Home » Attualità » Politica » La Polonia spaccata di un leader poco amato

La Polonia spaccata di un leader poco amato

La Polonia spaccata di un leader poco amato

Andrzej Duda ha vinto le elezioni assicurandosi il potere fino al 2025. Ma resta un presidente di un Paese diviso (quasi metà non lo ha votato), senza il pieno controllo del partito populista e in un’Europa che avrebbe preferito il suo avversario di centrosinistra. E anche il rapporto privilegiato con Donald Trump potrebbe rivelarsi rischioso.


È nato a Cracovia, dove si è laureato in legge all’Università Jagellonica nel 2001. Quattro anni dopo ha ottenuto un dottorato presso lo stesso ateneo. Eppure, quando il 12 luglio 2020 è stato rieletto presidente della Polonia, Andrzej Duda non ha festeggiato né al palazzo presidenziale di Varsavia né alla sede del partito Diritto e Giustizia (PiS) che lo ha sostenuto.

Le prime celebrazioni si sono tenute nella piccola Pultusk, 70 chilometri a nord di Varsavia, un passato di invasioni e ricostruzioni e un presente agricolo con redditi sotto la media nazionale. Il messaggio è chiaro: il presidente è un esponente della Polonia profonda e non un borghese frastornato dall’Occidente. E per ribadire il concetto, l’indomani Duda ha visitato il santuario della Madonna Nera di Czestochowa.

Con la vittoria che gli assicura il potere fino al 2025, Duda ha deluso le tante cancellerie europee che gli avrebbero preferito il suo avversario di centrosinistra, il sindaco di Varsavia Rafał Trzaskowski. E lo ha fatto ottenendo un mandato forte: molti hanno scritto che con il 51% al ballottaggio contro il 49% ottenuto da Trzaskowski (una differenza di circa 450.000 voti) Duda avrebbe vinto di misura. Vero è che, complice un’affluenza balzata al 70%, il capo dello Stato ha portato a casa due milioni di voti in più rispetto alle presidenziali del 2015, quando sconfisse il presidente uscente Bronisław Komorowski.

La strada di Duda è dunque tutta in discesa? No, perché anche Trzaskowski ha fatto molto bene, ottenendo ben due milioni di voti in più di quelli avuti da Komorowski nel 2015. «Oltretutto Trzaskowski è stato scelto in corsa, sostituendo solo a metà maggio la precedente candidata di Piattaforma civica (Po, l’alleanza centrista, ndr), Małgorzata Kidawa-Błonsk». Lo ricorda a Panorama Ireneusz Karolewski, politologo polacco passato nel 2019 dall’Università di Wroclaw a quella di Lipsia.

Duda ha prevalso ma il Paese è molto polarizzato, prosegue l’accademico. Lo sconfitto Trzaskowski ha comunque vinto (di misura) in ben 10 dei 16 voividati in cui è suddivisa la Polonia, mentre solo a ottobre del 2019 alle elezioni parlamentari il PiS aveva strappato la maggioranza dei voivoidati.

La spaccatura non è solo quella arcinota fra le città sopra i 200.000 abitanti (dove si afferma Po) e le campagne e i centri minori (dove il PiS non conosce rivali). La divisione è anche geografica, con la destra che prevale nell’Est del Paese e i centristi nell’Ovest; ed è culturale, prosegue Karolewski, segnalando che «il 77% dei polacchi con la sola licenza elementare ha scelto Duda, mentre il 65% dei laureati ha votato per Trzaskowski».

Il presidente rieletto si trova in mezzo al guado: da una parte, metà nazione lo disprezza per il suo nazionalismo, le sue idee antieuropee, le politiche omofobe e le uscite ammantate di antisemitismo; dall’altra c’è un partito che non lo ama. Il PiS è ancora controllato dal suo fondatore, l’ex primo ministro Jarosław Kaczynski. Uomo di grande potere, è stato lui (e non Duda) a dare il benservito nel 2017 all’allora prima ministra Beata Szydło.

Secondo Karolewski, anche l’attuale premier Mateusz Morawiecki sarebbe caduto in disgrazia presso l’ala dura del PiS, che rimprovera al premier il suo passato di banchiere all’Ovest. Allo stesso tempo, la corrente moderata del PiS vede in Duda un pupazzo nelle mani di Kaczynski. Giunto all’inizio del secondo mandato, il presidente avrebbe dunque interesse a prendere le distanze da un partito che non controlla. Ma l’operazione non è scontata.

Per intuire quale direzione la Polonia prenderà sotto la nuova guida di Duda bisogna dunque capire se il presidente si smarcherà da Kaczynski. La crisi economica aleggia anche sulla Polonia che non può permettersi di rompere con una Ue generosa di finanziamenti.

Ma dopo la riforma del sistema giudiziario, criticata da Bruxelles come un palese tentativo di asservire i giudici all’esecutivo, «il partito Diritto e Giustizia punta alla ri-polonizzazione dei media» sottolinea Karolewski. «I media pubblici diffondono messaggi di odio senza paragoni né in Occidente né in Russia». Gli obiettivi recenti sono la comunità Lgbt, l’Ue, la finanza internazionale, gli ebrei.

È vero che da destra si sono alzate voci contro le testate private, largamente pro-Trzaskowski, «ma in Polonia i canali pubblici raggiungono tutti, quelli privati invece li vede solo chi li paga on demand». Oggi il partito al potere chiede che lo Stato compri le quote dei media privati in mani straniere. Un’operazione che difficilmente piacerà a Bruxelles come anche agli americani, ai quali Duda dice di ispirarsi.

«Anche il rapporto con gli Stati Uniti è sbilanciato» osserva Karolewski. Da anni la Polonia si vuole amica degli Stati Uniti in funzione antirussa, «ma la relazione non è strategica: Duda ha puntato tutto sul rapporto personale con il presidente Donald Trump, stringendo un’inedita alleanza fra cattolici ed evangelici. E se Trump non sarà rieletto, o comunque quando lascerà la Casa Bianca, la politica di sicurezza della Polonia ne risentirà».

© Riproduzione Riservata