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Giustizia, in arrivo la resa dei conti: scontro tra governo e magistratura in autunno

Giustizia, in arrivo la resa dei conti: scontro tra governo e magistratura in autunno

La riforma Nordio sulla separazione delle carriere accende lo scontro istituzionale. In ottobre attese nuove inchieste, polemiche e processi che potrebbero trasformarsi in una vera e propria “tempesta perfetta” per il governo Meloni.

Prepariamoci, perché sulla grande riforma della giustizia non abbiamo ancora visto nulla. Sì, è vero, non si contano davvero più le proteste dell’Associazione nazionale magistrati, che in gennaio è ricorsa addirittura allo sciopero, il primo da anni; e abbiamo ancora negli occhi la vibrante contestazione dei senatori del Movimento 5 stelle e del Partito democratico che a fine luglio, in Aula, gridavano a squarciagola «Vergogna!», impugnando chi la Costituzione a testa in giù e chi la foto di Falcone e Borsellino per dire ancora un «No» all’approvazione della separazione delle carriere dei magistrati.

Ma tutto questo è davvero nulla rispetto all’attacco finale che si prepara, e che in autunno diverrà conflitto aperto, brutale, al calor bianco. È del tutto evidente che la riforma, con la sua intenzione di limitare lo strapotere delle correnti della toghe, agita e preoccupa come mai era accaduto la parte più ideologizzata e sindacalizzata della categoria, nonché la sinistra che da oltre 30 anni la fiancheggia nella sua doppia versione politica e giornalistica: in definitiva, il «triangolo» che da (troppi) decenni impugna il vero potere decisionale in Italia, e che è stato descritto nei suoi particolari dall’ex magistrato Luca Palamara nel saggio-intervista Il Sistema.

La riforma Nordio

Presentato in Consiglio dei ministri il 29 maggio 2024, il disegno di legge costituzionale, scritto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, è stato approvato dalla Camera il 16 gennaio 2025 e dal Senato il 22 luglio.

Non si era mai andati tanto vicini al varo di una tra le riforme più identitarie del centrodestra: almeno tre volte ci aveva provato lo stesso Silvio Berlusconi, ma era sempre stato bloccato dall’infernale macchina da guerra delle Procure. Adesso, invece, il traguardo è vicino.

Per entrare in vigore, però, la modifica costituzionale dovrà essere nuovamente approvata da entrambi i rami del Parlamento. Il calendario della discussione non è stato deciso, ma è presumibile che il nuovo dibattito alla Camera si accenderà in ottobre. E proprio in ottobre tutto lascia supporre scoppierà la Grande guerra tra la magistratura sindacalizzata e il governo, e si arriverà al «redde rationem» tra le parti in conflitto.

Di sicuro, in quel momento, alcune delicate inchieste penali giungeranno al dunque, con il consueto strascico di carte giudiziarie squadernate sui giornali e di strumentalizzazioni politiche. Sono procedimenti che mirano dritto al cuore dell’esecutivo e della maggioranza che lo sorregge.

Il caso Almasri

Il più insidioso riguarda il controverso caso del rimpatrio a Tripoli del generale libico Najeem Almasri, fermato a Torino lo scorso 19 gennaio in base a un ordine di cattura emanato dalla Corte penale internazionale dell’Aia. La notizia dell’indagine aperta dalla Procura di Roma contro il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il Guardasigilli Nordio e il responsabile dell’Interno, Matteo Piantedosi, oltre che contro Alfredo Mantovano, sottosegretario con delega ai servizi segreti, era uscita il 28 gennaio, soltanto 12 giorni dopo la prima approvazione della separazione delle carriere alla Camera.

Il centrodestra, a quel punto, era insorto. La premier aveva dichiarato che quell’indagine era «un danno alla nazione» e l’esempio di come «un pezzetto di magistratura» voglia «governare». Il procedimento è stato poi trasferito al Tribunale dei ministri, che ai primi d’agosto ha chiesto alla Camera l’autorizzazione a procedere per i due ministri e il sottosegretario, accusati di omissione d’atti d’ufficio, favoreggiamento e peculato, ma a sorpresa ha archiviato la posizione della premier.

Giorgia Meloni, comunque, s’è detta certa che l’inchiesta su Almasri faccia parte di un «disegno politico per ostacolare l’agenda del governo, e in particolare la riforma della giustizia». Anche lei, del resto, sa bene che la discussione parlamentare sull’autorizzazione a procedere per i ministri avverrà in ottobre, quando la Camera sarà impegnata nella seconda lettura sulla separazione delle carriere: è ovvio che il caso sarà strumentalizzato e l’opposizione alzerà il livello dello scontro.

Le posizioni di M5S e Pd

Il M5S, del resto, è da sempre legato a doppio filo con le componenti ideologiche della magistratura, e fin dall’inizio è schierato sulla linea del No assoluto. Anche la segretaria del Pd, Elly Schlein, ha annunciato totale contrarietà alla riforma, fin dal maggio 2024, e lo ha fatto nientemeno che dal palco del congresso nazionale dell’Anm, a Palermo. È stata una scelta fortissima, a suo tempo non colta: dai tempi di Enrico Berlinguer, non era mai (mai!) accaduto che il leader del primo partito della sinistra salisse su quel palco.

La minoranza moderata e garantista del Pd, al contrario, non è così convinta della tetragona linea giustizialista della segretaria, e in questo sembra più vicina alle posizioni di Carlo Calenda e del suo movimento, Azione, favorevoli alla riforma. Tanto che oggi c’è chi sospetta che le ultime, clamorose inchieste avviate in estate contro due esponenti «moderati» del Pd, il sindaco di Milano Beppe Sala e l’ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci, abbiano l’esatto scopo di pungolare quella parte del partito all’unità anti-riforma.

Lo ha scritto esplicitamente a fine luglio il Corriere della Sera che, nell’intervento in Senato contro la separazione delle carriere dell’ex ministro piddino della Cultura Dario Franceschini, un discorso durissimo, svolto nella seduta del 22 luglio scorso, ha letto proprio il tentativo e l’intenzione di «rispondere a quell’attivismo giudiziario», ovviamente per placarlo e fermarlo. Franceschini ha smentito il retroscena, ma in effetti nel suo discorso aveva attaccato proprio la parte della riforma più avversata dall’Anm.

Il nodo del sorteggio e le correnti

L’ex ministro aveva criticato soprattutto il «sorteggio», cioè il rivoluzionario sistema per l’elezione dei membri togati nei due nuovi Consigli superiori della magistratura, i due istituti che finalmente dovrebbero creare la necessaria separazione tra pubblici ministeri e giudici.

E la scelta casuale è il meccanismo che, quando la riforma passerà, taglierà finalmente le unghie alle correnti giudiziarie, i piccoli “partiti” delle toghe che negli ultimi decenni si sono impossessati della politica giudiziaria, perché non saranno più loro a scegliere chi infilare in quel centrale luogo di potere, dove vengono decise le nomine alle più alte cariche della giustizia.

Del resto, Franceschini ha difeso con incredibile foga anche l’indifendibile sistema delle correnti, che a suo dire svolgerebbero «un’opera di mediazione e bilanciamento». Vedremo se le sue parole attenueranno la pressione delle Procure sui centristi del Pd.

Il fronte giudiziario contro il governo

Il loro attacco al centrodestra, ovviamente, è ben più duro e trasparente. I segnali di una crescente aggressività giudiziaria nei confronti della maggioranza sono emersi fin dall’inizio del maggio 2024, quando nelle redazioni (e da lì nelle chat della magistratura sindacalizzata) avevano preso a circolare le prime bozze della riforma Nordio.

Il clamoroso arresto per corruzione dell’ex governatore della Liguria, Giovanni Toti, era scattato – all’improvviso, e di sorpresa – il 7 di quel mese, e poi si era scoperto che per quel reato, in realtà, l’ex giornalista era indagato nientemeno che dal 2020. Dopo una devastante campagna durata 80 giorni e basata su un vero tsunami d’intercettazioni squadernate sui quotidiani d’opposizione, il 26 luglio 2024 Toti era stato costretto alle dimissioni, e in settembre, pur protestandosi innocente, aveva scelto di patteggiare per «chiudere rapidamente» con quel massacro.

Il tema immigrazione e i processi simbolo

Ma da quando la separazione delle carriere è in ballo, anche le sentenze che affossano le scelte politiche del governo sono all’ordine del giorno. È il caso dell’immigrazione. Nel 2023 il governo Meloni ha ratificato un protocollo con quello di Tirana, con l’intenzione di alleggerire il disastroso sistema di accoglienza italiano e insieme lanciare un messaggio di fermezza ai trafficanti di esseri umani.

L’accordo ha creato in Albania due centri di accoglienza capaci di ospitare 3 mila irregolari, tra quelli sbarcati in Italia e in attesa di rimpatrio. Una scelta controversa e opinabile finché si vuole, ma del tutto legittima. E anche condivisa in Europa, se è vero che nel maggio 2024 altri 15 Stati (tra cui Austria, Danimarca, Grecia, Olanda e Polonia) hanno chiesto a Bruxelles soluzioni per affrontare la migrazione irregolare «su modello dell’accordo Roma-Tirana».

Eppure, da allora, i nostri tribunali, le Corti d’appello e la stessa Cassazione hanno continuato a negare la convalida al trattenimento degli irregolari nei centri albanesi, bloccando di fatto il protocollo e la libertà decisionale della politica.

Sempre in fatto d’immigrazione, ha stupito anche la velocità (e l’apparente indifferenza) con cui lo scorso luglio la Procura di Palermo ha fatto ricorso contro l’assoluzione piena in primo grado di Matteo Salvini nel processo Open Arms. Quel controverso procedimento, da sei anni, vede il vicepresidente del Consiglio imputato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver impedito nel 2019 lo sbarco di una nave di clandestini.

L’assoluzione «per non aver commesso il fatto» è stata uno schiaffo per la Procura: i giudici hanno scritto che mancavano «gli elementi necessari a configurare una limitazione della libertà personale dei migranti» e che il ministro non aveva «nessun obbligo giuridico» di assegnare un porto sicuro alla nave.

Eppure ora il circo mediatico-giudiziario ripartirà, e magari proprio a ottobre tornerà alla ribalta delle cronache.

Continuano poi da mesi, anche, i provvedimenti di dissequestro delle navi delle Ong (l’ultimo caso riguarda l’Aurora di Seawatch) in fermo amministrativo per aver derogato all’indicazione del porto di sbarco.

Una tempesta perfetta d’autunno

In autunno, poi, dovrebbero ripartire anche le udienze del processo milanese al ministro del Turismo, Daniela Santanché, accusata di irregolarità societarie e truffa ai danni dell’Inps.

E altrettanto accadrà al procedimento d’appello contro il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove, condannato in primo grado a Roma – nonostante la stessa Procura avesse richiesto l’assoluzione – per violazione del segreto d’ufficio.

Si sta preparando una «tempesta perfetta» d’ottobre. Grandineranno polemiche: prepariamo gli ombrelli.

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