La neo segretaria del Pd Elly Schlein è favorevole a un’accoglienza «senza se e senza ma». Anche se persino le «regioni rosse» che erano a favore dei porti aperti e contro i blocchi navali hanno iniziato a protestare, passando rapidamente dalla parola d’ordine «aiutiamo i profughi» a «aiutiamoli, ma a casa di qualcun altro»
Caro direttore,
nel nostro Paese ci sono regioni nelle quali la maggioranza della popolazione è a favore di una migrazione libera, senza gli ostacoli e i freni creati dall’attuale governo (penso per esempio a Emilia-Romagna, Toscana, Campania). Invece altre regioni, egoisticamente, preferiscono limitare gli arrivi e qui gli immigrati sono sopportati a fatica. Personalmente sono convinto che gli extracomunitari si troverebbero più a loro agio nelle prime, a contatto con persone meglio disposte nei loro confronti. Mi chiedo quindi se non sia opportuno favorire i flussi verso le aree dell’Italia nelle quali gli emigranti godano della simpatia e della più ampia comprensione da parte dei locali. Mi rendo conto che creare centri di accoglienza nelle regioni favorevoli e una concentrazione maggiore di richiedenti asilo in esse non risolverà un problema di così enormi dimensioni, ma forse potrà rappresentare un piccolo passo avanti per l’integrazione. Alberto Manferrari
Caro Manferrari, quando ho visto la sua lettera ho pensato a una provocazione, ma poi ho riflettuto meglio e mi sono convinto che non lo è.
Basta infatti scorrere la mozione congressuale con cui Elly Schlein è diventata segretaria del Partito democratico, per rendersi conto che la linea del Pd è favorevole a un’accoglienza «senza se e senza ma», che riconosca agli stranieri tutti i diritti. Infatti, a pagina 15, sotto il titolo «Una nuova visione sulle politiche migratorie e d’accoglienza» si può leggere che la nuova leader vuole «opporsi alla politica disumana e illegale di chiusura dei porti, ai blocchi navali», ma soprattutto «agli accordi con Paesi terzi come la Libia per respingere illegalmente le persone». Schlein spiega che il suo partito si schiererà contro «i respingimenti al confine con la Slovenia e lungo la rotta balcanica» e si batterà «per una missione di ricerca e soccorso istituzionale con pieno mandato umanitario». «Difenderemo e promuoveremo il modello di accoglienza diffusa (cioè in tutta Italia, ndr) e affiancheremo la battaglia che stanno facendo le associazioni per difendere il diritto di milioni di giovani italiani senza cittadinanza».
Non so se coloro che domenica 26 febbraio sono andati ai gazebo per scegliere chi tra Bonaccini e Schlein dovesse guidare il Pd avessero letto nel dettaglio la mozione dei due candidati, ma immagino che a grandi linee sapessero quali erano le opinioni di entrambi sul tema dei profughi e fossero a conoscenza che la linea del governatore dell’Emilia- Romagna e quella della sua ex vicepresidente si contrapponevano. Dunque, scrivendo il nome della futura segretaria, elettori e simpatizzanti del Partito democratico penso che fossero consci che in caso di vittoria dell’uno o dell’altra, sull’immigrazione il partito avrebbe adottato di conseguenza una linea pragmatica o una più schierata a favore di un cambiamento delle politiche migratorie e dell’accoglienza. Schlein non ha nascosto le sue idee e, anche se espresse in maniera un po’ generica, non era difficile intuire che non condivideva nulla delle strategie adottate da un altro esponente del Pd quand’era ministro dell’Interno. Marco Minniti, da fine 2016 fino a metà 2018, ha applicato una politica inflessibile in materia di sbarchi. Dovendo fronteggiare un’emergenza (a una festa dell’Unità parlò di un fenomeno che rischiava di mettere a rischio la tenuta democratica del Paese), colui che fu un delfino di Massimo D’Alema fece accordi con le milizie libiche per impedire le partenze e non disdegnò di sostenere la Guardia costiera di Tripoli affinché respingesse per conto dell’Italia i migranti. Minniti dopo le elezioni di cinque anni fa che portarono a un cambio a Palazzo Chigi, si è sostanzialmente ritirato dalla politica, preferendo un incarico in un’azienda di Stato. Tuttavia, la dottrina dell’ex ministro dell’Interno è rimasta invariata. Da allora abbiamo avuto governi gialloverdi, poi giallorossi, infine incolori come quello presieduto da Mario Draghi e però a nessuno è mai venuto in mente di mutare rotta sui migranti, evitando di fare accordi o tagliando i fondi alla Guardia costiera libica. Dunque, se questa è la linea della neosegretaria, siamo a una svolta, che nel caso un domani Schlein divenisse presidente del Consiglio troverebbe applicazione pratica.
Lei, caro Manferrari, si chiederà che cosa c’entri tutto questo con il suo discorso. C’entra, perché Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Puglia sono le regioni dove il Pd governa, in quanto la maggioranza degli elettori è schierata a sinistra. E dunque si presume che l’Italia centrale, con le sue roccaforti rosse e le due amministrate da Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, siano favorevoli alla linea pro immigrati di Schlein. In altre parole, lì la neosegretaria dovrebbe trovare terreno fertile per il suo progetto di accoglienza diffusa. A differenza di quanto avviene altrove, immagino che nessuno si opporrà alla politica dei porti chiusi e dunque dei paesi aperti e gran parte della popolazione applaudirà all’istituzione di una missione di ricerca e soccorso istituzionale, ovvero a impiegare tutti i mezzi di mare per pattugliare il Mediterraneo alla ricerca di naufraghi. Insomma, prima degli altri italiani, a farsi avanti per sostenere «una nuova visione sulle politiche migratorie», dimostrando come si possa praticare una politica dell’accoglienza, dovrebbero essere proprio i governatori di Toscana, Emilia-Romagna, Campania e Puglia.
Credo, caro Manferrari, che sarebbe un esperimento interessante che dimostrerebbe quanta distanza esista tra i bei discorsi teorici e la pratica. Le dico solo questo: quando il ministro Matteo Piantedosi ha provato a far sbarcare i profughi lungo la Riviera romagnola, dopo la terza nave attraccata, anche chi si dichiarava per i porti aperti e contro i blocchi navali ha iniziato a protestare, passando rapidamente dalla parola d’ordine «aiutiamo i profughi» a «aiutiamoli, ma a casa di qualcun altro». Un po’ quello che successe tempo fa a Capalbio, patria dell’intellighenzia di sinistra, pronta all’ospitalità, ma lontano dalle spiagge del buen retiro rosso.