Guerra in Ucraina, crisi climatica, dominio social. Un brillante saggio «scarta» e chiede lumi a pensatori come Kant, Nietzsche o Popper. Ma non solo a loro. Anche Fantozzi può fornire utili spunti sul lavoro di oggi…
C’è chi citofona al quarto piano con la pizza, chi allo zio sacerdote in cerca di conforto, chi a Samantha (anche ore pasti). Paolo Pagani ha citofonato a Georg Wilhelm Friedrich Hegel perché è convinto che in un periodo di imponenti interrogativi politici, sociali, culturali, «solo i grandi filosofi del passato possano ancora fornirci le chiavi per aprire e decrittare il presente».
Le domande sono enormi. La guerra in Ucraina durerà per sempre? Dopo l’inverno pandemico possiamo fidarci ciecamente della Scienza? Con la crisi irreversibile del posto fisso si può pensare a una società divanata senza la centralità del lavoro? La Natura è buona e noi siamo intrusi distruttori? Con il predominio dei social, esistono davvero le persone reali o soltanto le immagini riflesse e le fake news? Dilemmi epocali che ci sorprendono sotto la pioggia e senza ombrello. Ma sulla bottoniera d’ottone accanto al portone dove il viandante cerca riparo ci sono i nomi di 19 fuoriclasse.
Da Socrate a Martin Heidegger, da Baruch Spinoza a Friedrich Nietzsche, da Simone de Beauvoir a Immanuel Kant, tutti pronti ad accendere la nostra curiosità capitolo dopo capitolo e a indicarci la via per ritrovare, se non la serenità, almeno «dubbi fecondi». È questa l’utilità di Citofonare Hegel (Rizzoli), saggio brillante e originale firmato da un giornalista di lungo corso con antica e solida passione filosofica (studiò con Mario Dal Pra e Giulio Giorello), ormai collaudato nell’accompagnare i campioni del pensiero fino a noi. Non più impervi e litigiosi ma quasi mansueti perché, dopo una certa frequentazione, di Pagani si fidano.
L’operazione letteraria è originale due volte. La prima per l’argomento e il taglio del volume, la seconda perché nasce dal podcast omonimo (prodotto dalla Chora Media di Mario Calabresi) che in poche settimane ha scalato le vette di Spotify. A conferma che soprattutto i giovani cercano queste risposte andando più a fondo rispetto ai dieci centimetri d’acqua dei talk show. «Quando si citofona, ci si attende sempre qualcuno che risponda» spiega l’autore. «Un’attività quotidiana che propizia il verificarsi di un incontro. E ha un senso preciso scomodare proprio il vecchio Hegel del titolo perché è lui il gigante convinto che la filosofia possa spiegare tutto. Anzi il Tutto, la totalità di ciò che accade. Allora ho provato a rispondere a una domanda semplicissima e impossibile: cosa c’entra la filosofia con la vita di tutti i giorni? L’ho fatto utilizzando pensieri già pensati in altre epoche, in testi classicissimi eppure funzionali a rivivere nella nostra, nutrendola di senso. Per dirla con una nobile metafora da idraulico, il libro è una cassetta degli attrezzi per smontare e rimontare la modernità».
Quell’Hegel che il 13 ottobre 1806 aveva visto Napoleone Bonaparte dalla sua finestra a Jena, e l’aveva chiamato «l’anima del mondo a cavallo», ci parla della Ragione, delle contraddizioni che accompagnano la nostra società. E in qualche modo le giustifica perché la politica si contraddice per natura, la scienza si contraddice per progredire. Nessuno stato è mai permanente, in ogni cosa c’è una lotta fra contrari, e tra tanti cervelloni è Groucho Marx a sciogliere il nodo del paradosso: «Non vorrei mai far parte di un club che accetti me come socio». Già, perché non ci sono solo i filosofi. In un gioco alto-basso che rende intrigante il libro, ogni tema è affrontato con il contributo di una guest star (o un intruso, fate voi): Gulliver per rappresentare la diversità e in fondo l’identità di genere, don Chisciotte la vita inautentica che ci inventiamo su Instagram, il commissario Maigret il metodo scientifico con pipa, Pinocchio la menzogna come carburante sociale e il ragionier Ugo Fantozzi il lavoro offeso, lo sfruttamento. Lo chiamano «merdaccia» e lui s’inchina.
Non che i grandi filosofi siano sempre d’accordo sulle architravi del pensiero, anzi. Ludwig Wittgenstein tentò di colpire Karl Popper con un attizzatoio per convincerlo che aveva torto. Per esempio sulla guerra la polemica è al vetriolo. Platone teorizzava che «la pace non è nient’altro che un nome, è la guerra che si impone per forza di natura». Eraclito la metteva giù ancora più dura: «Polemos è padre di tutte le cose, di tutte il re».
Charles Darwin sottolineava che «la natura stessa ha zanne e artigli, ed è sempre in guerra». Nietzsche si arruolò e fu barelliere nel conflitto franco-prussiano. Heidegger e l’amico Ernst Jünger conversavano nella radura di Todtnauberg con vista sulla vallata, «un posto ideale per piazzare mitragliatrici pesanti». Ci voleva Kant, il cittadino più illustre di Konigsberg – oggi Kalinigrad, l’enclave della discordia dove la Russia di Vladimir Putin raduna il suo spaventoso arsenale di missili balistici – a spiegare che le azioni dell’uomo devono essere guidate dall’etica, «quindi la politica deve essere capace di impedire ogni conflitto».
Nel trattato Per la pace perpetua, il figlio del sellaio, pervaso dal «cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me», si augurava che gli eserciti permanenti scomparissero. E affermava che «una pace firmata con la riserva segreta di una guerra futura non potrà mai definirsi pace, ma armistizio». In piena, involontaria sintonia con John Maynard Keynes, contrario al trattato di Versailles del 1918 così ingiusto con la Germania sconfitta da diventare l’uovo del serpente del delirio hitleriano. E l’evidenza scientifica? Come la mettiamo con la quarta dose, con la galassia No Vax e con la dipendenza dal cotonato Roberto Burioni che solo dopo due anni riusciamo a dismettere dal subconscio? Qui la fiducia traballa di suo e la diffidenza è una reazione istintiva. Per capire qualcosa di più è necessario affidarsi a Popper, distruttore di miti dominanti, che in merito sosteneva: «Solo se è falsificabile, una teoria è scientifica. Solo se si contraddicono, gli scienziati stanno facendo scienza». Per lui l’infallibilità non è un attributo decisivo ma sospetto.
Al contrario lo scienziato deve attendersi sempre, nel corso della sua attività, di venire smentito. Se avessero letto Popper, schiere di virologi da talk show e qualche politico malaccorto non si sarebbero mai sbilanciati in filastrocche del tipo: «Non ti vaccini, ti ammali, muori». Dall’inganno dei dogmi alle informazioni distorte in arrivo dalla rete, fino all’eterna apparizione scomparente di Dio: quando piovono sentenze telecomandate citofonare a Hegel (e ai suoi vicini di casa) per ripararsi dai luoghi comuni è una buona strategia.
Con due avvertenze da prontuario farmaceutico. Una di Pagani: «Il libro non fornisce pillole di sapienza pratica né vi farà trovare l’anima gemella». E l’altra di Bertrand Russell, concetto immortale valido h24: «Gli stupidi sono sempre sicurissimi, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi».
