Home » Attualità » Opinioni » Violante contro Sofri, la sinistra dei reduci riapre il caso Calabresi

Violante contro Sofri, la sinistra dei reduci riapre il caso Calabresi

Violante contro Sofri, la sinistra dei reduci riapre il caso Calabresi

La polemica tra Luciano Violante e Adriano Sofri sull’omicidio Calabresi riporta in scena i fantasmi della sinistra degli anni Settanta. Ma l’Italia oggi guarda altrove.

A volte ho l’impressione di vivere in una casa di riposo diffusa in cui gli anziani degenti, a piede libero, rivangano il passato con un senso ormai disfatto di rivalsa e un desiderio estremo di consuntivi, quasi a voler giustificare la propria vita trascorsa non più agli occhi dei contemporanei più giovani ma al cospetto di un Dio della storia e di un tribunale che ci aspetta al largo. La polemica tra due ultraottantenni dal passato importante, Luciano Violante e Adriano Sofri, rientra in questo malinconico filone.

I testimoni della storia che non vogliono tacere

Un tempo, della storia di mezzo secolo fa se ne occupavano gli storici, i posteri, la stampa e perfino la politica; oggi se ne occupano solo i testimoni di quel tempo, o i protagonisti di allora, comunque coloro che vissero quegli anni o li segnarono con le loro gesta.

In un’intervista l’ex magistrato, ex comunista, ex presidente della Camera nonché ex presidente della commissione Antimafia, Luciano Violante, è tornato sull’omicidio Calabresi e ha detto di avere saputo con certezza della colpevolezza di Adriano Sofri, al tempo leader di Lotta continua, poi riconosciuto in vari gradi di giudizio mandante o comunque colpevole, insieme ad altri compagni del suo movimento politico, del barbaro assassinio del commissario Luigi Calabresi a Milano, nel 1972.

Ma ha detto di non poterne rivelare la fonte. A lui ha replicato Sofri, che ha scontato ormai la pena a cui era stato condannato, rigettando l’accusa e sfidando il suo accusatore a rivelare la fonte della sua “certezza”.

Sessantotto, Pci, Lotta continua: la preistoria dimenticata

Io non entrerò nella disputa tardiva che spacca dopo più di mezzo secolo i reduci della sinistra, esattamente come accadeva già allora, anzi prima: dal Sessantotto, e vorrei dire nel caso specifico, anche prima, dal 1963, quando il giovane Sofri contestò a Pisa l’allora segretario del Partito comunista Palmiro Togliatti. Parliamo di preistoria contemporanea, ormai sconosciuta ai più.

Sigle e simboli scomparsi

L’impressione di vivere in una casa di riposo diffusa è data dal fatto che queste vicende ormai toccano coloro che le vissero o le patirono, al più coloro che hanno memoria vivente; ma per gli altri è un insensato reperto di antiquariato storico, perché non solo i protagonisti sono ormai in quiescenza, se vivono ancora, ma anche le sigle di quel mondo, che allora ci pareva indistruttibile — il Partito comunista col suo retromondo sovietico, e Lotta continua con la sua militanza extraparlamentare — sono ormai entità remote.

Memoria selettiva e archeologia esistenziale

Del passato si ricorda il nazismo e i suoi parenti stretti, ma poi nient’altro. Avvertiamo ormai una patina di archeologia esistenziale sopra queste vicende.

Resta il ricordo e il rispetto di un uomo coraggioso come Calabresi, che credeva in Dio, nello Stato e nei legami famigliari, e si sentiva davvero al servizio delle istituzioni e del suo Paese.

Poi ritorna sfuocata nella memoria la frattura tra il Pci, partito-regime, contestato da Lc movimento radicale, punta avanzata del Sessantotto, che disseminerà di suoi militanti in ruoli significativi nell’Italia di dopo.

Media, giustizia e divisioni ideologiche

Non riesco più a giudicare se fu esemplare oppure modesta la condanna patita da Sofri e dai suoi compagni, anche se ricordo lo spiegamento dei media, in larga parte egemonizzati da un ceto intellettuale venuto dalla sinistra radicale, in favore di Sofri, della sua innocenza e della grazia.

Quella polemica divise negli anni i giustizialisti dai garantisti, e i due fronti attraversarono e spaccarono la destra e la sinistra, scompaginando alleanze e rimettendo in discussione schieramenti e amicizie.

Sofri intellettuale, Violante riformista

Sofri poi fu molto presente nel dibattito intellettuale, riverito da tanti e sostenuto dai suoi ex seguaci e compagni di lotta; scrisse molto, ebbe rubriche, anche su questo settimanale, si dette all’attività intellettuale e confermò in ogni caso la sua intelligenza, anche se nulla ci convinse della sua innocenza o delle motivazioni ideali e reali che lo spinsero in quella direzione.

Violante, a sua volta, proveniva da quel mondo che i suoi avversari definivano «toghe rosse», ed era considerato la mente o comunque una delle figure eminenti di quel mondo di magistrati di sinistra, ha avuto un rispettabile corso politico, ha stemperato le sue posizioni, ha detto cose coraggiose e oneste in tema di fascismo, di pacificazione nazionale, di dialettica democratica e di riconoscimento degli avversari politici.

Il tempo è finito. Il tribunale anche

Oggi Sofri ha 83 anni, ha scontato i 22 anni di pena, tra carcere e pene alternative, e dunque può ormai archiviare nella sua mente e nella sua vita quella tempesta che sconvolse l’esistenza sua e di altri negli anni passati.

Violante, a sua volta, ha un anno più di Sofri, ne ha quasi 84, è presidente della Fondazione Leonardo e talvolta interviene nel dibattito storico-politico ma è rientrato per un momento nel suo duplice ruolo di magistrato e di esponente del Pci, nel ricordare quell’atroce delitto, che incattivì ulteriormente gli Anni di piombo.

Una polemica fuori tempo

Riaprire questo capitolo ora che la giustizia, bene o male, ha fatto il suo corso e concluso il suo viaggio; e i tribunali sono ormai chiusi per quella vicenda, le divisioni politiche e ideologiche di quel periodo, è ormai fuori tempo e fuori luogo.

Su quell’episodio non vorrei tornare, ci esprimemmo a suo tempo. Resta invece questo strano sapore di un Paese di vecchi, quale noi siamo, inchiodato al passato, popolato da ultraottantenni attivi e reattivi, che furono protagonisti e taluni lo sono ancora, comunque reduci e superstiti di un tempo remoto, molto più remoto dei pur svariati decenni che ci separano.

La guerra civile è finita, andate in pace.

© Riproduzione Riservata