Il giovane imprenditore Paolo Silvagni ha fondato con l’analista geopolitico Andrea Gaspardo il Partito moderato per dare voce
a chi durante la pandemia è stato lasciato da solo.
La sveglia dell’Italia suona alle sette. «Chi lavora si tira su dal letto a quell’ora, raccoglie le energie e affronta il giorno che nasce, la vita. Un momento simbolico significativo». Partendo dal sito Sveglia-Italia varato durante il lockdown, Paolo Silvagni ha fondato il Pmdi, Partito moderato d’Italia, «per rappresentare coloro che durante la pandemia sono stati abbandonati, dalle piccole e medie imprese ai cittadini insoddisfatti dalla vecchia politica».
Silvagni può dirlo, ha 35 anni, è un imprenditore – la famiglia è proprietaria dei marchi di calzature Valleverde e Rafting Goldstar – e con l’amico bocconiano Andrea Gaspardo (analista geopolitico) ha deciso di scendere in campo. Il simbolo del partito è la dea Minerva, emblema della saggezza e della giusta causa che dovrebbero guidare la politica. Colore il bianco, posizione il centro, grinta da vendere. E le idee? Eccole.
È suonata la sveglia e lei ha deciso di fondare un partito. Ci racconti.
Quella per la politica è una passione che coltivo dalla prima media, elezioni del 1996. È sempre stato un mio pallino in un angolo del cervello, mi è sempre piaciuto tenermi informato su vicende politiche non solo italiane, ma anche internazionali. Durante il lockdown di un anno fa ho cominciato ad analizzare i modi in cui i Paesi rispondevano alla pandemia; fin dall’inizio era chiaro che all’emergenza sanitaria sarebbero seguite quella sociale e quella economica.
L’analisi a cosa ha portato?
A concludere che stavamo facendo peggio degli altri, senza un piano d’emergenza e senza un giusto bilanciamento fra esigenze sanitarie ed economiche. Risultato: più morti e recessione più pesante. In casa eravamo arrabbiati per le scelte del governo. Mio padre scrisse tre lettere aperte alle istituzioni, poi abbiamo deciso di varare il sito Sveglia-Italia. Molte persone hanno cominciato a scriverci, a commentare e ci hanno incoraggiati a scendere in campo.
La parola «partito» oggi suona strana.
L’abbiamo scelta apposta, abbiamo voluto tornare a darle un senso; il primo passo sul sentiero dell’onestà e della trasparenza è chiamare le cose con il loro nome. Quanto a moderato, è un’identificazione, significa di centro, di tradizione democratica, atlantica, europeista, cattolica, amante delle libertà. Siamo alternativi alla sinistra, ci poniamo al centro dello schieramento e avremo punti di convergenza con chi si avvicinerà ai nostri programmi.
Il perimetro è quello di Forza Italia.
Ci collochiamo in una posizione vicina al partito di Silvio Berlusconi ma senza il suo problema strutturale: è fondato su una persona, doveva cambiare l’Italia ma non riesce a cambiare leadership. Non porta nuova linfa vitale nello spazio politico dove ce ne sarebbe più bisogno. Per noi l’esempio virtuoso è la Cdu tedesca. Angela Merkel ne è stata prima la leader poi l’icona per 16 anni, ma ora si fa da parte. Congresso, elezioni, nuova leadership: questa è la transizione democratica.
C’è diffidenza, l’ultima novità politica under 40 era stata un «Vaffa».
I grillini non sono certo moderati. Ma l’errore principale del Movimento Cinque stelle è stato definirsi post-ideologico. Se ritieni che le ideologie siano finite devi sviluppare una tua visione del mondo, non basta allearti con tutti per rimanere a galla.
Il Pmdi cosa farebbe oggi per il Paese?
L’urgenza suprema sarà la gestione del Recovery Fund. È imprescindibile usare quei fondi per realizzare infrastrutture e progetti strategici da tradurre in investimenti: porti, autostrade, treni ad alta velocità in un contesto di valorizzazione ambientale. Assolutamente da evitare le spese improduttive, per intenderci quei bonus a pioggia visti nei mesi scorsi.
Quali sono le parole chiave del vostro programma?
Sono cinque, facili da pronunciare, ma spesso rimangono parole. Turismo, quindi una compagnia aerea di qualità per far arrivare i turisti. Istruzione, quindi digitalizzazione ma soprattutto far tornare in classe i nostri studenti con materie più in sintonia con il mercato del lavoro. L’Italia spende molti soldi per formare i ragazzi a livello internazionale ma ne vede partire troppi per l’estero.
Ne mancano tre.
La terza è fisco: serve una radicale riforma del lavoro e del welfare. Quando finirà il blocco dei licenziamenti il mercato non sarà più come prima. Poi due classici inespressi: riforma della giustizia e della pubblica amministrazione.
Come si sta comportando Draghi?
È il cittadino italiano più qualificato per svolgere il ruolo di premier nella tempesta, però non ci è piaciuto com’è arrivato. Quando è caduto il governo Conte avremmo preferito che il presidente Mattarella prendesse la decisione coraggiosa di indire le elezioni anticipate; così Draghi avrebbe governato con una maggioranza legittimata dal popolo. Invece rischiamo di giocarci la figura migliore con un governo istituzionale che mostra troppi segnali di continuità con il passato.
Quali sarebbero?
Lo si è visto subito nel modo vergognoso con cui sono stati trattati gli operatori sciistici e della montagna. E poi lo ius soli di Enrico Letta. Come può governare serenamente Draghi se uno dei partiti sui quali poggia non crea consenso ma ha un atteggiamento divisivo?
Il contenitore c’è ma va riempito di contenuti.
Procediamo su due binari. Primo: dobbiamo completare le 20 posizioni della direzione nazionale. Creeremo un governo-ombra come nel sistema anglosassone con esperti di ogni settore; cerchiamo persone competenti, di qualità e stiamo vagliando i curriculum. Secondo: cominciamo a radicarci sul territorio con circoli e coordinamenti regionali e nazionali. Per costruire una rete nel Paese usiamo molto il web.
Quando Minerva si cala l’elmo e parte verso le urne?
L’obiettivo sono le Politiche del 2023, ma potremmo fare qualche esperimento in alcune città campione alle amministrative. Intanto ci strutturiamo, attorno a noi cogliamo fiducia. La sveglia ha anche un altro significato: è l’ora di cambiare.
