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Intervista a Edi Rama: «Gli aiuti all’Italia in nome di Madre Teresa e di mia nonna Veronica»

Nel colloquio esclusivo, il primo ministro di Tirana spiega perché ha mandato 30 medici e infermieri in soccorso dell’Italia. Accendendo una candela nel buio, il premier-artista ha ricordato le parole della santa di origine albanese. Come spiega nel seguente video.

All’interno due video esclusivi.


«Aiutando l’Italia, abbiamo acceso la nostra candela nel buio». Per spiegare le ragioni dello straordinario gesto di solidarietà dell’Albania, il primo ministro Edi Rama cita madre Teresa di Calcutta. La fondatrice delle Missionarie della carità amava ripetere che, anziché maledire il buio, è meglio accendere una candela. E quando il premier artista, 55 anni, in carica da sei anni e mezzo, ha visto l’Italia immersa nell’oscurità, ricordando la nonna Veronica ha deciso che era venuto il momento di dare corpo alle parole della santa naturalizzata indiana.

L’arrivo dei 30 medici e infermieri albanesi ha commosso l’Italia. Se lo sarebbe aspettato?

«La riconoscenza sicuramente me l’aspettavo; ma tutto questo clamore di commozione francamente no».

Tra l’altro, lei è riuscito in un miracolo: ha messo d’accordo destra e sinistra. Tutti a elogiarla…

«Forse quello che ha messo d’accordo tutti loro è l’indifferenza dell’Europa, l’atteggiamento veramente incomprensibile di qualche Stato europeo che non riesce a uscire da una cornice quasi teologica in un momento in cui c’è bisogno di solidarietà. Ma non nel senso che bisogna aiutare l’altro: nel senso che bisogna capire che siamo tutti nella stessa casa».

Che cosa intende dire?

«In questo momento i cittadini devono essere richiusi nelle proprie case, ma non gli Stati. Gli Stati non possono stare ognuno nella propria stanza di questa casa europea, mentre hanno notizia che una delle stanze vicine brucia. Non è possibile. Credo che questo sia stato un movente importante dell’incredibile clamore di commozione suscitato dal nostro gesto in Italia, che ci ha toccati profondamente».

L’Italia è stata anche colpita dal comportamento degli Usa. Washington ha appena annunciato l’invio di aiuti per 100 milioni di dollari, ma inizialmente ci aveva mandato solo un cargo di aiuti.

«Non bisogna perdere d’occhio il fatto che questo nemico invisibile ha aggredito tutti in una maniera che non avevamo neanche potuto immaginare. Se avessimo visto tutto questo in un film di fantascienza, non ci avremmo creduto. Perché in quei film c’è sempre l’eroe con la fiamma che porta la luce, ma qui manca completamente il punto di riferimento. Dov’è la luce? Chi porta la luce? Dov’è l’uscita? Su questo è veramente importante cercare di ragionare».

In che senso?

«Io l’ho detto fin dal primo giorno: gli americani hanno l’esercito più onnipotente del mondo, noi abbiamo un esercito modestissimo. Ma in questa guerra contano allo stesso modo: contano zero. In un mondo in cui parliamo di intelligenza artificiale, poi andiamo a sbattere la testa (non noi albanesi, ma anche gli americani, i francesi, i tedeschi) per delle mascherine: delle ma-sche-ri-ne. È una cosa troppo scioccante, che ha angosciato tutti. Ma alla fine non saranno gli Stati Uniti che faranno sforzi per costruire gli Stati Uniti d’Europa. È l’Europa che li deve fare».


A proposito di Europa, Benedetto Della Vedova ha detto: «Facciamo subito entrare l’Albania nell’Ue». A che punto siete nel percorso? Questa vicenda potrebbe accelerare i tempi?

«Io spero che almeno non ci crei problemi perché forse abbiamo osato troppo… (risata amara, ndr) Non voglio fare una provocazione, ma sinceramente quella che io ho conosciuto come Unione europea nei confronti dell’Albania non si è rivelata un corpo capace di un pensiero strategico, ma un corpo abbastanza fragile. Il nostro processo di avvicinamento all’Ue è basato pochissimo sulla strategia, ma solo su questioni tecniche: elezioni di qui, elezioni di là… E diventa tutta tattica. Io non ho mai visto una grande squadra vincere senza strategia e senza gioco di squadra, dove tutti si aiutano l’un l’altro».

Lei ha citato il Milan di Arrigo Sacchi.

«Sì, appunto. Ho detto che qui bisogna che l’Europa imiti il Milan di Sacchi, cioè tutti all’attacco e tutti in difesa. Non i Galacticos, che alla fine non vinsero nulla perché c’erano le stelle che volevano la palla solo per loro e c’erano gli altri che non potevano servire abbastanza. Una cosa da non credere, in questa situazione…»

Ragionevolmente quando pensate di riuscire a entrare nell’Ue?

«Io lo dico sempre: noi non facciamo questo esercizio abbastanza snervante perché ce lo chiedono a Berlino o a Bruxelles o a Parigi. Noi seguiamo questo percorso per noi stessi, perché è un esercizio importante per modernizzare le strutture del Paese, per costruire istituzioni moderne e democratiche. E poi la faccenda diventa sempre più difficile, perché non so se l’Europa come la conosciamo sarà là quando noi saremo pronti. Ma c’è anche un po’ la maledizione dei Balcani: quando l’Europa era in forma noi eravamo i cattivissimi ragazzi del continente. Quando noi siamo diventati i bravi ragazzi, l’Europa non è più in forma. Occorre che le due cose si sincronizzino. Vediamo».



Tornando all’Italia, su Repubblica Francesco Merlo ha scritto che «lei dice su di noi delle belle cose che probabilmente non ci meritiamo».

«Mah… Io da quando ho dovuto rispondere tanti anni fa alla domanda: cos’è per me l’Albania del futuro, l’Albania dei miei figli, io dico “L’Italia e mezzo”. E mi chiedono: “Che cosa vuol dire “Italia e mezzo?” E io rispondo: genio e sregolatezza. Perché diventare svizzeri o tedeschi, con tutto il rispetto, sarebbe una noia mortale».

Quindi un modello, per lo meno in parte, per voi lo siamo ancora…

«L’Italia è qualcosa di eccezionale e di straordinario per storia e bellezza. Poi, va bene, ci sono gli italiani che (ride, ndr) sono un po’ più complicati delle pagine della loro storia, ma restate un Paese formidabile e un popolo straordinario. Noi siamo assolutamente felici di essere vicini all’Italia e di essere stati nutriti con quella che è la grande cultura italiana. Abbiamo sognato l’Italia in modo molto ideale, poi abbiamo dovuto conoscerla in modo reale, ma niente di male. Anzi, fantastico».

Grazie. A che punto è invece l’Albania con il coronavirus?

«Noi abbiamo seguito con attenzione e anche con ansia il processo di avanzamento di questo nemico invisibile e assurdo. Capendo che siamo più deboli, siamo corsi subito a chiuderci in casa. Abbiamo preso misure drastiche molto presto. Siamo stati fra i primissimi in Europa a chiudere scuole e università. Abbiamo fatto lockdown totale, che sicuramente fa male all’economia ma che ci protegge. E i dati, spero di dire la verità toccando ferro, ci stanno dando ragione. Al momento abbiamo un numero di morti limitato, che invece sarebbe potuto essere molto più alto. E spero che non raggiungerà le centinaia o addirittura le migliaia di vittime che si sarebbero potute facilmente prevedere. Ma l’angoscia cresce, perché non si capisce come e quando se ne esce. È l’unica guerra di cui abbia letto in cui quelli che combattono non sanno immaginare il giorno dopo. Perché prima o poi questo nemico se ne andrà via, ma dopo che cosa succederà? E poi sembra che si ritiri e poi non si ritira. E comunque com’è il giorno dopo? Psicologicamente tutto questo è tremendo».

Lei ha citato madre Teresa di Calcutta. Si è ispirato alla santa albanese quando ha deciso di aiutarci?

«Facendo questo lavoro, questo sforzo, questa missione non è facile avere a che fare con problemi complessi, che sono anche il risultato di tanti anni di mancate riforme. A volte ci si sente veramente male, ci si sente veramente circondati dal buio. E poi ci si ricorda del detto straordinario di madre Teresa, che diceva: “Invece di maledire il buio, accendi una candela”. Cioè, se ognuno accendesse la propria candela, non ci sarebbe più il buio. Noi abbiamo fatto questo: abbiamo acceso la nostra candela. Non risolverà granché, nel freddo che circonda la buia cattedrale italiana in mezzo all’Europa. Una cattedrale che sta lì a dimostrare quanto è penoso lo stato dell’Europa stessa, quando deve fronteggiare problemi che vanno oltre i compromessi e i tatticismi. Comunque mi riempie il cuore averla accesa. Mia nonna, che era una fervente cattolica e che mi parlava italiano, da bambino mi diceva sempre: “Dall’altra parte del mare ci sono i nostri azzurri”. Ora sarà lieta di vedere, dal cielo, che la sua Albania è vista dall’Italia come una candela. Perché mia nonna accendeva sempre le candele».

Come si chiamava?

«Veronica».


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