Home » Attualità » Opinioni » Sui migranti toghe dure di comprendonio

Sui migranti toghe dure di comprendonio

Sui migranti toghe dure di comprendonio

Internet è una meravigliosa invenzione che in poco tempo, grazie a un motore di ricerca, ti consente di rintracciare notizie e dichiarazioni che, altrimenti, senza un poderoso archivio, andrebbero perdute e sarebbero quasi impossibili da ricordare. Così – dato che io non sono Giampaolo Pansa, il quale ritagliava e archiviava da sé gli articoli più interessanti – quando devo scrivere mi metto davanti al computer e procedo pazientemente alla ricerca di quelle frasi che ho immagazzinato nella mia testa, ma che non ho sottomano.

In questo caso si tratta delle parole che Matteo Renzi dispensava a proposito dei migranti quando era presidente del Consiglio. Ai tempi, l’allora capo del governo era convinto di poter raggiungere un accordo con il resto dei Paesi europei per la gestione degli extracomunitari che sbarcavano nel nostro Paese.

Ventotene, Merkel e Hollande

L’ex segretario del Pd, nel 2016, era talmente sicuro di spuntarla che organizzò un vertice a Ventotene con Merkel e Hollande e dall’isola che ospitò Altiero Spinelli lanciò l’idea di una collaborazione europea per la gestione dei flussi migratori. Ovviamente non se ne fece nulla e l’ex premier tornò ad accarezzare un piano B, ovvero vietare l’attracco in Italia delle navi di altri Paesi, impedendo lo sbarco dei migranti soccorsi.

Cosa che, su suggerimento dell’allora capo della polizia Franco Gabrielli, poi fece Matteo Salvini da ministro dell’Interno del governo Conte. E per questo è finito a processo a Palermo.

Sei governi, un solo problema

Perché ricordo tutto ciò a oltre dieci anni di distanza? Per spiegare che da Renzi in poi, passando per Gentiloni con l’allora ministro Marco Minniti, in tanti hanno provato ad affrontare il tema degli sbarchi e dei rimpatri, ma soprattutto la questione del coinvolgimento dell’Europa per una gestione coordinata del fenomeno.

Tuttavia, nessuno dei governi che si sono succeduti (dal 2015 a oggi ne abbiamo visti sfilare sei) con Bruxelles è mai stato capace di cavare un ragno dal buco.

Ong, porti chiusi e doppi standard europei

Minniti ha fatto accordi con i Paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo, riuscendo a far diminuire le partenze degli extracomunitari verso l’Italia. Salvini ha ottenuto di bloccare per un po’ gli attracchi delle navi delle Ong, chiudendo i porti (quanto meno fino a che Carola Rackete non decise di far sbarcare i profughi di prepotenza).

Ma in Europa tutti hanno continuato a farsi gli affari propri, accogliendo i migranti che servivano (quelli che arrivavano dalla Siria e di cui l’industria tedesca aveva bisogno) e lasciando a noi i disperati che giungevano dalla Libia, dalla Tunisia e dal Marocco.

I centri in Albania e lo scontro con le toghe

Negli ultimi tre anni l’attuale esecutivo ha provato a prendere in mano la faccenda e, una volta capito che non c’era molto da aspettarsi dalla Ue, ha deciso di fare da solo. Oltre ai contatti con i Paesi africani del Mediterraneo, per cercare di rallentare gli arrivi, ha varato i famosi centri di rimpatrio albanesi, per far capire che chi volesse arrivare nel nostro Paese senza averne titolo non sarebbe stato lasciato libero di scorrazzare su e giù per la Penisola.

L’idea è piaciuta molto in Europa, ma poco nei tribunali italiani, con i giudici che prima ancora di vedere aperti i centri si sono messi di traverso. Dunque, per un anno il modello albanese non ha funzionato perché a ogni immigrato spedito in Albania, anche pluripregiudicato, corrispondeva una sentenza di qualche toga che stabiliva troppo «pericoloso» un suo rimpatrio.

La svolta europea (in ritardo)

Risultato, dopo un anno di braccio di ferro per stabilire quali Paesi debbano essere considerati sicuri, cioè dove si possano rispedire gli stranieri, ecco che l’Europa ha deciso di darsi una mossa, stabilendo che i centri fuori dai confini nazionali sono legittimi e che i Paesi dove si possono rimandare a casa gli ospiti non graditi li decide l’Unione e non le toghe.

Di più: dopo il pronunciamento europeo arriva anche il Consiglio d’Europa, che non è un organismo della Ue ma un’organizzazione internazionale nata dagli accordi di Londra e che promuove la democrazia e i diritti umani. Bene, a Strasburgo il Consiglio ha proposto un modello per i rimpatri dei migranti con la creazione di hub in Paesi terzi.

L’Europa scopre il modello italiano

In pratica, è l’idea italiana dei centri in Albania. Che qualcuno addirittura vorrebbe aprire in Congo o in Ruanda. In pratica, dopo dieci anni di fallimenti, qualche cosa si muove e in Europa cominciano a capire che non si possono accogliere tutti i migranti, ma soprattutto che il problema non è italiano ma continentale.

Lo capiranno anche i nostri magistrati? Lo vedremo presto, anche perché la questione arriva proprio mentre gli italiani sono chiamati a decidere sulla riforma della giustizia.

© Riproduzione Riservata