Giochi pericolosi. Un ragazzo è in fin di vita dopo essere caduto dal tetto di un’auto da cui faceva riprese per il Web. Due amici minorenni di Pisa si scontrano in moto e muoiono uno a poche ore di distanza dall’altro perché facevano evoluzioni pericolose per riprendersi. Sono solo le ultime vittime di giochi scriteriati (e della voglia di postarli sui social) dei nostri ragazzi. Ragazzi tra l’adolescenza e la giovinezza, ragazzi morti per quel nulla nel quale molti di loro precipitano e che si chiama Web, che si chiamano social. È sempre esistita la bravata e sono sempre esistiti i giochi ad alto rischio per mostrare agli altri il proprio coraggio, ancor prima per sfidare sé stessi e dirsi capaci di compiere prodezze e di essere esempi invincibili. Da che mondo è mondo in quell’età di passaggio, meravigliosa e terribile, il giovane, meno spesso la giovane, deve in qualche modo mostrare che non è più un bambino, ma che è un uomo e che da uomo deve comportarsi e che uomo deve mostrarsi agli altri coetanei e alla società in generale. Fin qui siamo nella “normalità”.
Chi non ha fatto una bravata per sentirsi forte e anche furbo, scaltro, agli occhi degli altri? Tutto questo per dimostrarlo prima di tutto a sé stessi e trovare, o almeno illudersi di trovare, quella sicurezza che in realtà a quella età ancora non si ha. Che si cerca per definire sé stessi, spesso imitando modelli sbagliati, spesso rifugiandosi in evasioni come l’alcol e la droga, spesso volendo nascondere le proprie timidezze e le proprie fragilità, che andrebbero viceversa accettate come normali, come fisiologiche, come proprie degli anni che si stanno vivendo. Ma spesso, a quell’età, si ha la sensazione di essere soli, talvolta incompresi e allora ci si chiude in sé stessi per proteggersi dal mondo esterno che sembra non capirci, anche nell’ambiente familiare, magari anche nelle associazioni o nei gruppi che si frequentano, magari anche nel proprio gruppo di amici.
Poi, come in tutta la vita, c’è chi è più forte e chi è più debole, chi riesce a maturare prima la propria consapevolezza e chi ci riesce più tardi, magari non aiutato dall’ambiente che lo circonda e che non si è scelto, ma che si è trovato a vivere.
Questo non vuol dire giustificare tutto, ma, semmai, tentare di capire quel periodo della vita in cui non si è più bambini ma non si è ancora uomini, non si è più bambine, ma non si è ancora donne, o non si sa bene più, e i casi sono crescenti, se si è donne o uomini. E allora per tutti questi e queste la confusione si fa grande all’interno della propria anima e se in quel momento ti inghiotte il mondo dei social, tutto può precipitare in fretta fino a farti detestare la vita reale e rifugiarti nella vita virtuale.
Abbiamo fatto questa lunga premessa perché altrimenti questi due fatti cui ci siamo riferiti verrebbero immediatamente valutati come cronaca e come un andazzo nei confronti del quale non è possibile fare niente, perché ormai è così e agire non serve a nulla. È sbagliatissimo pensare in questo modo ed è per questo che abbiamo parlato a lungo di questo gorgo dei social che risucchia e risputa giovani vite a volte ancora vive a volte morte. I due ragazzi, Iacopo e Leonardo, di 16 e 17 anni, che sono morti nel piazzale antistante l’Ikea di Pisa non sono cronaca, sono tragedia e lo sono principalmente per due motivi: la morte senza senso di ragazzini, un dolore che non conoscerà consolazione per i familiari ma anche per gli amici e i compagni di classe. Soprattutto per il babbo e la mamma e gli altri familiari.
Le indagini sono ancora in corso ma quasi certamente si è trattato di giochi pericolosi che poi magari sarebbero andati a finire sul Web per ricevere quel riscontro sociale per il quale, purtroppo, molti di loro spendono un pezzo della loro vita. Ci immaginiamo questi giovani mentre fanno le loro acrobazie con la moto, felici di vivere e spensierati. Ce li immaginiamo sorridenti, fieri di quello che stanno facendo, ma poi ce li figuriamo a terra in gravi condizioni, conseguenze inaspettate di quello che hanno fatto. Al pari ci immaginiamo quel giovane di 23 anni che scivola e cade dal tetto di una vettura a tutta velocità e lui che si faceva un video. Questo è successo a Esine, in provincia di Brescia: il giovane era insieme a cinque amici, uno sul tetto della macchina insieme a lui. Con tutta probabilità anche questo video sarebbe stato postato sui social per dimostrare agli altri, conosciuti e sconosciuti, la loro audacia e il loro coraggio. Non esiste una ricetta che può prescrivere un medico, ma serve l’educazione familiare e scolastica che deve lavorare su questo tema provando a strappare le generazioni più fragili a questa specie di fascinazione dei social e reinsegnare a loro il gusto della vita reale.
