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Caso Whirlpool: la débâcle della politica

Caso Whirlpool: la débâcle della politica

Dopo 1.000 giorni di vertenza, i 310 lavoratori licenziati nello stabilimento campano dal colosso degli elettrodomestici sono a casa. «Tutti i governi hanno dato pessima prova di sè in maniera trasversale» accusa Gianluca Ficco, segretario generale Uilm.


Sono passati tre mesi da quando ha chiuso definitivamente i battenti la Whirlpool di Napoli, e gli ex dipendenti sono stati licenzianti. E l’ultima promessa di reindustrializzazione fatta dalla politica agli operai ormai a casa non riesce a concretizzarsi, anzi ogni giorno sfuma di più. Ieri ha ricevuto un’altra battuta di arresto la reindustrializzazione attraverso un fantomatico «Consorzio Campania» per riassorbire i 310 lavoratori licenziati dal colosso degli elettrodomestici che nello stabilimento campano produceva lavatrici di alta gamma.

Solo tre giorni fa erano scesi un’altra volta in Piazza del Plebiscito per ricordare i 1000 giorni della vertenza. Due anni e mezzo sono passati, da quando Whirlpool dopo un tentato salvataggio da parte del ministro Luigi Di Maio, aveva comunicato la chiusura dello stabilimento.

Da allora si sono susseguiti 33 tavoli al Ministero per cercare una soluzione che ancora non è stata trovata. L’ultima promessa l’avevano fatta a ottobre Andrea Orlando e Giancarlo Giorgetti di fronte alla chiusura dello stabilimento: «Ci sarà continuità occupazionale, non verrete licenziati». E invece sono stati tutti licenziati. «Questo dimostra che non c’è colore politico in questa storia, ci hanno preso in giro tutti» ci racconta Gianluca Ficco segretario generale della Uilm.

In Italia siamo abituati al fatto che con la cassa integrazione straordinaria in deroga certe aziende non chiudono mai, o se chiudono i lavoratori comunque vengono mantenuti. Ma a Napoli non c’è stato niente da fare. Perché Whirlpool è andata via davvero e ha chiuso lo stabilimento. Ha persino svuotato il capannone mettendo all’asta gli impianti.

Un centinaio di apparecchiature sono state vendute su un sito online specializzato nella compravendita di macchinari industriali usati, dai robot industriali fino a macchinari per la lavorazione dei metalli e rulli, che sono andati a ruba. Mentre è andata deserta la battuta per la linea di produzione/pressatura per lavatrici dal valore originario di 5,5 milioni di euro che partiva all’asta da un esiguo prezzo di 20.000 euro.

Tra i dettagli era specificato che «le operazioni di smontaggio e carico dei lotti dovranno essere completate tassativamente entro il giorno 1 aprile 2022. A tale data nessuna parte residuale del lotto o personale dell’aggiudicatario, dovranno essere più presenti».

L’azienda, a dire il vero, è stata anche spaventata dalla forte sindacalizzazione della vertenza. Del resto, come abbiamo raccontato, a Varese gli stabilimenti marciano a gonfie vele. E infatti Whirlpool ha offerto a ciascun licenziato la possibilità di essere riassunto negli stabilimenti del Nord, anche con incentivo per il trasferimento. Ma solo in sette hanno accettato.

Gli altri 310 hanno preso 90.000 euro di buonuscita e ora sono in Naspi in attesa che si avveri la promessa del Consorzio. Che in ogni caso difficilmente potrà reintegrarli tutti.

Era stata la sottosegretaria Alessandra Todde l’ultima a seguire il tavolo al Mise, e garantire la presentazione di un piano industriale entro il 15 dicembre per un investimento di circa 200 milioni di euro. L’idea era di creare un centro del trasporto, o dei servizi all’automotive. Sono passati altri due mesi da allora, e il piano industriale ancora non si è visto. Anzi, i sindacati non hanno neppure mai visto l’azienda.

Ieri l’ultimo tavolo al Mise, ormai tenuti dal dirigente Luca Annibaletti, da quando la politica è scomparsa. «Ma per noi che ci siano i tecnici è una maggiore garanzia rispetto ai politici» ci dice Ficco, «perché sono più sinceri e fanno meno promesse».

Nel precedente tavolo, l’8 febbraio il Mise aveva comunicato che c’erano problemi di autorizzazioni ambientali sul tetto del capannone (amianto da bonificare). «Per questo avevamo chiesto la convocazione al tavolo anche di Comune e Regione» dice il sindacalista Uilm «perché sembravano problemi di permessi amministrativo che si potevano superare con la volontà degli enti locali. Come quando abiti in una casa ma poi per venderla ti chiedono la classe energetica».

Al tavolo del 18 febbraio però il problema amministrativo è diventato strutturale: «Ma come è possibile che in un capannone in cui Whirpool produceva fino a due anni prima ora sorgono improvvisamente insormontabili problemi strutturali tali da renderlo inutilizzabile?» continua Ficco. «A quel punto noi abbiamo chiesto al Mise di incontrare direttamente il Consorzio. Perché se il progetto industriale c’è, e il problema è il capannone, una soluzione si trova. Ce ne sono tanti sfitti… Ma se il piano industriale concreto non c’è, allora parlare del capannone è una perdita di tempo. Adesso aspettiamo una convocazione del Mise con con il consorzio entro 48 ore, ma a patto che non ci parli dei problemi del sito, ma del piano industriale, perché se quello non c’è le problematiche del sito suono fuorvianti».

Il sindacalista della Uilm crede ancora che si possa trovare una rendustrializzazione, ma non nasconde la delusione: «Tutta la politica ha dato pessima prova di sè in maniera trasversale. In tre anni di vertenza si sono susseguiti tre governi, e tutti e tre hanno hanno fatto promesse per poi lasciare soli i lavoratori nel momento della chiusura». Infatti, dopo 30 tavoli ai ministeri, durante l’ultimo accordo sindacale quello dei licenziamenti, nessun politico si è presentato. Neppure quelli locali, Sindaco e Regione, che sono sempre stati presenti durante le manifestazioni durante la campagna elettorale. «Eppure la loro presenza sarebbe stata importante per costruire una rete territoriale di supporto» commenta Ficco, che ci ci racconta che nessuna altra azienda ha fatto offerte di assunzione neppure per una manciata di lavoratori. L’unica possibilità che si è affacciata è questa del Consorzio.

E che l’errore sia di tutta la classe politica lo dimostra, secondo Gianluca Ficco «il fatto che i tre errori più grandi della vicenda sono stati fatti da tre governi diversi: 1. Governo Conte Uno non ha trovato il modo per persuadere Whirlpool a rimanere; 2. Governo Conte Due doveva trovare il modo per consolidare e far investire subito il Consorzio. 3. Governo Draghi doveva garantire continuità occupazionale e invece ci hanno licenziato. I politici dovrebbero promettere ciò che sono certi di poter mantenere, non dare illusioni carpirne il consenso in maniera scorretta».

Chissà, se forse i politici non avessero promesso un nuovo lavoro a Napoli, per reindustrializzazioni che non si avverano quasi mai, qualcun altro dei 310 disoccupati avrebbe accettato l’offerta di Whirlpool di trasferimento a Varese insieme agli unici sette che stanno lavorando. Anche questo dubbio rappresenta una responsabilità.

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