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I dormiglioni della Repubblica

I dormiglioni della Repubblica

Alcuni sono brillanti polemisti nei talk show della sera, ma guai a invitarli in quelli all’ora di colazione. Altri, sfiniti da riunioni e impegni, non disdegnano pause di sonno anche nell’aula parlamentare. Mentre il Paese si alza e inizia l’attività, ecco i politici che hanno bisogno di un supplemento di relax.


«Levataccia». Quella del 2014 se la ricordano tutti, l’hanno immortalata in vecchi tweet e accompagnano la memoria con una smorfia di terrore: Papa Francesco aveva dato appuntamento a 518 parlamentari alle sette di mattina per l’udienza e la messa in Vaticano. Sveglia un’ora prima.

Ancora oggi Beatrice Lorenzin e Andrea Orlando, Roberto Speranza e Mariastella Gelmini si chiedono se non lo avesse fatto apposta per verificare se i politici fossero gufi o allodole. C’era anche Umberto Bossi, che commentò sbadigliando: «Non mi confessavo da 15 anni, l’ho fatto per il pontefice». Così il dubbio rimane, a compiere il miracolo fu la fede o la sindrome da prima fila? Eppure sapere se il parlamento poltrisce o si alza presto è fondamentale in questi mesi di faticosa ripartenza economica degli italiani, impegnati a lottare per la pagnotta dopo un anno e mezzo in smartworking.

Mentre il Paese reale si sveglia all’alba in sintonia con il premier Mario Draghi (primi dossier sul tavolo, ore 6.30), i rappresentanti del popolo propendono per una discesa dal letto soft; un piede alla volta e nessuno scatto alla Marcell Jacobs. Come rivelano i giornalisti che bazzicano i bar nei dintorni di Montecitorio (La Caffettiera, Giolitti), «prima delle dieci non c’è in giro nessuno».

Esiste un indicatore più privato: la partecipazione alle trasmissioni tv del mattino. Qui si scoprono gli altarini; Pier Ferdinando Casini accetta un invito su cinque mentre è in gran forma per i talk show della sera. Questione di pressione bassa. Un limite per l’orizzonte quirinalizio: se il cavallo centrista vuole davvero correre per sostituire Sergio Mattarella dovrà imparare il motto africano che gira sui social: «Puoi anche alzarti molto presto al mattino, ma il tuo destino si sarà alzato un’ora prima di te». Il «Surge Lazarus» vale anche per Roberto Speranza, che nel suo libro Perché guariremo lascia intuire che potrà pure scomparire il Covid ma difficilmente scomparirà il morbo della pigrizia. Il ministro della Salute prende quota (si fa per dire) nel pomeriggio, esattamente come il suo premier preferito, Giuseppe Conte, che non ha mai organizzato una conferenza stampa prima delle 19 e non l’ha mai cominciata prima delle 20.

Qui sorge una diatriba presocratica fra il senso dell’alzarsi e dello svegliarsi, risolta brillantemente da Willi Ritschard, uno dei politici più amati della Confederazione elvetica. Un giorno disse: «Gli svizzeri sono un popolo che si alza presto ma si sveglia tardi». Due anni di governo Conte hanno confermato l’assunto. Un altro politico attratto dal cuscino era Francesco Rutelli; quando era sindaco di Roma non c’era cerimonia organizzata prima delle 11. Leggendario fu il suo arrivo alle Olimpiadi di Sydney nel 2000. Sbarcava da candidato premier del centrosinistra (mentre lui era in volo, Giuliano Amato rinunciò) e ai giornalisti assiepati in una sala dell’aeroporto australiano disse: «Scusate ma non parlo, sono stanco e spettinato». In realtà pare che avesse dormito per tutto il viaggio.

Niente a che vedere con le abitudini delle icone democristiane. Giulio Andreotti era in piedi alle sei di mattina per andare a messa nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini. Incrociava sempre un jogger e lo salutava. Non avendolo visto per qualche tempo, chiese al capo della scorta che fine avesse fatto. «Presidente, è morto». Folgorante battuta andreottiana: «Sempre pensato che lo sport fa male alla salute». Giuseppe Guzzetti continua a svegliarsi all’alba e legge i quotidiani (rigorosamente di carta) in automobile, nel trasferimento da Appiano Gentile a Milano. Il primo giornale? La Provincia di Como. Il primo articolo? Il resoconto sulla Pallacanestro Cantù, di cui è tifosissimo.

Si fa presto a dire dormiglioni. Qualche volta si è travolti dallo stato di necessità come la statuina più gettonata del presepe dopo il Bambin Gesù, il pastore pigrone che dorme sulla pecora. Sul web ci sono foto che mostrano debolezze di Rosy Bindi, Silvio Berlusconi, Renato Brunetta, Vito Crimi. Occhi chiusi in meditazione da emendamento o coccoloni a tradimento? Per non sbagliare, il regolamento prevede per i fotografi il divieto di immortalare deputati e senatori nelle pause delle sedute, le preferite da Morfeo tentatore. Nonostante ciò qualche parlamentare relaziona la rete quasi quotidianamente sull’attività dei colleghi, fotografando l’emiciclo semivuoto prima di metà mattina. Uno dei più assidui è Filippo Sensi (Pd), già spin doctor di Matteo Renzi con un sogno: somigliare anche solo nel taglio dei capelli al guru di Tony Blair, Alastair Campbell.

I dormiglioni sono tanti e la sospensione dell’esistenza sul pianeta Covid non aiuta. In Parlamento gli spazi sono stati rivisti, l’emeroteca con le sue penombre non è più disponibile per la pennica rubata dei deputati dall’abbiocco facile. Nei gazebo, le scomode sedie di ferro disincentivano; al massimo si possono ammirare Laura Ravetto e alcune parlamentari grilline prendere il sole.

Sulla panchina rossa voluta da Laura Boldrini per marcare gli orrori della violenza sulle donne invece non si allunga nessuno; si è sparsa la voce che non porti propriamente fortuna. A proposito di pentastellati, furono loro a inaugurare la dormita collettiva rivoluzionaria quando – era il 2013 – andarono a coricarsi sul tetto della Camera per protestare contro un presunto attentato alla Costituzione. Uno dei tanti. Erano in 12, li guidavano Alessandro Di Battista e Laura Castelli; le foto li mostra mentre ronfano coperti dalla bandiera del movimento, con le teste appoggiate agli zaini. La guardia era stanca e il riferimento bolscevico arriva in automatico: «La rivoluzione non russa», scriveva Il Manifesto comprendendo ben poco del perenne stato catalettico di Jurij Andropov e Konstantin Chernenko.

Mentre l’Italia tende a svegliarsi al canto del gallo, nessuno ricorda levatacce istituzionali di Scilipoti e Razzi un tempo, di Di Maio e Fico adesso. La politica a rimorchio del Paese non è solo un luogo comune. Sfiniti dal Green pass e parafrasando la canzone dei Green day, ci permettiamo un consiglio: «Wake you up when august ends». Svegliatevi. Una cosa ragionevole, le otto e mezza già colazionati. Con la consapevolezza che nessuno mai riuscirà a battere il record del cardinale Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, che si alzava alle tre di mattina e faceva ispezioni a sorpresa. Un parroco pigro se lo trovò davanti alla chiesa, nella piazza deserta, e prosternato sulla soglia. Pregava sul sagrato.

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