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Moni Ovadia: «Noi ebrei per difenderci opprimiamo un popolo»

Moni Ovadia: «Noi ebrei per difenderci opprimiamo un popolo»

Dopo le polemiche sulle sue posizioni a favore della Palestina, il grande uomo di teatro parla a Panorama. E condanna l’attacco di Israele contro Gaza mentre sogna uno Stato bi-nazionale. «L’unica salvezza è preparare la pace» dice.


«Nessuno può odiare Israele, non sono pazzo». Moni Ovadia parte da una pietra angolare per sviluppare il suo pensiero definito «rivoluzionario» nell’Occidente smarrito e preoccupato. L’artista, scrittore, uomo di teatro nato in Bulgaria 77 anni fa ma orgogliosamente milanese da quando aveva tre anni (con un debole per il dialetto di Carlo Porta), scandisce la parola «pace». E spiega perché, da ebreo di ascendenza sefardita, oggi difende la causa palestinese, arrivando ad accusare il governo di Tel Aviv di essere storicamente responsabile del grande incendio mediorientale. Un viaggio nel dolore e nelle contraddizioni di una terra «santa e insanguinata», fino a un punto d’incontro possibile. Che passa da un’autostrada e da un motto latino.

Moni Ovadia, perché lei ebreo è sulle barricate con i palestinesi?

Premessa necessaria: parlo a titolo personale, come attivista per i diritti, per la giustizia e la pace. E adesso la risposta: perché fin da bambino ho imparato a stare con gli oppressi e non con gli oppressori.

Ruoli liquidi, meglio specificare.

Dalla Nakba, la Catastrofe, cioè la cacciata dei palestinesi nel corso della guerra del 1948, gli israeliani hanno costretto con tecniche anche terroristiche 750 mila persone a scappare da villaggi e città, con l’occupazione, la segregazione, i pogrom. I loro discendenti oggi sono a Gaza.

Questo non giustificherebbe comunque i massacri di Hamas.

Non c’è dubbio che Hamas utilizzi il terrorismo e che questo rappresenti orrore puro. Ma stiamo parlando di un’organizzazione politico-sociale che usa il terrorismo come strumento di risposta. Anche gli algerini occupati e vessati dai francesi usavano il terrorismo. Non giustifico in nessun modo il terrore, ma un popolo vessato ha il diritto di ribellarsi.

L’aggressione è stata una sorpresa, gli israeliani avevano lasciato quei territori.

Ariel Sharon tolse i coloni da Gaza ma non liberò la regione, anzi. Sigillò Gaza come una scatola di sardine. Oggi tutti i confini sono sotto controllo degli israeliani che gestiscono l’acqua, l’energia, l’arrivo delle merci pesando perfino le calorie, come scrive lo storico israeliano Ilan Pappé. E pure l’identità delle persone. Se vuoi la carta d’identità devi rivolgerti all’autorità israeliana.

Ora l’incendio si allarga alla Cisgiordania.

Eppure i palestinesi di Cisgiordania hanno tentato un accordo, ma hanno ottenuto niente virgola niente. Chi condanna Hamas dovrebbe verificare quale libertà hanno i palestinesi in Cisgiordania. La destra israeliana non ha mai accettato l’esistenza di uno Stato palestinese vicino a Israele. Al punto che Hamas era sostenuto dai servizi segreti israeliani per evitare la pace con l’Autorità palestinese.

Quindi c’è una strada per arrivare alla pace?

Gli israeliani dovrebbero dire: se Hamas libera gli ostaggi e accetta la pace, noi accettiamo lo Stato palestinese, con un’autostrada che colleghi direttamente Gaza e la Cisgiordania. Serve uno Stato bi-nazionale, una democrazia per due popoli, con libertà religiosa. Ma fino a quando sarà al potere Benjamin Netanyahu, questo non accadrà.

La strage del 7 ottobre non verrà metabolizzata così facilmente.

L’orrenda strage di Hamas va condannata, i missili su Israele fanno orrore. Ma bisognerebbe essere a Gaza per capire; stare lì un paio d’anni senza diventare terroristi o non stare dalla loro parte è impossibile.

Non le sembra solo uno slogan?

Una volta Ehud Barak, già primo ministro, il militare più decorato nella storia dello Stato d’Israele, disse: se fossi nato a Gaza, forse sarei stato un terrorista. Lo sostenevano anche Giulio Andreotti e Bettino Craxi. Niente mi accomunava a loro, ma avevano una visione. Invece gli atlantisti di oggi semplicemente sperano che i palestinesi spariscano.

Lo statuto di fondazione di Hamas prevede la cancellazione di Israele. Come si fa a non tenerne conto?

Anche l’Olp aveva la sparizione dello Stato di Israele nella sua carta, ma quando è stato coinvolto nelle trattative, Yasser Arafat ha accettato di riconoscerne l’esistenza. La pace porta pace, la violenza porta violenza. Nel 2020 l’Onu ha dichiarato Gaza un luogo inabitabile, le sembra un dettaglio?

Questo accade perché i denari che arrivano vengono investiti in armi e reti sotterranee. Nient’altro.

Non è vero. Hamas si occupa anche del welfare, degli ospedali e non solo dei tunnel, che peraltro servono per far passare medicine e merci aggirando i blocchi israeliani. La guerra non risolve niente. Hamas continuerà ad essere finanziato, mentre i palestinesi innocenti moriranno. E il terrorismo aumenterà a dismisura.

Per queste idee lei è stato accusato di antisemitismo.

Come il segretario generale dell’Onu, António Guterres, colpevole di avere detto che il terrorismo non viene dal nulla. Ed è vero. Accetto di essere definito veterocomunista, deficiente, ma antisemita proprio no. Antisemita è chi ha causato la Shoah e la fiancheggiò, non chi critica oggi Israele.

L’unica democrazia del Medio Oriente, circondata dal mondo arabo ostile, non ha il diritto di difendersi?

Difendersi non significa opprimere un altro popolo e poi fare le vittime. Quando l’ambasciatore all’Onu si è appuntato la stella gialla sul petto, il presidente dello Yad Vashem, l’ente per la memoria dell’Olocausto, ha detto che quel gesto era un’offesa ai morti della Shoah.

Come giudica la narrazione della guerra?

Stendiamo un velo pietoso sui media. La stampa «mainstream» fa propaganda, per fortuna ci sono giornalisti coraggiosi che provano a informare con onestà. Io seguo Gidon Levy, e al suo confronto sono un moderato. Lui è israeliano, scrive su giornali israeliani, firma libri pubblicati da editori israeliani. Il reportage dopo il 7 ottobre comincia così: «Ecco dove ci ha portato l’arroganza di Israele». Nessuno di noi odia Israele, non siamo pazzi. Esprimiamo semplicemente opinioni fondate.

Sul tema, la sinistra italiana è in perenne corto circuito.

Il Partito democratico è la democrazia cristiana dei nostri tempi. Io preferivo quella originale. Ho gridato per tutta la vita: «Non voglio morire democristiano». Adesso mi tocca dire: magari! I giornalisti atlantisti tengono famiglia, se vuoi avere un ruolo pubblico nell’informazione devi essere allineato. E i politici sono corrotti dal loro narcisismo, la vera devastazione della politica italiana.

Analisi impietosa, urticante. Come se ne esce senza continuare a insanguinare il deserto?

In questa crisi non ho sentito nessuno dire: ci siamo sbagliati. Se ci sono due uomini in conflitto, il primo che ha la maestà di dire all’altro «forse non ti ho capito» comincia a incamminarsi verso la pace. La Storia insegna.

Ci risiamo col passato. Contestualizzare significa giustificare ogni crimine.

No, contestualizzare serve a capire. L’assassinio dei civili, anche di un solo civile, non è mai giustificabile. Ma capire da dove viene il male è fondamentale, anche per neutralizzare le forze espansive del male stesso. Diceva Primo Levi nel capolavoro I sommersi e i salvati: mai giustificare, però dobbiamo capire.

Moni Ovadia, in quel millenario spicchio di terra dove sono nate le tre religioni monoteiste c’è qualcosa oltre all’odio e ai massacri?

Sì, il futuro c’è. Pensi che francesi e tedeschi si sono scannati per 900 anni e oggi, tra Francia e Germania, non ci sono confini. Pensi agli irlandesi, che hanno trovato la pace dopo decenni di attentati e morti. Alla fine ce l’hanno fatta.

Non con la bacchetta magica. Cosa serve?

Bisogna avere la forza di uscire dalla logica dell’odio, quella che fa ritenere l’altro una bestia o un criminale. Gli antichi romani dicevano: «Si vis pacem para bellum». Se vuoi la pace prepara la guerra. Ma laggiù non funzionerà mai. Oggi l’unica salvezza è dire: «Si vis pacem, para pacem».

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