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Al Parlamento Ue uno scandalo tira l’altro

Al Parlamento Ue uno scandalo tira l’altro

La vicenda di un dossier che imbarazza i colossi farmaceutici e chi, ai vertici dell’Unione, decide sulle norme che li riguardano. Intanto il Qatargate è tutt’altro che chiuso.


A Strasburgo hanno un problema di «reputation», direbbero gli inglesi che dall’Ue se ne sono andati a gambe levate. Il più grande consesso politico del continente da qualche tempo si è trasformato in una specie di consiglio comunale di quart’ordine dove circolano bustarelle e s’incrociano tipi loschi. E non si tratta solo del Qatargate e dello scandalo sui contratti dei vaccini anti-Covid. L’opacità e l’ambiguità dilagano nell’istituzione, come dimostra l’imbarazzante balletto di giustificazioni, recriminazioni e fughe in avanti per la scomparsa di una ricerca prima pubblicata sul sito dell’Europarlamento e poi precipitosamente ritirata. Si tratta di un dossier scomodo per Big Pharma, redatto da tre economisti italiani (Simona Gamba, Laura Magazzini e Paolo Pertile) su indicazione dello Stoa, il comitato per il «futuro della scienza e della tecnologia». Il lavoro è rimasto disponibile appena tre giorni online, poi è scomparso. I più previdenti sono riusciti a leggerlo e a salvarne una copia scoprendo così che i risultati dello studio, basato sulla revisione di oltre 230 articoli e su 24 interviste a operatori del settore, erano fortemente critici nei confronti dell’industria farmaceutica cui Bruxelles vorrebbe concedere norme e incentivi ancor più generosi.

Subito è scattata la caccia alla «manina» impertinente. Il giornale Politico ha provato a fare qualche domanda in giro. Qualcuno ha risposto che il lavoro era incompleto, altri hanno spiegato che è in revisione. C’è anche chi giura che da qualche parte si trova ancora il testo, smarrito nei meandri della Rete. Alla fine si è scoperto che un’eurodeputata del Partito popolare europeo, Pernille Weiss, componente della Stoa, ne aveva ordinato il ritiro fino a quando i tre analisti non avranno chiarito alcuni suoi dubbi, peraltro mai espressi prima. A Strasburgo tutti sanno però che la Weiss ha posizioni fin troppo concilianti verso le multinazionali della salute e prima che il suo gesto autoritario finisse al centro di una polemica con gli altri componenti della commissione, scavalcati ed esautorati a loro insaputa, è arrivato in soccorso un principe azzurro nelle sembianze di Christian Ehler, presidente dell’organo consiliare e… compagno dell’eurodeputata.

Ehler ha confermato non solo la cancellazione del rapporto ma ha preteso una valutazione più approfondita ed equilibrata delle conclusioni dell’inchiesta. Che, è bene specificare, non ha alcun valore vincolante per la Stoa né può indirizzare le scelte politiche della plenaria rappresentando al più uno strumento di orientamento indipendente al servizio dei parlamentari. Ma, come si dice, prevenire è meglio che curare. E poi con Big Pharma non si scherza. Come ha compreso pure il comitato d’inchiesta sul Covid dell’Europarlamento che ha cercato inutilmente di togliere il segreto ai contratti miliardari con Pfizer sottoscritti nel 2021, in piena prima ondata pandemica, per una maxi fornitura di 1,8 miliardi di fiale a 20 euro l’una. Dopo aver inseguito per mesi le carte e gli sms che la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è scambiata con il numero uno dell’industria farmaceutica Albert Bourla, andati incredibilmente perduti o cancellati, il gruppo si è dovuto accontentare di una manciata di chiarimenti gentilmente concessi dagli alti funzionari di Bruxelles dietro vincolo di riservatezza.

Per incontrarli, i commissari hanno dovuto lasciare nell’anticamera i cellulari e i block notes. E, una volta usciti, non hanno potuto spiegare nulla sui buchi neri di questa transazione commerciale. È stato loro concesso di rivelare solo che i documenti saranno accessibili appena «legalmente possibile». Il che vuol dire che potremmo sapere qualcosa tra un anno così come tra un secolo. Tuttora vige infatti un «vincolo di confidenzialità» che fa a pugni col dovere di trasparenza che i maestrini di Bruxelles sono soliti sbandierare nei confronti dei Paesi membri. Al comitato è stato impedito finanche di convocare la von der Leyen per un’audizione sulle famigerate penalità che l’Ue (e quindi tutti noi) pagherà qualora decidesse di ridurre il numero di vaccini da acquistare. Più che un «Bourla», una beffa. Ed è curioso pensare come l’Europa sia stata così prodiga nell’acquisto dei sieri ma abbia rinunciato a trovare un antidoto ai vizi capitali che la tormentano.

E poi, diciamolo, dall’influenza al traffico di influenze è un attimo. Il Qatargate è l’incubo che ossessiona i vertici di Bruxelles che si sgolano per giurare che è tutto finito, tutto chiarito, e che è stato solo l’errore di pochi. Falso. Il processo farà ancor più rumore delle indagini, che pure continuano sottotraccia e puntano, adesso, a verificare il grado di permeabilità del consesso comunitario rispetto ad altre potenze estere diverse da Qatar, Marocco e Mauritania. Antonio Panzeri, il protagonista principale dello scandalo, ha deciso di collaborare con la giustizia e dalle parti della Procura di Bruxelles sono convinti che abbia ancora molto da dire sui propri complici e sui meccanismi di reclutamento dei deputati di Strasburgo. Eva Kaili, che al posto della mela del peccato si è lasciata tentare dal trolley rigonfio di banconote, è passata all’attacco accusando i magistrati di essere stata illegalmente privata della sua immunità parlamentare anche se ora deve fronteggiare nuove accuse di malversazione legata ai contratti dei suoi collaboratori.

Affilano le armi anche gli altri indagati, da Marc Tarabella a Francesco Giorgi. Tutti annegati in un Golfo Persico di guai, ma pronti a dimostrare di essere stati coinvolti in una macchinazione frutto dello scontro tra le agenzie di intelligence del Medio Oriente. Intanto però sul banco degli imputati è finito, suo malgrado, lo stesso giudice istruttore che ha seguito il caso fin da principio. Michel Claise, che ha lasciato il fascicolo nel giugno scorso a causa di un sospetto caso di conflitto d’interessi, ha presentato una querela per diffamazione per la misteriosa gogna mediatica cui è sottoposto da mesi. Profili anonimi su Twitter diffondono bugie e fotomontaggi sul suo conto. Claise ha inoltre denunciato due tentativi di effrazione in casa e uno di intromissione nel suo telefonino da parte di un hacker. Di recente, ha ricevuto una lettera di minacce: «Hai visto la stella del mattino, non vedrai la stella della sera». C’è un bell’ambiente nelle sedi dell’Unione…

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