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James Cameron: «Vi racconto i segreti del nuovo Avatar»

James Cameron: «Vi racconto i segreti del nuovo Avatar»

Il regista svela a Panorama visione, paure e ambizioni titaniche dietro l’ultimo capitolo della saga. Tra lutti, guerre tribali e rivoluzioni visive, ecco perché riuscirà a riempire ancora i cinema.

Chi ha avuto modo di vedere Avatar: Fuoco e cenere lo ha definito sensazionale, fantasmagorico, il capitolo più emozionante e strabiliante della serie. In pratica, un altro successo per James Cameron, 71 anni, già trionfatore agli Oscar nel 1997 con le 11 statuette per Titanic, detentore con Avatar e Avatar – La via dell’acqua della prima e terza posizione al box office di tutti i tempi (incassi di 2,92 e 2,34 miliardi dollari), autore di tanti altri film memorabili: The Abyss, True Lies, Aliens – Scontro finale o Terminator, solo per citarne alcuni.

«Sarà un successo? È ancora presto per dirlo, per ora abbiamo venduto un po’ di biglietti online», scherza il regista canadese incontrato da Panorama. «Sicuramente con questo film tiriamo le fila di qualcosa che è iniziato nel 2009 con Avatar: nel primo film abbiamo creato un mondo e puntato sulla guerra tra umani e Na’vi e su una storia d’amore semplice perché i nostri occhi erano puntati verso tutto ciò che circondava i protagonisti, ovvero la natura e le creature extraterrestri. Nel secondo film abbiamo iniziato a esplorare quell’universo e introdotto nuovi personaggi, tra cui il popolo della barriera corallina, e la complessità del film è aumentata. Qui entra in scena una nuova tribù, il popolo della cenere, e ripartiamo da dove eravamo arrivati: la morte del figlio maggiore di Jake Sully e Neytiri».

Nel nuovo film, ancora scossi dal dolore, i due genitori cercano di rimettere in piedi i cocci della famiglia, quando sul pianeta Pandora si affacciano nuove tribù, tra cui la più pericolosa e belligerante vive alle pendici di un vulcano ed è guidata da Varang, che si alleerà molto presto con gli umani invasori per scatenare una guerra civile, tra scene di combattimento spettacolari ed echi di conflitti politico-religiosi che ricordano tanto il nostro pianeta Terra.

«La trama è fantastica, ma i temi sono profondamente umani e drammatici», dice Cameron. «Di solito il cinema commerciale sorvola su elementi come il trauma, la perdita e il dolore, o li minimizza al punto che, quando muore una persona amata, il protagonista supera tutto nel giro di poche scene. Io invece volevo rendere la parte emotiva più realistica: un esempio è la reazione al lutto di Neytiri, che si incupisce e diventa razzista».

Nel film ci sono star del calibro di Kate Winslet, Zoe Saldana, Sigourney Weaver che scompaiono dietro i personaggi digitali di questi alieni blu…
Credo che scomparire non sia il verbo giusto. In realtà i personaggi creati al computer ne sono l’incarnazione e penso che tutti, ingiustamente, sottovalutino la performance degli interpreti prestata ai volti e corpi di pixel, sia tra i critici cinematografici che nella comunità di attori.

Uno degli aspetti come sempre stupefacenti è l’immersione nel mondo alieno di Pandora.
Abbiamo cercato di renderlo un ecosistema coerente, ispirandoci ai sistemi biologici ricchi e diversificati della nostra Terra. E abbiamo applicato alcune regole che sarebbero valide anche per un esopianeta: animali che vivono in branco, gli erbivori, i predatori e così via. E li abbiamo creati rifacendoci non solo alla fantasia, ma alla biomeccanica. Naturalmente bisogna attenersi anche a regole narrative: se i Na’vi non assomigliassero un po’ agli uomini ma avessero dieci occhi, probabilmente non sarebbe possibile nessuna connessione emotiva per il pubblico. Per me Avatar non è fantascienza.

Perché?
Arrival di Denis Villeneuve è fantascienza. Avatar appartiene più al fantasy allegorico. Per questo si parla dei problemi che ci affliggono: odio, sfiducia, mancanza di empatia, violenza e le guerre che dilaniano l’umanità.

Questi film costano moltissimo. Come si regge l’emorragia del pubblico dalle sale?
Quello che costa sono gli effetti visivi, perché le riprese con gli attori non lo sono affatto. Io sono felice di spendere tanti soldi per dare posto di lavoro per 4 o 5 anni a tecnici e artisti: qui hanno lavorato 3.800 persone. Poi però il film dovrà arrivare nei primi 10 incassi di sempre per essere remunerativo. Il momento è complicato, ma io continuo a credere nel grande intrattenimento visto al cinema. Per competere con lo streaming bisogna realizzare qualcosa di mai visto prima. Certo, la posta in gioco è molto alta.

Come vede l’avvento dell’Intelligenza artificiale al cinema?
Va bene se usata come strumento per abbassare i costi, al servizio dei creativi, ma io non la utilizzerò mai per rimpiazzare sceneggiatori e attori.

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