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Mario Mirko Vucetich: rigore e passione della scultura

Mario Mirko Vucetich: rigore e passione della scultura

Una personalità del Novecento eclettica e dimenticata. Nei suoi ritratti si legge la forza dell’amicizia. Nei monumenti ufficiali il fascino della storia. Una monografia ora lo fa riscoprire.


Con grande passione, negli ultimi anni, un giovane romagnolo, Andrea Speziali, cresciuto nell’euforia di Riccione, dove sopravvivono testimonianze rarefatte di un’epoca di villeggiature non ancora di massa, in rari villini liberty, ha studiato architetti e artisti di quell’epoca dove si espresse, prima del fascismo, l’ultimo grande stile italiano: il Floreale. Oggi si esercita su un architetto e scultore, versatile e curioso con la sua prossima monografia su Mario Mirko Vucetich.

Artista generoso e spiritualista, pittore, scenografo e anche scrittore, Vucetich (1898-1975) ebbe una prima stagione futurista, a Gorizia; si formò a Roma e in America, partecipò a Biennali e Quadriennali, e fu in vivo rapporto, tra Roma e Vicenza, con scrittori fondamentali nella cultura del Novecento italiano: Massimo Bontempelli, Corrado Alvaro, Carlo Emilio Gadda, Neri Pozza, Goffredo Parise; si mosse nel mondo del teatro, del cinema, della musica, lavorando per l’Accademia Chigiana e per il conte Guido Chigi Saracini.

A lui si deve persino l’invenzione della spettacolare partita a scacchi nella piazza medievale di Marostica, di cui è qui ricostruita, sapidamente, tutta la storia. Andrea Speziali lo accosta e lo segue, con gusto per la ricerca e straordinario impegno, per far rivivere una personalità dimenticata.

Si tratta della prima ricostruzione della carriera di un solitario, nella stagione più felice e più fertile dell’arte italiana del Novecento. Nato a Bologna, attivo in Friuli, Vucetich è a Roma nell’anno della «marcia», il 1922, ed entra in contatto con Armando Brasini e Vittorio Ballio Morpurgo. Le sue ville e i suoi palazzi sono edifici eclettici molto sofisticati, tra i quali si distingue Villa Antolini a Riccione, le cui condizioni solo pochi anni fa ne avrebbero consigliato la distruzione per sostituirla con la prevalente edilizia selvaggia degli anni Sessanta-Settanta. Invece l’invenzione di Vucetich aveva stimolato Carlo Emilio Gadda a scrivere: «I rettangolari architetti farebbero cipria del Borromini come colui che rettangolare non è ma cavatappi».

L’amore per il Liberty ha portato Speziali a cercare tracce di Vucetich anche a Villa Margherita e a Villa del Meloncello a Bologna, oltre che a Villa Lampo a Riccione: un mondo rarefatto e perduto. Fortunatamente più organico è il percorso delle sculture, nelle quali tradizione e modernità convivono. Un corpus ragguardevole di cui, per primo, ho avuto coscienza, vedendo a Vicenza, nella galleria di Mario Albanese, la prima mostra dopo la morte di Vucetich, nel 1987. Non so se ne resti un catalogo.

So che mi colpì una testa di Pugile suonato, e non esitai a comprarla, con la stessa imperativa necessità che mi aveva trascinato, anni prima, davanti alla terracotta del San Domenico di Nicolò dell’Arca. Tanto lontane e diverse, ma con una energia vitale che le accomuna. Albanese ne fu compiaciuto, ma il destino riservava altre sorprese. Certo il Pugile era diverso da tutte le sculture di Vucetich esposte, ma stava nel suo studio vicentino, e non consentiva dubbi di pertinenza. Quando mi accorsi che alla Galleria d’arte moderna di Roma ce ne era un’altra versione in bronzo, avrei potuto ritenermi soddisfatto d’averne trovato il modello in terracotta. Non fosse che l’autore, senza possibilità di equivoci, risultava essere Romeo Gregori, vigoroso carrarino morto nel 1943, e più dimenticato di Vucetich.

Non solo. A una minuziosa ricognizione della scultura si poteva leggere, alla base del collo, la firma appannata: GREGORI, in lettere maiuscole. Come spiegare lo scambio? Escluderei il dolo, cui sembra indulgere Speziali quando scrive che, alla mostra del 1987, il Pugile «fu spacciato per capolavoro di Vucetich». All’epoca, e ancora oggi, una inutile guerra fra poveri. Mi sembra logico risalire alla circostanza che aveva determinato la singolare situazione.

I due scultori avevano avuto studio, nei primi anni Trenta, in villa Strohl Fern, a Roma, forse condividendo lo stesso alloggio: niente di più probabile di uno scambio di opere, o della curiosità di Vucetich per quella singolare invenzione, fino al punto di chiedere di studiarla all’amico Gregori, portandosela nello studio, e poi, di lì, nel trasferimento a Vicenza, assimilata alle sue, così diverse, opere. Mistero risolto. Ma con una coda. Avevo dunque perso un Vucetich, e guadagnato un Gregori; ma senza merito, per caso.

Dopo qualche tempo mi imbattei in un notevole, monumentale busto di soldato, l’opposto dell’antiretorico e dissacratorio Pugile suonato. Rigido, guerresco, severo, il busto (accertato) di Vucetich è un altro mondo, privo di ironia e di libertà, severa corazza prima che persona, eroe da parata che non ci sarà. Perduto un Vucetich, se ne fa un altro. Con cui, dal primo giorno, non parlo, rispetto al loquace Pugile. Con la faccia piena di pugni e la testa piena di parole.

Com’è, dunque, il vero Vucetich scultore? Una parte della sua attività, a partire dai bozzetti per il monumento ai Caduti di tutte le guerre per Vittorio Veneto, del 1920, apre all’arte celebrativa e funeraria che maturerà con il fascismo, fino all’Arco di trionfo per la visita di Vittorio Emanuele III in Tripolitania, del 1928. Una sopravvivenza di sensibilità simbolista, attraversa l’intero primo decennio della sua attività, dal bozzetto per Arcangelo, al marmo della Medusa, all’Estasi di San Francesco, al Cristo deriso.

Dell’attività americana, tra il 1929 e il 1932, è notevole, forse in rapporto con Emilio Ambron, la deriva orientalista: la Giovinezza di Buddha, al museo di Brooklyn, e, soprattutto, la straordinaria fontana in ceramica per la casa Holmes di Sands Point a Long Island, di incomparabile esotismo. Al ritorno in Italia, se si escludono i bozzetti per il concorso per il monumento al duca d’Aosta, a Torino, vinto da Eugenio Baroni, e il ricordato busto della Medaglia d’oro Oddone Fantini, nella versione appartenente a me e in quella conservata al Vittoriano, Vucetich si applica a una notevole e intensa produzione ritrattistica.

Ecco per tutti gli anni Trenta, i vigorosi e intimi ritratti di Umberto Notari, giovane memorabile e spavaldo 15 anni prima in Achille Funi, dell’architetto Giuseppe Vaccaro, di Sergio Tofano (vivo e parlante soprattutto nel gesso della collezione Speziali), di Pietro Poma, di Lamberto Picasso (fratello maggiore di Paolo Mieli o di Antonio Servillo), fino ai perfetti, nella identificazione dello spirito, Corrado Alvaro e Massimo Bontempelli. Non se ne conoscono ritratti più intensi, serenamente pensosi.

Notevole anche il Fabio Tombari, l’indimenticato autore del romanzo Frusaglia. Grande forza Vucetich esprime nella testa di Centurione, sicuramente un ritratto dal vero di persona non identificata. Quasi neoclassico si rivela nel ritratto della contessa Olivi. Curioso è, a posteriori, nel giovanile ritratto dello scrittore e regista Celso Maria Garatti (1933), nato il 24 ottobre del 1899 e, sul sito della Camera dei Deputati, considerato ancora vivente, con l’esplicita indicazione della età in 120 anni.

Assai poetico, e pacificato, è il marmo con la Madre che dorme. È questa la fase di maggiore tensione di Vucetich scultore, che si applica, in quegli anni, anche a opere pubbliche, di singolare composizione. Mi riferisco ai bassorilievi per il palazzo della Cassa rurale e artigiana e per l’Istituto nazionale fascista della Previdenza sociale, a Forlì; e ai bassorilievi in travertino per un edificio di Vittorio Ballio Morpurgo, in via Quattro Fontane 15, a Roma.

Anche a San Paolo, in Brasile, Vucetich mostra una sperimentata perizia- in bassorilievi che hanno il carattere di emblemi, di grande rigore, e si muove anche in originali composizioni di figure nei blocchi istoriati per la Banca Matarazzo. Notevole la sua presenza tra gli scultori per il più ammirato monumento del fascismo, il Palazzo della Civiltà italiana all’Eur: un’Allegoria del Commercio, a metà strada tra un San Giovanni Battista e un Mercurio. Più convenzionale Vucetich appare nei soggetti religiosi (Pietà Savoia, Cristo deposto).

Nel dopoguerra il suo modellato si irrigidisce, sia nella ritrattistica, sia nella produzione monumentale (ai Caduti di Bolzano Vicentino). La sua ultima scultura ispirata è l’intenso ritratto, pensoso e con lo sguardo perduto, di Goffredo Parise, del 1961, con cui si chiude la sua galleria di scrittori. Dell’attività di pittore, cui pure Speziali dedica doverosa, e assai documentata, attenzione, non mette conto parlare. Questa resterà una monografia definitiva.

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