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Sognare e creare con Guerra, Fellini e Cagnacci

Sognare e creare 
con Guerra, Fellini e Cagnacci

Un poeta, un regista, un pittore e le loro passioni, tra luoghi abbandonati, attrazioni femminili, opere smarrite e riscoperte. Una corrispondenza di sensibilità la loro, da cui nasce anche l’idea di una futura mostra.


La prima volta che andai a trovare Tonino Guerra a Santarcangelo di Romagna, in prossimità della sua casa, su un muro, vidi una scritta con un gessetto bianco, tanto precaria quanto memorabile: «Cara, tu dici che ami i fiori e gli tagli i gambi; cara, tu dici che ami i pesci, e te li mangi; cara, quando dici che mi ami, ho paura». Si sarebbe potuta perdere o restare solo nella memoria di alcuni. Io la trascrissi e la salvai in un mio libro lontano, Il pensiero segreto. Anche Tonino ci pensò, e qualche anno dopo trovai quella frase su una mattonella di ceramica. Iniziò da allora un’amicizia che si consolidò nella condivisione di pensieri, dipinti, paesi, luoghi abbandonati. Con il suo amore per la valle del Marecchia e per la «Romagna solatìa, dolce paese», cantata dal Giovanni Pascoli, Tonino Guerra coltivò, come nessuno, la poesia dei luoghi abbandonati condivisa da anime sensibili, in diversi luoghi sempre remoti, come l’antropologo Vito Teti, con Papaglionti Vecchia, il «paesologo» Franco Arminio, con il paese di Aliano, l’«abbandonologa» Carmen Pellegrino, con il borgo di Roscigno Vecchia.

Scoprire la vita umbratile delle case in rovina, dare un nome alle cose che lo hanno perso, ha perciò un senso. Lo aveva teorizzato bene Tonino Guerra: «Ormai ho una convinzione definitiva: ho bisogno di strade non asfaltate, terreni fatti di crosta secca dove una nuvola d’acqua fa crescere i fiori sotto i tuoi occhi, che subito appassiscono all’apparire del sole. La meraviglia e l’emozione mi arrivano subito se mi trovo davanti a costruzioni in rovina. Ho bisogno di sentire la presenza di spessori, di incrostazioni create dalla pioggia, dal sole e dalle pietre che si sfarinano, così capisco che la natura concede un contributo fondamentale all’architettura regalando l’impronta del tempo e della morte. I palazzi gotici o del Rinascimento così ben conservati chiedono soltanto la mia ammirazione e invece i monumenti in rovina oltre all’ammirazione vogliono commozione e affetto per la loro agonia umana».

Parole che trovano conferma nel dialogo con Andrej Tarkovskij, il regista con cui Guerra concepì il film Nostalghia nel 1983. Per le riprese fecero insieme un viaggio in Italia, da cui deriverà il documentario Tempo di viaggio. Il film e i luoghi visitati richiamano il tema del mistero e del sacro, in una richiesta di salvezza per tutta l’umanità. In questo senso, Nostalghia è un capolavoro nato dalla fratellanza spirituale tra Tarkovskij e Guerra, rispecchiata nel rapporto tra i due protagonisti del film, Gorchakòv e Domenico. Scoprirono così luoghi in agonia, come la chiesa sommersa di San Vittorino, inghiottita dalla natura; la Madonna del parto di Piero della Francesca a Monterchi, ricoverata in una scuola elementare come in un ospedale, e riscattata dal poeta con una riproduzione fedele riambientata evocativamente in una chiesa romanica di Pennabilli. Il «trapianto» di Tonino ha restituito il capolavoro di Piero alla sua autenticità, in uno spazio interiore, sentimentale. Il viaggio continua a Bagno Vignoni, con la grande piazza delle sorgenti al centro del borgo: una vasca rettangolare che contiene una sorgente di acqua termale che scaturisce dalla falda sotterranea, di origini vulcaniche: un altro luogo magico, in una realtà che è più sogno di un sogno. I due si ritrovano a Faleria Antica, città perduta, dove le costruzioni medioevali minacciano di crollare. Un analogo sentimento della rovina, tra pittoresco e sublime, si ritrova all’abbazia di San Galgano il cui tetto è il cielo.

La ricerca di luoghi abbandonati è d’altra parte una costante del sentimento di Tonino Guerra. Ce lo ripete, ai suoi 90 anni, in un Diario di viaggio a Mosca (2009), nel libro Polvere di sole. In fondo Tonino sta a Mosca nella stessa dimensione psicologica con cui sta a Pennabilli: «La mattina a Mosca mi riempie di stupore. Quando si fa giorno sono felicissimo di essere qui. Con la notte i pensieri si coprono di malinconia. Purtroppo è la stessa che mi prende a Pennabilli. Tornando là, penso che vorrei fare dei piccoli viaggi per cercare luoghi abbandonati (…) i viaggi lontano da Pennabilli stanno diventando sempre più corti. La casa mi sta racchiudendo. Spesso guardo il mondo dalla finestra. Sento la pioggia che batte sui rami e sulle foglie degli alberi. Vedo le nevicate che imbiancano la valle».

Insieme a questo desiderio di vivere in luoghi remoti e perduti, che il tempo non ha risparmiato, Tonino Guerra sentiva l’amore per la donna, per il suo corpo caldo, come un ritorno nella madre, in una condizione pienamente condivisa da Federico Fellini, e documentata nella raccolta di disegni del Libro dei Sogni suggerito dallo psicanalista Ernest Bernhard, amico di Jung. L’immagine della donna è una proiezione dei sogni erotici di Fellini: «Paciocca», «Tettona», «Bella culona», fino a «Gradisca» (l’indimenticata attrice Magali Noël)… Ecco la lettera a Georges Simenon, durante le riprese de La Citta delle donne: «In questi giorni sto girando le sequenze chiamate genericamente “le visioni”…: la prima puttana, il suo immenso culone candido e imbronciato che salendo dondolante per le scale del casino sembrava sempre sul punto di dirci, di rivelarci qualcosa, stregandoci in questo modo per sempre; la pescivendola infagottata di maglie come un samurai, il viso, le braccia e le tettone madide di sudore e luccicanti come l’argentea vita palpitante nelle ceste… Le confesso, caro Simenon, che non vorrei uscire più da questa zona del film, mi piacerebbe restare lì per sempre, nel suo tepore sfavillante e sonnolento…».

Forse Fellini, morto troppo presto, non fece in tempo a prendere coscienza della affermazione improvvisa, come accade nel progresso degli studi di storia dell’arte, di un pittore romagnolo che era stato il suo indiscutibile precursore, con una analoga sensibilità morbosa per il corpo femminile, per la sua voluttà: è Guido Cagnacci, nato a Santarcangelo di Romagna come Tonino Guerra, nello stesso giorno di Fellini, il 20 gennaio (ma del 1601). Più curioso dell’arte antica, Tonino Guerra ne aveva più limpida coscienza e, fin dal 1993 (l’anno della morte di Fellini), aveva condiviso con me la passione per Cagnacci. Fu in occasione della mostra di Rimini, che escluse clamorosamente un’opera fondamentale del pittore della mia collezione: l’Allegoria della vita umana. Iniziò così un dialogo a distanza con Fellini, perché io la esposi, in polemica con gli organizzatori, in una sala del Grand Hotel di Rimini, dove fu più ammirata che alla mostra.

L’esposizione solitaria, ma suggestiva, si chiamò Cagnacci esiliato, e lì Tonino Guerra prese coscienza della grandezza del suo concittadino. Così, quando il dipinto fu riammesso nella successiva mostra di Cagnacci, in San Domenico di Forlì, nel 2008 ,Tonino ci consegnò le sue riflessioni, che appaiono la più partecipata lettura del grande pittore: «Questa mattina mi sono attardato a guardare La vita umana, il bellissimo quadro di Guido Cagnacci riprodotto nel catalogo dedicato a quel pittore seicentesco di Santarcangelo in occasione di una grande mostra organizzata a Forlì. Quell’eccessiva delicatezza della donna nell’offrire il fiore mi sembra carica di un avvio di altri gesti più sostanziosi. Sono andato a leggere nel dizionario i sinonimi del verbo offrire. Ho trovato: esibire, cedere, dare, donare, regalare, profferire, proporre, porgere, presentare, consegnare, far dono, dedicare. Vanno tutti bene. Eppure non sono soddisfatto perché in quell’estremo riguardo per il fiore c’è anche un vergognoso e rispettoso modo di reggere, sfiorare, iniziare in modo lontano quello che poi potrebbe trasformarsi in un atto sensuale profondo e avvolgente. E così vi sembra di precipitare e affondare dentro un mare di indicazioni sottintese. Per ultimo vorrei parlarvi dell’ombelico e delle vertigini tipicamente romagnole per quei piccoli gorghi d’oscurità dove affondano i desideri. La bella signora del Cagnacci mentre dichiara con gli occhi innocenza e stordimento, poi ti risucchia in quel profondo avvallamento della pancia dal quale a fatica si può risorgere con occhi normali». Da qui, nel centenario della nascita di Tonino Guerra (e anche di Federico), nasce l’idea di una mostra «Cagnacci-Fellini», che illustri l’incontenibile amore per la donna, fino a dissolversi in lei. «E il naufragar m’è dolce in questo mare».

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