In un’epoca dove le relazioni sono sempre più «virtuali», si moltiplicano riflessioni e scoperte su questo legame unico. Messo oggi in luce dal saggio di un grande psichiatra.
La nostra non è certo un’epoca che favorisce le relazioni umane. Dalle nuove tecnologie della comunicazione alle epidemie, alle trasformazioni nel mondo del lavoro, sono molti i fattori che diradano gli incontri di persona. Ed è proprio uno dei motivi per cui il tema dell’amicizia, da sempre al centro della riflessione filosofica, sta ora suscitando anche l’interesse della ricerca scientifica.
Alcune settimane fa, un articolo su Science Advances del Weizmann Institute of Science ne ha indagato le basi chimiche. Usando un «naso» elettronico, una macchina i cui sensori producono un’impronta olfattiva se sollecitata da molecole particolari, i ricercatori hanno analizzato e comparato gli odori delle magliette di coppie di amici in un campione di volontari. Risultato: i membri di ogni coppia avevano un odore simile, da cui la conclusione che gli esseri umani avrebbero la tendenza a legarsi con persone in cui questa caratteristica fisica è analoga.
Un altro studio sul Journal of Applied Psychology indica che la creatività sul luogo di lavoro sarebbe strettamente dipendente dai legami amicali stretti al suo interno. E di recente archeologi dell’Università di Helsinki hanno rinvenuto ornamenti dell’Età della pietra che servivano a contrassegnare l’amicizia tra due cacciatori dello stesso gruppo. Qualche anno fa inoltre, su Biology Letters, lo psicologo evoluzionista Robin Dunbar argomentava che il volume della neocorteccia influenza la quantità massima di amici che una persona può avere, e stimava questo numero in 150. Un numero, ricorrente – non a caso – in molte strutture sociali: tra i soldati nelle compagnie dell’esercito, tra gli impiegati in un reparto di una grande azienda e così via. Non può indicare il numero di «amici» in senso stretto ma deve intendersi come il complesso delle relazioni tra persone che condividono certi scopi. Già nel Rinascimento il celebre filosofo francese Michel de Montaigne nei suoi Saggi affermava che i veri amici non possono mai essere tanti.
Tutte indagini che, per quanto interessanti, non colgono la complessità di questo legame umano, sulla quale getta una luce originale il nuovo saggio Sull’amicizia (Cortina Editore) dello psichiatra Eugenio Borgna. «Come tutti gli altri che ho scritto, anche questo libro sgorga dalla continua immersione nel dialogo e nell’accoglienza» racconta Borgna a Panorama. «Nel mondo nuovo in cui viviamo gli spazi ancora aperti alle relazioni umane e interpersonali, e fra queste all’amicizia, così fragile e creativa, temo che si restringano». Borgna, primario emerito di Psichiatria all’Ospedale Maggiore di Novara, è noto per essere poco propenso a ridurre il disagio psichico a fattori biologici, e per indagare la dimensione esistenziale del dolore non solo attraverso il dialogo ma anche la letteratura, la filosofia e l’arte. Così il libro è costruito sulla sua esperienza di psichiatra e cammina sul filo delle tante riferimenti a poeti e scrittori.
Cita per esempio la scrittrice francese Simone Weil, la quale affermava: «Impara a essere solo, non fosse altro che per meritare la vera amicizia». Questa è per Borgna condizione imprescindibile: «Non si vive fino in fondo una relazione di amicizia se non quando si conoscono il valore e gli orizzonti di senso della solitudine». Per lui, il termine «solitudine» ha, al contrario di «isolamento», un’accezione positiva: «Significa rientrare nella nostra interiorità, alla ricerca dei pensieri e delle emozioni che fanno parte della vita». Dunque la solitudine è già una relazione, non con l’altro ma con sé stessi. Ci educa al dialogo e all’ascolto, fattori cruciali nei rapporti di amicizia. «Per me, l’amicizia ideale si riassume in una bellissima citazione di Weil: “Ogni amicizia è impura se contiene anche solo una minima traccia del desiderio di piacere”».
Fondamentale quindi sgombrare il campo dalle false o edulcorate immagini di sé, come quelle dei social, dove la tentazione di piacere spesso coincide con quella di mostrare ciò che si possiede, innescando un’instancabile corsa ad avere sempre di più. Rispetto alle amicizie giovanili, più esposte a rotture e cambiamenti, i legami dell’età più avanzata sarebbero, per Borgna «fonte di speranze rigenerate, arginando la solitudine e ridando senso alla vita. Ma ogni amicizia ha bisogno della conoscenza delle emozioni dell’altro. Non muore mai se siamo capaci di ascoltare, di essere pazienti, di intuire quando sia necessario tacere e quando parlare, quando sorridere o, magari, quando piangere». E la cosa più stupefacente è che tutto ciò non ci pesa. Se siamo davvero amici, siamo felici di dare.
