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Renato Brozzi, il lato animalista dell’arte

Renato Brozzi, il lato animalista dell’arte

A Traversetolo, vicino a Parma, c’è il museo dedicato allo scultore vissuto tra Ottocento e Novecento, molto amato da Gabriele D’Annunzio. E qui, oltre alle sue raffinate creazioni, questa estate si scoprono anche le opere di colleghi ispirati dalla natura.


Il piacere ricomincia a Traversetolo, in provincia di Parma. L’affollarsi di sculture nel nobile edificio Tassoni con la corte porticata costituisce il museo di Renato Brozzi. Una rinascita di grande impegno, dopo che l’orgoglio cittadino aveva per decenni accolto le opere donate dallo scultore (1885-1963) nel palazzo comunale. Ora una buona amministrazione ha restaurato la nuova sede, con l’intervento intelligente e ragionevole di buoni progettisti: gli architetti Christian Gasparini, Marco Pavarani e Paolo Iotti, dotati di gusto e di rispetto per l’architettura e per le delicate e sensibili opere di Brozzi.

È una sensazione di felicità e civiltà che viene dalla visita di questo museo monografico, arricchito dalla donazione delle opere di Daniele de Strobel, pittore anche animalista affine a Brozzi: i suoi soggetti preferiti sono gli animali, in particolare i cavalli. Ma il museo è anche «aperto», ed è assai notevole e articolata l’offerta coerente che propone, come la mostra Renato Brozzi e la scultura animalista italiana tra Otto e Novecento. Brozzi fu un supremo «animaliere», devotamente operoso per D’Annunzio, che gli scriveva: «Carissimo Renato, tu sei una specie di Orfeo plastico, di continuo seguito da una torma di animali viventi. Stanotte, dinanzi alle tue gazelle ai tuoi cignali ai tuoi elefanti alle tue aquile, la mia malinconia ha sospirato verso i deserti le selve le giungle le nuvole; e qualche volta è giunta al di là dal mio lungo sospiro».

È Anna Mavilla, curatrice della mostra con Alfonso Panzetta, a raccontarci la storia dell’orfico animaliere e dei suoi rapporti col Vate, ultimo committente rinascimentale. Brozzi, dopo l’Accademia di Parma, con il sostegno di Alberto Rondani, si perfeziona a Roma dove partecipa alla Esposizione internazionale del 1911. Nel 1915 lo troviamo a Villa Strohl-Fern con Amedeo Bocchi: frequentano insieme la fiaschetteria toscana in via della Croce dove convengono politici, letterati come Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Roberto Longhi, Giuseppe Ungaretti, Antonio Cardarelli, Bruno Barilli, e artisti come Armando Spadini, Daniele de Strobel e Arnaldo Bartoli.

È a Venezia, nel 1919, che incontra D’Annunzio, in occasione della cerimonia di consegna al generale Armando Diaz della spada d’onore la cui elsa era stata modellata da Brozzi; da allora ha inizio la loro grande amicizia e la collaborazione, fino al 1938, anno di morte del poeta. Lo scultore svolge quasi tutta l’attività su sua commissione. D’Annunzio, al Vittoriale dal 1921, faceva eseguire all’«eccelso animaliere», per donarli ai suoi ospiti, piccoli oggetti («inezie squisitissime») – figurine, spille, scatole – decorati con vari motivi, sempre di preferenza animali: la gazzella in movimento, gatti, cerbiatti, galletti.

Tra le numerosissime altre opere eseguite da Bruzzi per D’Annunzio si ricordano la Coppa del Benaco, premio per gare di idrovolanti sul lago di Garda; una targa in argento, raffigurante un leone accovacciato e una cetra, in onore di Arturo Toscanini; 11 «piatti francescani» d’argento, con il cordiglio, motti ed emblemi (1922-23); la Tartaruga Cheli, consegnata nel 1928, cioè la corazza naturale di una tartaruga, montata da Brozzi con zampe e testa di bronzo; vari disegni di elefanti (1930); studi per gli Occhi alati (1930), motivo destinato a spille per cravatte; studi per la sepoltura al Vittoriale di D’Annunzio, in forma di arca su quattro colonne con un veltro in agguato.

Molte altre sono poi le opere del Brozzi di carattere pubblico o celebrativo, come la Vittoria angolare in bronzo per il palazzo comunale di Traversetolo, con bella epigrafe di D’Annunzio (1923). L’artista intrattiene sempre con il committente un rapporto di ossequioso distacco e devoto rispetto. Ne è prova una lettera del 1932: «Mio Carissimo Comandante. Da ieri nel pomeriggio sono a Gardone. Oggi nell’inviarvi il mio devoto saluto ed omaggio unisco anche il piccolo bronzo della testina della Vittoria Navale, ultimo della serie che avevo fatto fondere, montato su [base] di pietra dura: bellissima agata dorata. Non avendo saputo più nulla dei disegni che a volta a volta vi ho mandato per l’occhio alato penso che a Voi non siano piaciuti e se persiste ancora la vostra idea su questo oggetto desidererei sapere se debbo ancora tentare l’impresa, magari con una vostra parola luminosa. Sono qui a vostra disposizione sempre devoto e ammiratore. Renato Brozzi, Vittoriale».

Continua a dare del «lei» a D’Annunzio, che gli scrive dandogli del «tu» come a un figlio (l’uno è nato nel 1863, l’altro nel 1885). «Sono afflitto; ma traboccante di bellezza interiore, d’inesprimibile poesia. Stanotte, come più soffrivo, ho fatto portare al mio capezzale le stupende «cere perse»; e ho ricevuto dalla tua arte, o animaliere veramente orfico, una fresca tregua. Ho passato le prime ore del mattino a disporre i nove amici, così che sian mescolati alla mia intima vita cotidiana. Nel guardarli e interrogarli mi sembra di eguagliare il tuo pollice plastico. Spero che potrò riabbracciarti. Posso mandarti stamani queste seimila misere lire. Quanto prima, manderò altro. E tu, al solito, o cuore semplice e puro, non ci badi. Ave. Il tuo sempre Gabriele d’Annunzio».

Bastano queste parole a dire della qualità di Brozzi. E io le sottoscrivo. Ma ad Alfonso Panzetta dobbiamo il restante godimento della mostra, preceduto da un vasto e completo repertorio degli «animaliers» contemporanei di Brozzi. È, come sempre, opera pregevole dello studioso che insegue e innalza i minori e i minimi. Alcuni mirabili, e in verità grandi, come Guido Cambellotti, titolare di una forma che resiste e concorre con le avanguardie del primo Novecento; e poi Paolo Troubetzkoy, Boldini in scultura nei grandi ritratti maschili e femminili, ma anche sensibile animalista. E, naturalmente, Rembrandt Bugatti; e poi Michele Vedani e Valmore Gemignani; ma, soprattuto, il padano e concreto Giuseppe Graziosi che apre la strada alla presenza, assai originale, dello scultore più antidannunziano che si possa immaginare, ma grande animalista popolare: Antonio Ligabue.

La minuziosa ricerca ci affida anche la conoscenza del raffinato Michelangelo Monti, prediletto da Panzetta, e di altri grandi come Libero Andreotti, Ercole Drei, Publio Morbiducci. I due cani di collezione Fendi di Andreotti sono un capolavoro di invenzione. Non mancano i dannunziani concorrenti, come l’abruzzese Nicola D’Antino, il sofisticato Cesare Ravasco (con le coppe di vetro con pesci), e il mirabile Giacinto Bardetti (con le sue scimmie), al quale D’Annunzio commissionò, per il giardino del Vittoriale, un San Francesco che abbraccia le natiche di una Venere romana. Panzetta presenta il «suo» Felice Tosalli, finissimo animalista in legno. Tra le persone prime non poteva mancare Sirio Tofanari, esclusivo animaliere fiorentino. Ma la vera sorpresa è la presenza del raro Alberto Gerardi, sintetico e asciutto come nessuno, partendo dalla lezione di Cambellotti.

Sorprendente è poi Cornelio Ghiretti, cui si deve un’Allegoria marina in società creativa con il meraviglioso scultore del ferro battuto Umberto Bellotto. Non manca Guido Cacciapuoti, e merita il ricordo, per la sorpresa, l’amico di Brozzi, il bizzoso Mario Minari, con i suoi trofei di caccia. La presenza di artisti conosciuti e più vicini alla modernità come Mirko Basaldella, Angelo Biancini, Agenore Fabbri e soprattutto Luciano Minguzzi, mi sospinge affettuosamente a ricordare che l’unico animalista dimenticato è uno dei maggiori scultori del secondo Novecento: Francesco Messina, autore, oltre al cavallo della Rai, di una quadriga formidabile, proprietà dei familiari del presidente della Repubblica Giovanni Leone, nel parco della Ruga, vicino a Sutri. Tanto è l’amore di Mavilla e Panzetta per il raro e lo sconosciuto, che non hanno pensato di includerlo. E, con lui, un altro «cavalliere», supremo, Marino Marini. Ma andate a Traversetolo, felici e confidenti nell’amore per l’arte, coltivato poco lontano da Luigi Magnani, sofisticatissimo collezionista, di Simone Dall’Orto ed Elisabetta Manconi.

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