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Ceto medio tassato per sempre

Ceto medio tassato per sempre

Le misure che sta adottando il governo con la manovra finanziaria di quest’anno (ma la modalità non cambia se si guarda al passato) penalizzano la classe di chi lavora e che, pagando le imposte, guadagna a partire da 2.500 euro netti al mese. Contribuenti non certo ricchi, ma con un reddito che permette una legittima tranquillità economica. Eppure questo approccio fiscale sbilanciato si può cambiare…


Alla grande lotteria delle manovre finanziarie sono quelli che non prendono mai un premio. Al Bingo di quest’anno operai e impiegati si portano a casa un cuneo fiscale ridotto, i contribuenti con redditi medio-bassi vincono il taglio dell’Irpef, i dipendenti pubblici ottengono il rinnovo dei contratti, le famiglie con più figli hanno lo sconto asili-nido, i pensionati più poveri un assegno minimo rivalutato. Meglio che niente. Invece per le famiglie della media borghesia nella legge di Bilancio c’è ben poco. Anzi, contribuiscono a pagare il conto anche per chi nella vita non ha sborsato un euro di contributi o di imposte.

Con la nuova modulazione dell’Irpef su tre aliquote, per esempio, a non ottenere alcun vantaggio saranno proprio i contribuenti che dichiarano più di 50 mila euro lordi (2.500 euro netti al mese) per i quali la riduzione delle imposte per un importo di 260 euro annui è annullato dal parallelo taglio orizzontale delle detrazioni fiscali. E il bonus asilo nido? Passerà dagli attuali 2.500 euro l’anno a 3.600, ma solo per le famiglie con indice Isee fino a 40 mila euro. E intanto le pensioni medio-alte perdono ogni anno potere d’acquisto: nell’ultima manovra l’indicizzazione viene ulteriormente ridotta dal 32 al 22 per cento per i trattamenti superiori a 10 volte il minimo (circa 3.100 euro netti al mese).

È un copione che si ripete ormai da anni, recitato da governi di sinistra, di destra o tecnici. Bisogna aiutare le fasce di popolazione più debole, non inimicarsi i serbatoi di voti di riferimento (oggi piccole imprese e lavoratori autonomi), finanziare la sanità… ma mancano i soldi. Dove recuperarli? Nelle tasche di chi è additato come «ricco», non è molto amato dall’opinione pubblica e di solito non protesta. Cioè la media borghesia, formata da contribuenti che in realtà guadagnano cifre non stratosferiche e che sorreggono sulle loro spalle il grosso del Welfare del Paese, oltre a rappresentare la spina dorsale dell’industria, dei servizi, della sanità. Dirigenti, funzionari, quadri intermedi che pagano fino all’ultimo euro i servizi pubblici, dagli asili all’università, dai ticket alle visite specialistiche. E che non trovano alcuna forza politica che li rappresenti.

Stefano Cuzzilla, presidente del sindacato dei dirigenti Cida, parla di «un ceto medio che ogni anno vediamo impoverirsi sotto i colpi dell’accanimento fiscale, dell’inflazione e della progressiva esclusione dal sistema di welfare pubblico. Lavoratori e pensionati che negli ultimi anni hanno visto una forte compressione verso il basso del potere d’acquisto, che ormai oscillano tra disillusione e rabbia. Penso ai nostri medici, ai dirigenti pubblici, alle alte professionalità della scuola, competenze necessarie al sistema, che hanno le retribuzioni più basse dei loro omologhi europei e che, arrivati a fine carriera, sono trattati come dei bancomat».

Secondo i calcoli di del centro studi Itinerari previdenziali guidato da Alberto Brambilla, i titolari di redditi lordi superiori a 55 mila euro sono solo il 4,6 per cento dei contribuenti italiani ma versano il 38 per cento di tutta l’Irpef. Se allarghiamo il campo partendo da chi dichiara più di 35 mila euro lordi (1.800 euro netti mensili), scopriamo che il 13 per cento degli italiani si fa carico del 60 per cento del totale dell’Irpef. Una fetta di popolazione che continua ad essere munta quasi senza tregua. Sull’altro versante, 18 milioni di cittadini, il 44,5 per cento dei contribuenti, versano solo l’1,9 per cento dell’Irpef totale. Tutti poveri? Difficile crederlo: le stime sull’evasione fiscale sono lì a dimostrarlo. C’è da dire che un manager o un impiegato di alto livello possono provare a compensare la scarsa riconoscenza dello Stato negoziando un aumento di stipendio con il proprio datore di lavoro. Ma questo non è possibile per i pensionati, sui quali si è abbattuta quest’anno la mannaia del nuovo sistema di rivalutazione che penalizza gli importi più elevati. La Cida sostiene che dei 2,7 miliardi di risparmio che arriveranno dal pacchetto previdenziale previsto nella manovra appena approvata, 1,2 arriveranno dal taglio dell’indicizzazione delle pensioni più alte, che subiranno una ulteriore riduzione. «In un quarto di secolo» ricorda Cuzzilla «le pensioni dei dirigenti e di tutti coloro che hanno un reddito pensionistico superiore a 4 o 5 volte il minimo Inps hanno subito cinque contributi di solidarietà e dieci blocchi perequativi e in 30 anni hanno perso per sempre più di un quarto del potere d’acquisto».

Interventi considerati iniqui: Cida ha dato incarico allo Studio BonelliErede di dare avvio a sette iniziative giudiziarie con lo scopo di richiedere che venga sollevata la questione di legittimità costituzionale sul meccanismo di perequazione, accodandosi alle iniziative analoghe avviate da Uil e Cisl. «Se non siamo ancora scesi in piazza» ha dichiarato Cuzzilla, «è solo per senso del dovere e solidarietà verso chi davvero oggi non ce la fa. È perché vogliamo essere costruttivi e arrestare il processo di impoverimento che sta colpendo il Paese, nessuno escluso. Il sistema previdenziale ed economico italiano non può attingere alle tasche dei cinque milioni di italiani che, in servizio o in pensione, pagano da soli il 60 per cento dell’Irpef. Mentre tutti gli altri sono quasi interamente assistiti». A proposito di italiani assistiti, a far uscire dai gangheri Brambilla di Itinerari previdenziali è «la folle proposta» di alzare tutte le pensioni basse a 600 euro nette al mese con la prospettiva di salire ancora a mille euro. Il suo timore è che si faccia un regalo ai tanti furbi che evadono contributi previdenziali e imposte. «Questa politica parla di “merito” ma premia evasori e malavitosi e punisce gli onesti cittadini che le tasse e i contributi li hanno sempre pagati. E dove prende i soldi? Ma è ovvio: da quel 13 per cento che paga la gran parte delle imposte» s’indigna Brambilla. «E sono proprio i redditi di questi ultimi che tutti i governi, persino il virtuoso governo Draghi e anche l’attuale, hanno escluso da ogni beneficio. Inoltre la progressività dell’Irpef è saltata completamente».

Ma da dove ricavare i soldi per far funzionare la macchina dello Stato? Cuzzilla invita ad avviare un «recupero deciso dell’evasione, che ormai viaggia a circa 100 miliardi ogni anno. E non può esserci sostenibilità senza l’ampliamento della base contributiva e assicurativa attraverso investimenti che favoriscano i lavoratori stranieri, l’aumento delle nascite, l’estensione del lavoro femminile, retribuzioni più alte, il rientro dei giovani dall’estero e un’istruzione di qualità».

Una scorciatoia per incassare più rapidamente fondi senza prelevarli dai soliti noti ci sarebbe: colpire le grandi ricchezze. Oxfam, una federazione di organizzazioni non governative indipendenti, sta raccogliendo le firme per promuovere l’introduzione di un’imposta sui patrimoni superiori ai 5,4 milioni di euro con aliquote comprese tra l’1 e il 3 per cento. Il potenziale gettito per l’Italia sarebbe di 13,2-15,7 miliardi di euro all’anno, se a essere tassato fosse lo 0,1 per cento dei contribuenti, quelli più ricchi. Ma Brambilla replica che in Italia lo Stato preleva già lo 0,2 per cento sui depositi vincolati, in pratica una patrimoniale che colpisce piccole e grandi ricchezze. E poi toccare i ricchi in Italia è un tabù: meglio continuare a tosare i soliti noti.

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