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Perché si può vendere il Casino dell’Aurora

Perché si può vendere il Casino dell’Aurora

La dimora romana è oggetto di eventuale cessione. La richiesta allarmata affinché intervenga lo Stato, dice il critico d’arte, è priva di senso. L’importante è che una nuova proprietà garantisca la conservazione del bene e la sua fruizione per chi lo vuole visitare.


Sono circa 420 anni che il Casino dell’Aurora è di proprietà privata e quasi sconosciuto alla maggior parte dei romani e degli umani come, d’altra parte, Villa Albani; e soltanto oggi, peraltro in presenza dei vincoli che ne impediscono qualunque alterazione, si avverte la necessità, perfettamente comprensibile, che diventi di dominio pubblico. La qualcosa non ha niente a che fare con il suo valore di mercato e con la proprietà pubblica.

Solo un aberrante statalismo può, davanti a un tale bene «inestimabile», lanciare un allarme, del tutto infondato, sulla determinazione dell’autorità giudiziaria di mettere all’asta per 471 milioni di euro il Casino dell’Aurora. Perché una cifra così alta? Per l’unicità. Per il suo incredibile contenuto, costituito da un dipinto su muro, l’unico conosciuto di Caravaggio, con il soggetto di Giove, Plutone e Nettuno, richiesto dal Cardinal Francesco Maria Del Monte, amico e protettore del pittore, all’inizio della sua gloria, e dal grandioso affresco con l’Aurora (che dà il nome all’edificio) di Guercino. Due capolavori assoluti, non più inaccessibili di molti dei beni pubblici custoditi (e nascosti) nei ministeri e in altre istituzioni dello Stato, come il soffitto del Baciccio in Palazzo Chigi, o i notevoli dipinti negli studi dei giudici della Corte costituzionale nel palazzo della Consulta.

La difficoltà di accesso può essere superata, per le sedi istituzionali, come per i beni vincolati, con la richiesta di visite su appuntamento, per ragioni di studio o da persone interessate. Si tratta di una condizione che vale per molti monumenti, al di là dell’ente proprietario. Per questo appare assai peregrina la preoccupazione sulla futura proprietà, che vale per migliaia di beni culturali (anche se il Casino dell’Aurora appare di particolarissimo pregio) come ville, palazzi e perfino musei, in mille parti d’Italia.

E, in molti casi – si pensi al museo Guggenheim di Venezia – la pertinenza privata non dà meno garanzie della pubblica. Ancora più incomprensibile, nell’immotivato allarme, la svalutazione del bene («inestimabile» sulla carta, ma diminuito e mortificato nelle capziose argomentazioni, perché vincolato): «Oggi, di fronte alla calata di qualche miliardario saudita o russo, si leverà un fronte di protesta, di lotta? Se ci sarà ciò che dovrebbe propugnare è molto semplice: contestare la stima assurda e vergognosa partorita da un professore disposto a valutare quei dipinti come se fossero tele libere da ogni vincolo, già disponibili sul mercato di Londra. Sono invece beni vincolati, e inamovibili: che dovranno continuare a essere visitabili. E dunque non valgono affatto quelle cifre astronomiche. Ma altre e diverse, più umane, che lo Stato può (e deve) stabilire, e poi corrispondere a questi eredi senza gloria, curando questo pezzo straordinario di Roma al godimento pubblico. Per prelazione, con un esproprio: o come vuole. Purché lo faccia, perché il contrario non sarebbe nemmeno immaginabile».

Innominabile delirio, privo di ogni fondamento, e di tenore sinistro e opportunistico, quando il valore della stima disposta (e accettata) dal tribunale è ben altro, discutibile ma comprensibile, come spiega il «professore», Alessandro Zuccari: «Per giungere a una valutazione il più possibile congrua, come poi è stata considerata dal Tribunale di Roma, mi sono avvalso del confronto con esperti in materia, esperti di pittura del Cinque e Seicento, e archeologi, per quanto concerne la valutazione delle scultura antiche… Le opere d’arte sono state valutate oltre 432 milioni di euro, mentre il valore architettonico del complesso del Casino è di circa 45 milioni di euro… Le quotazioni delle assicurazioni, che offrono un termine di paragone oggettivo, per i dipinti di Caravaggio, per esempio, arrivano sino a 150-200 milioni. Certo la peculiarità della tecnica con la quale Caravaggio ha eseguito Giove, Nettuno e Plutone, l’unico dipinto su muro del pittore, ha avuto un peso rilevante nella stima. Si tratta di un unicum assoluto, fondamentale nella produzione dell’artista… Anche la valutazione del Guercino non è stata meno complessa, ma abbiamo avuto il vantaggio di poterci basare sulla vendita, relativamente recente, di un dipinto, la Toeletta di Venere, eseguito nel 1622, quindi pressoché coeva all’Aurora. La Toeletta era passata in asta nel 2002 per quasi 2 milioni di euro, un parametro di cui ho potuto tenere conto».

Sono confronti discutibili, ma l’argomento polemico è, di contro, vacuo e di profondissima ignoranza, con il piglio del riscatto del bene dall’ignobile privato alla salvifica proprietà pubblica. Perché se la valutazione di Zuccari ha attribuito importanza alla rarità e unicità delle decorazioni di Caravaggio e Guercino, rispetto al mero valore immobiliare, ciò non deve essere inteso come ostacolo per una trattativa con lo Stato, da intraprendere una volta che il bene sia stato considerato, come è probabile, fuori dalle valutazioni del mercato per qualsiasi uso, di dimora, di ufficio, di sede d’ambasciata.

Tutte funzioni, peraltro, compatibili, se si pensa che Palazzo Farnese, appartenente allo Stato italiano, è concesso, come residenza dell’ambasciatore alla Francia, per un euro all’anno, con gravissimi disagi per la visita degli ambienti monumentali decorati da Francesco Salviati e da Annibale Carracci. E che dire del mirabile Palazzo Clerici a Milano, con il grandioso soffitto di Tiepolo, proprietà del ministero della Cultura e affittato a una Fondazione di studi politica estera, senza l’accesso garantito al pubblico? Che senso ha, allora, soltanto per il Casino dell’Aurora, il blaterio inconcludente degli allarmisti? Nessuno. A Venezia, Palazzo Grassi e Punta della dogana appartengono a François-Henri Pinault, e sono utilizzati una parte dell’anno per mostre d’arte.

Lo stesso può dirsi per l’isola di San Giorgio, nella proprietà e disponibilità della Fondazione Cini, o della Fondazione Prada, per cui presta i suoi servizi, senza turbamenti, Salvatore Settis. Non si capisce, dunque, per quale fattispecie la vendita a qualunque privato o società, italiana o straniera, del Casino dell’Aurora rappresenti un pericolo per l’interdizione o l’interruzione della facoltà di accesso, più di quanto sia stato finora. Il Casino non è stato aperto se non per appassionati e, in particolare, dopo la morte dell’ultimo principe, per volontà della moglie americana, la principessa Rita. Se pur si valuta l’importanza assoluta dei principali soffitti del Casino, quello di Caravaggio, i due di Guercino, uno di Federico Zuccari, quello con i paesaggi di Paul Bril, Guercino, Domenichino, Marcello Provenzale, si osserva che un altro, non meno notevole monumento, il Casino dell’Aurora di Palazzo Pallavicini, con l’affresco di Guido Reni, così come le collezioni fidecommissarie degli stessi Pallavicini, dei Colonna e dei Doria Pamphilij, sono di proprietà privata, con aperture periodiche o su appuntamento.

Arabi, russi o cinesi che, disponendo di varie fortune, acquistino il Casino dell’Aurora di Villa Ludovisi, dovranno rispettare i vincoli di legge che insistono sul bene notificato, garantendone la conservazione e il pubblico godimento. Secondo un protocollo che potrà stabilire la Soprintendenza. Grazie all’esercizio di controllo, previsto dalla legge, che dovrà essere applicato con rinnovato rigore per evitare che, in un piccolo e travolgente ambiente, come quello con il soffitto di Caravaggio, sia consentito un pavimento di ceramica moderna, del tutto impertinente, il Casino sarà visitabile e forse aperto come un museo, con arredi, dipinti e suppellettili, sotto le vaste superfici ad affresco di Guercino. Il benefico risultato dell’asta, comunque vada, sta nel rinnovato interesse per il monumento.

Quello che mi ha consentito, nell’ultima ricognizione, di riconoscere almeno due capolavori del grande ritrattista Jacob Ferdinand Voet, detto Ferdinando dei ritratti, che, con grande perspicuità, ci mette davanti, in due momenti della sua vita, entro tele ingrandite per adattarle a cornici di stucco della distrutta villa Buoncompagni Ludovisi, il temerario, seducente e coraggioso don Giovanni Battista. L’occhio del conoscitore si compiace del bene, e non protesta per amplificare il rumore degli ignoranti, ma si consola del più ampio e rinnovato interesse per il patrimonio, comunque, dello Stato, sul quale torna la luce.

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