo percepito. E sul bancone del pesce i tonni attendono con occhio spento nuovi destini. Il caso del prestito riguarda Tatjana Rojc, senatrice del Pd mandata a tempo in leasing dagli Europeisti di Bruno Tabacci per consentire alla pattuglia dei desperados di arrivare a dieci, numero minimo per chiamarsi «gruppo parlamentare» e sorreggere con una gamba in più il centrosinistra al governo.
«Sono d’accordo con Zingaretti, li aiuto io. L’ho saputo mentre stavo preparando il discorso per i 100 anni del Pci» ha spiegato la signora, triestina, capello rosso, padre sloveno tornato a piedi da Dachau. Va letteralmente a fare numero da gente che non ha mai visto, arrivata dall’altra parte del mondo, perché fra gli Europeisti tenuti insieme con la carta gommata c’è anche qualche sudamericano eletto nel Maie (il Movimento degli italiani all’estero) che non sa dov’è Bruxelles.
Come Adriano Cario, che oggi sostiene il vessillo ma è nato in Uruguay, vive a Buenos Aires, conosce i dialetti gringos meglio dell’italiano. E non fatica a comprendere le logiche da venditori di cocomeri in uno scenario così inverosimile da sembrare il capitolo di un libro di Osvaldo Soriano, Triste, solitario y final, giusto per non pensare a Giuseppe Conte.
Nel tempio della democrazia parlamentare è ricreazione permanente, la campanella si è rotta e i peones dominano la scena. Mentre il Paese reale lotta contro la pandemia, il Palazzo cerca i numeri e lo fa senza pudore. Il ragioniere incaricato è una vecchia lenza della prima repubblica, appunto il Tabacci, tornato a essere l’ago della bilancia dopo stagioni da imboscato. Mantovano, 74 anni, presidente del semiclandestino Centro democratico, è il leader dei «costruttori per Giuseppi» ma anche per gli altri, e nella nobile arte del prestito è un esperto. Si entra nel suo «Sali&Tabacci» e si tratta. Davanti a lui anche i grillini furenti diventano gnomi del bosco scespiriano e abbozzano. Sanno che i centristi devoti alle sedie di velluto hanno votato tutti per il referendum contro il taglio dei parlamentari, ma si guardano bene dal chiamarli «poltronari» come un anno fa. Adesso sono i salvatori della patria.
Da cattolico fervente, ieri Tabacci prestò il simbolo all’anticlericale Emma Bonino e oggi lo presta a Maria Rosaria Rossi. Nessun problema, lui fa la spola da un quarto di secolo dal centrodestra al centrosinistra; è passato da Silvio Berlusconi a Romano Prodi, è salito sul taxi con Pierferdinando Casini e con Francesco Rutelli. È stato presidente della Regione Lombardia a 40 anni e nel fremito della swinging Milano di dieci anni fa è riuscito a fare l’assessore al bilancio della giunta di Giuliano Pisapia. Dove c’è una poltrona si siede, ma il suo è dolce nichilismo di ritorno. Da quando crollò la Democrazia cristiana ripete: «Qui sono tutti nani politici». Vanno educati e condotti per mano, sempre con quell’aria vissuta che distingue il professionista (lui) dai dilettanti (gli altri).
I suoi discepoli del giorno si riconoscono dal pedigree. C’è il veneziano Andrea Causin che nasce politicamente con Mino Martinazzoli, poi entra nel Pd folgorato da Walter Veltroni, passa a Scelta civica nell’era Mario Monti e quando avverte gli scricchiolii si rifugia in Area popolare per approdare in Forza Italia. Fino a dieci giorni fa. Motiva la sua deriva dei continenti con una frase da ardito: «La politica è morta, io sono vivo». C’è Gregorio De Falco, la cui notorietà è indissolubilmente legata a un naufragio (disse a Francesco Schettino «Torni a bordo, c..zo!»). C’è Maria Rosaria Rossi, ex fedelissima berlusconiana tanto da essere soprannominata la Badante ai tempi delle cene eleganti. Ora ha deciso di «lavorare per il bene del Paese» e fa scouting per reclutare nuovi transfughi.
Finora non le è andata benissimo: ha perso per strada la Responsabile per antonomasia, lady Sandra Lonardo in Mastella, che è entrata nel gruppo dalla porta per uscirne dalla finestra. Alla base dello strappo una questione di simboli nel logo. Il marito Clemente è tornato improvvisamente in silenzio, contrariato perché ormai aveva pregustato il ritorno di popolarità. «Quando ho sentito odore di Centro, che per me è piacevole come quello delle braciole, sono andato ad annusare più da vicino». E invece niente, non erano braciole ma briciole.
L’operazione arruolamento peones è uno spettacolo surreale, tutto può cambiare nello spazio di un mattino. Prendiamo il prode Luigi Vitali di Forza Italia, già relatore della legge Cirielli bollata dalla sinistra manettara – il giustizialismo è il vero collante dell’alleanza fra Pd e Cinquestelle – come «Salva Previti». Sospettato di voler passare con il governo, nel giorno zero dichiara: «Lo escludo. Avevo chiesto di dare un segnale sulla giustizia ma non è arrivato». Lo esclude così tanto da dichiarare, 24 ore dopo: «Ho deciso di sostenere Conte perché in una situazione drammatica vedo gente pensare più a interessi di parte anziché pensare a cosa serve al Paese». La sua sembra una scelta legittima, dice di sacrificarsi per il bene comune. Invece qualche ora dopo esce su Twitter con la dichiarazione: «Nessun appoggio, mi ha telefonato Berlusconi e mi ha ricordato che sono iscritto a Forza Italia dal 1995». Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.
Questo è il Parlamento che dovrebbe portare l’Italia fuori dalla pandemia, fuori dalla crisi economica e dentro il forziere del Recovery fund. Avanti tutta. C’è Stefano Patuanelli, il grillino più amico del Pd, detto il pontiere per due motivi: è un gran negoziatore e ha costruito la sua fama sui retroscena del ponte Morandi. Il suo incontro con Giovanni Castellucci per far entrare i Benetton in Alitalia toglie il sonno ancora oggi ai duri e puri della brigata Di Battista.
C’è Gianni Letta che con il consueto passo felpato tenta di sostenere il governo dall’esterno anche per agevolare il rientro del nipote Enrico. Ci sono i titolari del vessillo democristiano in agitazione: Paola Binetti e Gianfranco Rotondi vorrebbero cogliere l’occasione per tornare padroni del centro, nel fantomatico partito di Conte già ampiamente benedetto con l’acquasanta del Vaticano. Eletto con i voti di Forza Italia, Rotondi qualche remora ce l’ha. Con puro spirito da sacrestia assiste al tumulto dei peones e commenta: «Una cosa falsa che può diventare vera».
I soldati semplici che scavalcano i leader nel quarto d’ora warholiano ci sono sempre stati. È dai tempi dell’«Achtung Pivetten!» (titolo caustico dell’Espresso per salutare la nomina di Irene Pivetti a presidente della Camera) che il Parlamento dipende dagli ousider istituzionali. Franco Turigliatto fece cadere il governo Prodi, Antonio Razzi e Domenico Scilipoti determinarono i destini di un governo Berlusconi e poi del centrosinistra disunito. Sono i precursori dell’era Ciampolillo, dal nome del senatore grillino così impegnato nelle trattative da costringere la presidente Maria Elisabetta Casellati a ricorrere al Var per verificare la liceità del suo voto. Una classe politica arrivata con la piena, in senso buono.
Lello Ciampolillo un giorno è sul melo, un giorno sul pero e il terzo sull’ulivo. Ma davvero, fisicamente. Il pentastellato noto per avere eletto come residenza parlamentare un ulivo pugliese, era stato espulso dal Movimento perché non restituiva la quota dello stipendio. Problema risolto quando il suo voto ha fatto comodo. È un ultrà della legalizzazione della cannabis ed è così vegano da sostenere che l’effetto serra e il buco dell’ozono dipendono anche dalle grigliate e dalla carne degli hamburger. Quando lo ricordi al rigido colonnello del Pd che ha studiato alle Frattocchie e pende dalle labbra di Goffredo Bettini, la risposta è spettacolare: «Vuoi non perdonare la gente che lavora per il bene del Paese?». Poi si mette in modalità Bernie Sanders, muffole comprese, per vedere l’effetto che fa.
